Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22922 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. I, 04/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 04/11/2011), n.22922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

con motivazione semplificata sul ricorso iscritto al n. 4137 del

Ruolo Generale degli affari civili dell’anno 2009, proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Quintino

Sella n. 41, presso l’avv. Burragato Rosalba, che, con l’avv. Claudio

Defilippi di Milano, lo rappresenta e difende, per procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica, ex lege

domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Milano del 23 aprile – 5

maggio 2008, nel procedimento n. 1408/08 del ruolo V.G.;

Udita, all’udienza dell’11 ottobre 2011, la relazione del cons. dr.

Fabrizio Forte e sentito l’avv. Cipollari delegato del difensore, per

il ricorrente e il P.M. dott. VELARDI Maurizio che chiede il rigetto

del ricorso.

Fatto

IN FATTO

G.G., con ricorso del 6 luglio 2007, chiedeva alla Corte d’appello di Milano la condanna del Ministero della giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo penale a suo carico, iniziato da denuncia-querela della moglie separata del (OMISSIS), per il delitto ex art. 570 c.p. e proseguito dal P.M. con decreto di citazione in giudizio del 26 ottobre 2000 e fissazione dell’udienza dibattimentale il 15 gennaio 2002, nella quale era condannato in contumacia.

La sentenza di primo grado del 21 gennaio 2002 era notificata il 24 settembre 2004 e contro di essa il G. proponeva appello il 19 ottobre dello stesso anno alla Corte d’appello di Torino dinanzi alla quale il processo ancora pendeva alla data della domanda. La Corte d’appello adita, con il decreto di cui in epigrafe, ha respinto la domanda per essere ragionevole la durata del processo presupposto, dal computo della quale era escluso il periodo precedente al decreto di citazione, solo dalla cui data (26.10.2000) si faceva decorrere il primo grado chiuso dalla sentenza del tribunale (21.1.2002), non potendo attribuirsi alla amministrazione dello Stato il tempo dalla data della decisione nota all’imputato e da lui appellabile fino a quella della notifica del gravame avverso tale decisione in data 19.10.2004. Aggiunta alla prima fase rilevante per la durata di anni uno, due mesi e 25 giorni da ottobre 2000 e gennaio 2002, l’ultimo periodo del processo in appello di anni tre e mesi due (19.10.2004 – 6.7.2007), il decreto computa la durata complessiva dei due gradi del giudizio presupposto in anni quattro, mesi quattro e gg. 25, inferiore a quella di cinque anni ritenuta giusta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, e la domanda di indennizzo era quindi respinta per difetto di lesione del diritto alla ragionevole durata del processo.

1. Il Ricorso – Per la cassazione di tale decreto, il G. propone ricorso di tre motivi: 1) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in rapporto alla L. 14 marzo 2001, n. 89, art. 2 e art. 6, p.1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per avere calcolato la durata del processo presupposto, non calcolando il tempo delle indagini preliminari; 2) violazione delle norme che precedono e dell’art. 548 c.p.p., comma 3, e art. 585 c.p.p., comma 1, lett. d, per non aver addebitato all’organizzazione giudiziaria il tempo del processo dal deposito della sentenza del tribunale alla notifica dell’avviso di deposito e dell’estratto della sentenza, in quanto il termine di decadenza dell’impugnazione di cui al c.p.p. fa presumere l’ignoranza del provvedimento da appellare, prima della notifica di cui all’art. 548 c.p.p. e nessun concorso vi è dell’imputato alla durata del processo per tale fase; c) violazione delle norme citate della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione dei diritti dell’uomo per non avere condannato il Ministero a pagare l’equo indennizzo da Euro 1000,00 ad Euro 1.500,00 annui secondo i parametri della Corte sopranazionale; il Ministero della giustizia con il controricorso chiede il rigetto del ricorso.

2. La decisione.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, avendo questa Corte precisato che l’imputato può chiedere il computo delle indagini preliminari nel processo penale presupposto se prova di avere avuto conoscenza di esse prima del decreto di citazione (Cass. n. 2712/09, n. 17917/2010 e n. 22682/2010), prova non data dal G. che non ha allegato neppure la data in cui avrebbe appreso delle indagini a suo carico.

2.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perchè le norme del c.p.p. che si affermano violate sono quelle che prevedono la decadenza dal diritto di impugnare esistente dal momento della conoscenza della sentenza fino al termine di cui al codice di rito, del quale ha fruito il G. per proporre l’appello, facendo durare di più tempo il processo a suo carico, in cui aveva nominato un difensore e scelto di assentarsi all’udienza in cui s’è letto il dispositivo di condanna, data da cui doveva presumersi che la motivazione sarebbe stata depositata nei quindici giorni successivi ai sensi dell’art. 544 c.p.p. o subito dopo la pronuncia. Il tempo usato dal G. per proporre l’appello è stato quello massimo previsto per legge ad evitare la decadenza dal diritto di impugnare, e quindi esattamente si è a lui attribuito la continuazione del processo per tutto il periodo in cui l’impugnazione non era stata proposta dall’imputato, cui era attribuibile il tempo conseguente a tale mancata attività di impulso.

2.3. Il terzo motivo di ricorso sulla liquidazione dell’equo indennizzo resta assorbito dalla conferma delle statuizioni che hanno negato l’esistenza del diritto all’indennizzo, per mancata lesione del diritto alla ragionevole durata del processo.

Il ricorso deve quindi rigettarsi e per la soccombenza il ricorrente deve rimborsare le spese del giudizio di cassazione al controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al Ministero della giustizia le spese del processo di cassazione che liquida in Euro 800,00 (ottocento/00), oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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