Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22921 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. I, 04/11/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 04/11/2011), n.22921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16339-2009 proposto da:

G.N. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA GIULIA DI COLLOREDO 46-48, presso l’avvocato DE PAOLA

GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositato il

21/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato AMATO FELICE, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.N. con ricorso alla Corte d’appello di Venezia proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia pensionistica instaurato dinanzi alla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale territoriale, nel gennaio 2000, definito con sentenza di rigetto nell’aprile 2007.

La Corte d’appello, ritenuta ragionevole nella specie una durata di tre anni, liquidava in favore del ricorrente, a titolo di danno non patrimoniale per la ulteriore durata irragionevole di quattro anni e tre mesi del giudizio presupposto, la somma di Euro 2.130,00 oltre interessi legali e metà delle spese del procedimento.

Avverso tale decreto, depositato il 21 maggio 2008, G.N. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 3 luglio 2009.

Il Ministero dell’economia e finanze non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso si articola in tre motivi, tutti aventi ad oggetto la liquidazione dell’indennizzo in Euro 500,00 per anno di ritardo rispetto alla durata ragionevole.

Con i primi due si denuncia la violazione dell’art. 6, comma 1 e art. 41 C.E.D.U., della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 2697 cod. civ. sostenendo che, con tale liquidazione, la corte di merito abbia violato il diritto vivente, come interpretato da questa corte e dalla Corte E.D.U., secondo cui il danno da equa riparazione va individuato nell’importo compreso tra Euro 1000,00 ed Euro 1500,00 salvo che ricorrano particolari controindicazioni, la cui prova non sarebbe stata fornita nella specie dalla Amministrazione resistente. Con il terzo motivo, formulato in subordine, si denuncia il difetto di motivazione della medesima valutazione relativa alla modesta entità della sofferenza per la durata irragionevole del giudizio presupposto, che la corte di merito avrebbe basato su assiomi illogici, astratti, unilaterali ed apodittici.

2. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente in quanto logicamente e giuridicamente connesse, non meritano accoglimento. La corte di merito ha tenuto conto dei criteri sopra evidenziati di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea e da questa corte, ai quali ha fatto espresso e puntuale riferimento, indicando nel contempo le circostanze che nella specie giustificano, secondo la sua valutazione ed alla stregua degli stessi criteri, uno scostamento dal parametro di base. La critica che la parte ricorrente muove a tale valutazione discrezionale, quella cioè di non essere aderente al caso specifico in esame, non è, da un lato, sussumibile nell’ambito della denuncia di un vizio di violazione di legge (la corte di merito non ha violato i criteri di determinazione applicati dalla Corte europea: cfr. S.U. n. 1340/2004) essendo piuttosto riferita ad una errata ricognizione della fattispecie concreta in esame, cioè ad un vizio di motivazione; dall’altro, sotto quest’ultimo profilo non merita condivisione. La corte d’appello ha ritenuto che la sofferenza, il patema d’animo, l’ansia per l’attesa della decisione sia stata nella specie modesta tenendo presente, da un lato, la scarsa rilevanza della posta in gioco (non vertente peraltro sul diritto al godimento della pensione bensì sul diritto a collegare i relativi adeguamenti agli aumenti salariali intervenuti successivamente al collocamento a riposo), dall’altro la circostanza della proposizione della domanda – in dissenso peraltro con la uniforme giurisprudenza della Corte dei Conti – unitamente ad una sessantina di altri pensionati. Ha ritenuto quindi che tali aspetti del caso in esame, pur non essendo idonei ad escludere il pregiudizio non patrimoniale da ritardo ingiustificato della decisione (cioè a vincere la relativa presunzione), ne giustificassero un apprezzamento in termini riduttivi, con conseguente contenimento del risarcimento nella misura indicata. Una motivazione siffatta si sottrae alle censure di illogicità e astrattezza formulate dalla parte ricorrente, che del resto non ha nel ricorso indicato, tantomeno riprodotto, le eventuali risultanze in atti, idonee a fondare una diversa valutazione, il cui esame sarebbe stato omesso da parte del giudice di merito. Non appare invero illogico nè incongruo tener conto, ai fini dell’accertamento in ordine alla entità del pregiudizio non patrimoniale presuntivamente sofferto, dell’insieme delle circostanze sopra evidenziate: la proposizione di un ricorso – oltretutto diretto alla affermazione di un principio generalmente non condiviso dall’Ufficio giudiziario adito-unitamente a numerose altre persone, se, al pari della infondatezza della pretesa azionata, non costituisce circostanza idonea ad escludere ogni sofferenza per l’attesa della decisione oltre il termine entro il quale avrebbe dovuto essere emessa, può giustificare, specie in fattispecie nelle quali l’entità della posta in gioco è modesta (considerazione cui neppure in questa sede il ricorrente ha contrapposto una specifica allegazione di segno contrario), un apprezzamento in termini riduttivi della partecipazione emotiva del ricorrente, in correlazione non solo con la scarsa rilevanza della posta in gioco e con la contenuta aspettativa di un esito favorevole del giudizio, ma anche con la ampia possibilità di condivisione dell’onere relativo alle spese giudiziali.

3. Il rigetto del ricorso si impone dunque, senza provvedere sulle spese di questo giudizio di legittimità, non avendo il resistente svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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