Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22919 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 10/11/2016, (ud. 07/10/2016, dep. 10/11/2016), n.22919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30173/2014 proposto da:

P.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA STEFANO LONGANESI

9, presso lo studio dell’avvocato CARMELO RUSSO, che la rappresenta

e difende giusta procura speciale notarile;

– ricorrente –

contro

B.A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA

39-F, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE CARLONI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO FELLEGARA giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1650/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato CARMELO RUSSO;

udito l’Avvocato EMANUELE CARLONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione in data 26.10.2012 P.I. agiva nei confronti di B.A.C. per sentire dichiarare la responsabilità extracontrattuale di costei nella rottura ingiustificata delle trattative aventi per oggetto la locazione per attività di ristorazione cui adibire un cespite di proprietà della B., sito in (OMISSIS).

Il Tribunale di Pavia, con sentenza del 24 luglio 2013, accoglieva la domanda della P., con condanna della B. rimasta contumace – al pagamento della somma di Euro 5.432,05 a titolo di risarcimento del danno conseguente alla risoluzione del contratto preliminare di locazione, dovuta a fatto imputabile alla stessa B..

Proponeva appello la soccombente chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza ed allegando l’inconferenza dei documenti versati in atti dalla P., che resisteva proponendo anche appello incidentale condizionato.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 7.5.2014, accoglieva l’impugnazione, e, contestualmente, revocava retroattivamente la già concessa ammissione al gratuito patrocino in favore dell’appellata D.P.R. 30 maggio 2002, comma 2, ex art. 136, rilevando che la P. aveva resistito in giudizio con mala fede o colpa grave consistita nell’avere riproposto con appello incidentale, subordinato all’accoglimento dell’impugnazione principale, gli stessi argomenti proposti in primo grado e disattesi con la decisione di accoglimento dell’appello.

Propone ricorso per cassazione la stessa P. affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso la B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia: nullità della sentenza di secondo grado ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte di merito accolto eccezioni non rilevabili d’ufficio intempestivamente proposte dalla B. in violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, in rapporto agli artt. 115 e 116 c.p.c.. Sostiene, in proposito, che la Corte d’Appello avrebbe errato nel rimettere in termini l’odierna resistente che, a giustificazione della propria pregressa contumacia, aveva allegato un’amnesia.

Il motivo va dichiarati inammissibile.

1.1. Innanzitutto, le censure non sono autosufficienti in quanto non specificano quali siano le eccezioni che si assumono illegittimamente accolte, nè indicano quale sia lo snodo motivazionale censurato essendosi il Giudice del merito limitato a rilevare che la P., in base ai principi della responsabilità extracontrattuale che governa la fase delle trattative, non aveva provato, come era suo onere, che il recesso della B. travalicasse i canoni della correttezza e della buona fede; tanto in dichiarata adesione alla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato la natura extracontrattuale della responsabilità ex art. 1337 c.c., con le correlative conseguenze sulla ripartizione dell’onere di cui all’art. 2697 c.c. (cfr. Cass. 29 luglio 2011, n. 16735).

1.2. Invero la Corte territoriale rilevando sia pure incidentalmente l’ultrapetizione del primo giudice, laddove aveva anteposto alla pronuncia di risarcimento, la dichiarazione di “risoluzione del contratto preliminare tra le parti per fatto imputabile ad B.A.C.” – ha riqualificato la domanda come da responsabilità precontrattuale da supposta malafede durante le trattative (cfr. punti n. 1 e 3 della sentenza impugnata); e in tale prospettiva, neppure specificamente attinta da parte ricorrente, ha, non già accolto un’eccezione di parte appellante, bensì rilevato una carenza di prova dei fatti costitutivi della pretesa dell’originaria attrice.

Alla stregua di quanto sopra la censura in ordine alla presunta immotivata decisione di remissione in termini “della parte appellata (rimasta contumace nel giudizio di primo grado” (v. pag. 10 del ricorso) si rivela all’evidenza priva di specificità, per difetto di correlazione con le ragioni della decisione.

2- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione degli artt. 244 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per la mancata ammissione della prova per testi tendente a dimostrare, oltre al danno subito, anche l’avvenuta lesione della sua condotto di buona fede, così come tenuta durante le trattative da essa ricorrente.

2.1. Il motivo attinge il punto della decisione in cui si legge che la P. “non ha dimostrato, nè ha offerto di dimostrare, oltre al danno, l’avvenuta lesione della sua buona fede”, lamentando la ricorrente che la Corte territoriale non si sia limitata a non motivare in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti o a svalutarne il valore probatorio, “ma afferma addirittura che l’appellante non avrebbe neppure offerto di provare l’eventuale lesione della sua buona fede”; e ciò sebbene essa appellata avesse articolato prova al riguardo, reiterando la richiesta nella comparsa di costituzione in appello.

