Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22921 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/09/2017, (ud. 17/05/2017, dep.29/09/2017),  n. 22921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3814-2012 proposto da:

T.C. C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ACHILLE VERTUNNI 117, presso lo studio dell’avvocato EMILIO RIZZINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI COLUCCIA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1702/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 20/06/2011 R.G.N. 3409/10.

Fatto

RILEVATO

Che con sentenza n. 1702/2011 la Corte d’appello di Lecce ha respinto l’impugnazione di T.C. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda della lavoratrice tesa ad ottenere la propria iscrizione negli elenchi agricoli del Comune di residenza per gli anni 2003 e 2004, dopo aver accertato la sussistenza dei rapporti di lavoro agricolo dichiarati e, per l’effetto, ha confermato tale statuizione, dichiarando inammissibile la domanda di reiscrizione della T. e di riconoscimento del suddetto rapporto lavorativo per intervenuta decadenza;

che la Corte territoriale ha rilevato che rispetto alla data del 5 giugno 2007 di presentazione del ricorso amministrativo avverso la cancellazione, cui non aveva fatto seguito tempestiva decisione, doveva ritenersi maturato il silenzio-rigetto alla data del 3 settembre 2007 (90 giorno) ed in mancanza di tempestivo ricorso alla Commissione centrale, doveva ritenersi definito il procedimento amministrativo alla data del 3 ottobre 2007 per cui la proposizione del ricorso giurisdizionale in data 15.2.2008 era da considerare tardiva per violazione del termine di decadenza sostanziale di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22;

che per la cassazione della sentenza ricorre T.C. con doppio motivo che si conclude con formulazione di quesito;

che l’INPS resiste con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente si duole, con articolazione in unica rubrica di doppio motivo, della violazione e falsa applicazione del D.L. n. 7 del 1970, art. 22 e del D.Lgs. n. 37 del 1993, artt. 8 e 9, del D.L. n. 510 del 1996, art. 9 quinquies e dell’art. 2697 cod. civ., nonchè del vizio di motivazione relativo alla mancata considerazione della circostanza che l’INPS non avesse mai emesso il provvedimento di formale cancellazione dagli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli ma si era limitato ad effettuare il disconoscimento della prestazione di lavoro notificando il relativo atto all’interessata il 10 maggio 2007 con la conseguenza che non si era mai perfezionata la fattispecie concreta rilevante al fine di giungere alla declaratoria di decadenza D.L. n. 7 del 1970, ex art. 22;

che il motivo, che si conclude con la formulazione di un quesito non richiesto essendo inapplicabile ratione temporis al presente ricorso – avverso sentenza pubblicata il 20 giugno 2011 – il disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ. abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d) va respinto in quanto infondato e per alcuni aspetti inammissibile;

che, in particolare, le ragioni poste a fondamento del motivo sono riferite sia alla asserita violazione di legge che al vizio di motivazione ritenendosi, da un lato, erronea la sentenza impugnata laddove la stessa ha ritenuto violato il D.L. n. 7 del 1970, art. 22 perchè decorso il termine di 120 giorni considerandolo iniziato “dalla definizione del procedimento amministrativo contenzioso” senza interrogarsi sul completamento del procedimento amministrativo relativo alla cancellazione degli Elenchi Anagrafici per gli anni 2003 e 2004, e, per altro verso, che si sia verificato un vizio di motivazione da ravvisare nella circostanza dell’assenza di motivazione in ordine alle ragioni secondo cui la comunicazione del disconoscimento del rapporto dovesse essere interpretata come formale comunicazione della cancellazione formale dagli elenchi;

che la violazione di legge non sussiste giacchè la Corte territoriale ha proceduto a verificare la sussistenza della fattispecie legale di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22attraverso l’individuazione del momento in cui può dirsi definito il procedimento amministrativo contenzioso ed ha, a tal fine e sviluppando in sequenza il calcolo del successivo decorso dei diversi termini, preso le mosse dalla data della proposizione del ricorso amministrativo del 5 giugno 2007;

che, inoltre, è inammissibile il diverso ed ulteriore profilo di denuncia dell’insufficienza della motivazione, posto che tale motivo avrebbe richiesto la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi sul reale contenuto della comunicazione inviata alla ricorrente il 10 maggio 2007;

che, invece, tali indicazioni difettano per cui nessun vizio d’insufficienza di motivazione può riscontrarsi in quanto dall’esame del ragionamento svolto dalla corte d’appello non emerge la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento;

che, dunque, non si configura il vizio motivazionale preteso – come vorrebbe nella specie il ricorrente – laddove vi sia mera difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; che il ricorso va, quindi, respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15 per cento ed accessori.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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