Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22922 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2792/2017 R.G. proposto da:

C.F., rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Costanza,

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Largo Luigi

Antonelli, n. 10.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 13, n. 3762/2016, pronunciata l’08/06/2016,

depositata il 24/06/2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 giugno

2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.F. propone ricorso, con due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento IRPEF, addizionali, IRAP, IVA, per il 2008, che rettificava, con metodo induttivo, il reddito di impresa della ditta (esercente attività di servizi di pulizia) del contribuente, il quale, in risposta al questionario inviatogli dall’organo di controllo, aveva affermato di non potere produrre, per forza maggiore, la documentazione di riscontro degli oneri passivi dichiarati (per Euro 422.240,00 a fronte di ricavi esposti per Euro 620.343,00) che era andata distrutta per l’allagamento del locale in cui era custodita – nel contraddittorio dell’ufficio, ha confermato la sentenza di primo grado che, esclusi il carattere sanzionatorio dell’accertamento induttivo e l’invocata forza maggiore, aveva rigettato il ricorso del contribuente;

2. la Commissione regionale ha ritenuto che l’A.F. avesse legittimamente proceduto all’accertamento induttivo del reddito di impresa in seguito alla mancata esibizione, da parte dell’interessato, delle scritture contabili e della documentazione fiscale richieste ed ha aggiunto che, per indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità, tale metodo di accertamento può fondarsi su presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza; inoltre, ha condiviso le conclusioni del giudice di primo grado, che aveva ritenuto non dimostrata l’invocata causa di forza maggiore consistente nell’allagamento del locale in cui era custodita la detta documentazione, in quanto, di regola, un evento così disastroso avrebbe richiesto l’intervento dei vigili del fuoco ed anche perchè quei documenti, seppure danneggiati e/o deteriorati, avrebbero dovuto essere comunque conservati per cinque anni per essere esibiti, in caso di accertamento, agli uffici finanziari.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a. preliminarmente la Corte ritiene di disattendere l’istanza del contribuente di riunione del presente giudizio a quello, tra le stesse parti, con R.G. n. 5370/2016, trattandosi di impugnazione di avvisi di accertamenti diversi, riguardanti distinti periodi d’imposta;

1. con il primo motivo del ricorso principale (“I motivo: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” ex art. 360 c.p.c., n. 5″), si censura il percorso logico della sentenza impugnata che ha trascurato che, trattandosi di un accertamento induttivo, l’ufficio avrebbe dovuto considerare “un’incidenza dei costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati” e che il contribuente aveva prodotto in giudizio parte della documentazione correlata ai costi sostenuti nell’esercizio 2008 che, tuttavia, non era stata neppure citata dai giudici di merito;

1.1. il motivo è inammissibile;

è ius receptum di questa Corte, riaffermato anche di recente (Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437), che: “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal citato D.L. n. 83, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.” (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. sez. un. 21/09/2018, n. 22430);

nella fattispecie, posto che il giudizio d’appello è iniziato dopo l’11/09/2012, la doglianza è inammissibile poichè le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. “doppia conforme”), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, il ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario;

2. con il secondo motivo (“II motivo: “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, comma 2, al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, e all’art. 53 Cost..”), il ricorrente censura la sentenza impugnata che, condividendo la pronuncia di primo grado, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento che, come sopra riferito, si era limitato a dedurre i componenti negativi riportati in dichiarazione, senza abbattere il reddito, accertato induttivamente, secondo il principio della capacità contributiva e secondo “il buon senso”;

2.1. il motivo è inammissibile;

è il caso di ricordare l’insegnamento delle sezioni unite (Cass. sez. un. 27/12/2019, n. 34476), secondo cui: “E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.”;

nella fattispecie, il ricorrente sollecita la Corte, in modo non consentito, a compiere un nuovo accertamento degli aspetti fattuali della vicenda, diverso da quello fatto proprio dai giudici di merito;

3. ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile;

4. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

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