2.2. Il motivo – sostanzialmente funzionale al rilievo di omessa ammissione della prova testimoniale, a prescindere dall’improprio riferimento agli artt. 244 e 345 c.p.c., si rivela manifestamente infondato alla luce del complesso motivazionale della decisione impugnata, dal quale si evince l’assorbente rilievo accordato dai giudici a quibus al materiale documentale prodotto dalla stessa odierna ricorrente e il convincimento che da esso ne è stato ricavato che il recesso dalle trattative della B. era dovuto alla necessità della stessa di “avere garanzie e rassicurazioni in ordine alla serietà delle intenzioni circa la conclusione del contratto, anche mediante pagamento di una cauzione e alla solvibilità del futuro conduttore. Si tratta di un accertamento in fatto, incensurabile in questa sede, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella specie, come si vedrà di seguito, non correttamente invocato.

3. Il quarto motivo, il cui esame si antepone all’esame agli altri per la connessione con il precedente e la comodità dell’esposizione, denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando la P. violazione o falsa applicazione degli artt. 1337 e 2697 c.c., in relazione all’omessa valutazione del suo affidamento legittimo sul buon esito delle trattative.

Il motivo è, innanzitutto, non autosufficiente perchè la ricorrente non specifica in relazione a quali elementi decisionali la Corte d’Appello avrebbe disatteso le sue istanze istruttorie ed è, inoltre, infondato per le ragioni che seguono.

La ricorrente si limita a invocare, invero, una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie, ma un simile esame attiene alla libera valutazione delle prove che spetta esclusivamente al giudice di merito e, comunque, si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte perchè riconduce alla violazione di legge una sostanziale censura sull’attività valutativa del giudice di merito, (Cfr. Cass., 17 giugno 2013 n. 15107) secondo la quale: “Le norme poste dal libro 6 titolo 2 del codice civile regolano la materia dell’onere della prova, dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze, della forma che ciascun d’essi deve assumere, ma non la valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi stessi, valutazione regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la cui erroneità ridonda, se del caso, in vizio deducibile ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

3.1.. Si deve, peraltro, rilevare che la responsabilità derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall’art. 1337 c.c., a tutela del corretto evolversi dell’iter formativo del negozio, costituisce – secondo consolidata giurisprudenza dalla quale la ricorrente non indica ragioni per discostarsi – una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, grava non su chi recede dare la prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua (Cass., 29 luglio 2011 n. 16735).

4. Con il terzo e il quinto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, parte ricorrente denuncia: nullità della sentenza di secondo grado ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

4.1. In proposito, come noto, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha previsto un vizio nuovo nella censura di legittimità, ossia l’omesso esame di un fatto storico, sia principale che secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia tale da determinare una decisione diversa rispetto a quella censurata.

Ciò, però, a condizione che la sua esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali.

Nel caso di specie la ricorrente, lungi dall’indicare i passaggi motivazionali della decisione che assume viziati, si limita ad elencare (senza migliore indicazione circa l’allocazione dei documenti citati) un coacervo di atti, a suo dire, tenuti in non cale dal Giudice d’Appello la cui decisione non merita, invece, la censura mossa di omesso esame di elementi istruttori dal momento che è ben rinvenibile dalla decisione censurata il fatto storico della rottura delle trattative e della sua genesi, ossia circostanze che sono state comunque prese in considerazione dal giudice che, con motivazione convincente, dopo avere ricostruita la vicenda alla luce delle prove offerte, non è tenuto a dare conto, partitamente, di tutte le risultanze probatorie.

Nel caso in esame alcuna omissione può ravvisarsi nella decisione censurata che ha dato atto del complessivo comportamento della B. improntato a prudenza e correttezza, allorchè, dopo avere consegnato le chiavi alla ricorrente, chiese, senza ottenerle, garanzie sul futuro adempimento della P., mentre è proprio costei a non avere provato che il recesso esercitato dalla B. abbia violato la sua buona fede nelle trattative finalizzate alla locazione del cespite di causa.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

Nulla a titolo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, considerato che la parte ricorrente risulta ammessa al patrocinio a spese dello Stato (Cass. 2 settembre 2014 n. 18523).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e contributo spese generali. Si dà atto dell’esenzione della ricorrente dal versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Sentenza redatta con la collaborazione dell’assistente di studio Dott.ssa S.D..

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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