Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22918 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3561/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L.; B.R.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, sezione n. 16, n. 79/16/12, pronunciata il 19/11/2012,

depositata il 14/12/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 giugno

2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. (OMISSIS) S.r.l. ed il socio B.R. impugnarono, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pistoia, l’avviso di accertamento IRES, IRAP, IVA (quanto alla società) e quello ai fini dell’IRPEF (quanto al socio), per il periodo di imposta 2005 che, in seguito ad una verifica compiuta con metodo analitico-induttivo, recuperavano a tassazione, rispettivamente, maggiori ricavi non dichiarati, quanto alla società, e un reddito di capitale per la percezione di utili non contabilizzati ed un reddito dei fabbricati, quanto al socio;

2. la C.T.P. di Pistoia, con sentenza n. 213/02/09, disposta la riunione dei ricorsi della società e del socio, li accolse in massima parte, salva la conferma di due rilievi (punti F, G degli avvisi) in materia di recupero dell’IVA per errata applicazione della disciplina del margine su due autovetture usate;

3. sull’appello principale del contribuente e sull’appello incidentale dell’Amministrazione finanziaria, la Commissione tributaria regionale della Toscana, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto la legittimità di alcuni rilievi (testualmente – cfr. pag. 4 – il dispositivo della sentenza, reca la seguente statuizione: “recupera a tassazione i soli punti B e F ma non il punto C.”);

3.1. in particolare, per quanto ancora rileva, il giudice d’appello ha affermato che: (1) l’ufficio aveva determinato il maggiore imponibile applicando la percentuale di ricarico medio di settore (vendita di vetture usate) tra soggetti con un volume d’affari compreso tra Euro 516.547,00 ed Euro 5.164.568, ma è “poco probabile che un campione così vasto, comprensivo di aziende aventi caratteristiche strutturali diversissime, possa rappresentare la realtà aziendale di (OMISSIS).”, donde la declaratoria d’illegittimità del maggiore reddito accertato (anche ai fini IVA) tramite l’applicazione del criterio del ricarico medio di settore; (2) con riferimento al rilievo C, non esiste alcuna duplicazione di costo in quanto l’importo di Euro 4.250,00, derivante dalla chiusura del conto ” Riparazioni e Manutenzione”, ha partecipato per una sola volta alla determinazione del reddito; (3) con riferimento ai rilievi D ed E, sono deducibili le fatture relative alla manutenzione dei piazzali in considerazione del loro modesto importo; (4) con riferimento al rilievo F, non sono comprensibili nè il metodo seguito dall’ufficio nè il metodo seguito dalla società per determinare l’IVA dovuta per effetto dell’erronea applicazione del regime del margine, con riferimento ad un’autovettura: per l’ufficio l’IVA dovuta ammonta a Euro 4.266,67, mentre per la società l’IVA ammonta alternativamente a Euro 4.000,00 oppure a Euro 3.333,00; l’importo da rettificare, indeducibile nel regime del margine, è quello di Euro 4.000,00 che risulta nella fattura d’acquisto; (5) con riferimento al rilievo G, testualmente: “La rettifica deve essere annullata perchè l’IVA dovuto all’acquisto dell’autovettura non venne detratta.” (cfr. pag. 4 della sentenza);

4. l’Agenzia ricorre, con sette motivi, per la cassazione di questa sentenza; la società (medio tempore fallita) e il socio non si sono costituiti, sebbene ritualmente evocati in giudizio (Cass. sez. un. 09/11/2011, n. 23299).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo del ricorso (“1) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere negato che la difformità del ricarico adottato dalla società contribuente rispetto al ricarico medio di settore fosse un elemento indiziario di per sè idoneo a fondare la ripresa tributaria e, ancora, per non avere considerato che, in realtà, nella fattispecie, oltre a questo indice presuntivo (già da solo idoneo indice di evasione), ne erano stati valorizzati altri, riconducibili alla complessiva inattendibilità della contabilità, desunta: dall’emissione di fatture sottocosto e dalla loro successiva integrazione, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto, senza alcun ricarico, con la precisazione che le somme integrative, fino al 2007, non erano state versate; dalla circostanza che 55 cessioni di autovetture erano avvenute con ricarico pari a zero, il che contrastava anche con le dichiarazioni rese, nel corso della verifica, da B.R., che aveva affermato che le cessioni tendevano al recupero del prezzo d’acquisto, compresi i lavori di riparazione/manutenzione ed aveva aggiunto che, alle autovetture non ricevute in permuta, era applicata una percentuale di ricarico minima del 23%; dal fatto che la percentuale di ricarico desumibile dai dati di bilancio, pari al 12,5%, considerando le spese accessorie, si riduceva al 4,20% ed era inferiore alla media di settore, pari al 17,82%; dalla circostanza che risultavano finanziamenti soci per Euro 324.000,00, del tutto incongrui rispetto ai modesti redditi dai medesimi dichiarati; dall’utilizzo irregolare del conto “cassa e dis. liquide” e dall’errata applicazione del cd. “regime del margine”. In altri termini, dopo che era stata verificata l’inattendibilità della contabilità in ragione dell’antieconomicità dell’impresa, l’A.F. aveva ripreso a tassazione maggiori redditi in relazione alle 55 autovetture, alienate con un ricarico pari a zero, e, sulla base dei dati indicati dalla società, e prescindendo dalla media di settore, (per questi veicoli) aveva individuato una percentuale di ricarico del 23,16%, ottenuta utilizzando come termini (della media) le percentuali di ricarico applicate a tutte le cessioni di autovetture per le quali non risultasse un ricarico pari a zero o negativo;

2. con il secondo motivo (“2) Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (comunque: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti secondo la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5)”), l’Agenzia censura lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata che, facendo riferimento esclusivamente all’inattendibilità delle percentuali di ricarico medie del settore, ha omesso di esaminare tutti quegli elementi sintomatici esposti in precedenza che, se fossero stati presi in considerazione, avrebbero condotto la C.T.R. ad una decisione diversa;

3. con il terzo motivo (“3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 T.U.I.R. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere escluso, con riferimento alla ripresa a tassazione sub C dell’avviso di accertamento, la duplicazione della deduzione del costo di Euro 4.250,00, derivante dalla chiusura del conto “Riparazioni e Manutenzioni”, mediante il giroconto di pari importo sul conto “Servizi Vari”, trascurando che, nel conto economico, era riportato il conto “Riparazioni e Manutenzioni”, con saldo 4.250,00 (che invece in contabilità risultava a saldo zero);

4. con il quarto motivo (“4) Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (comunque: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti secondo la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5)”), l’Agenzia ascrive alla C.T.R. di non avere spiegato la ragione per la quale ha negato la duplicazione del costo indicato nel precedente motivo;

5. con il quinto motivo (“3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere annullato i rilievi D ed E dell’avviso di accertamento – che recuperavano a tassazione i costi descritti nelle fatture contabilizzate nel conto “Riparazioni e Manutenzione”, relative a lavori di manutenzione dei piazzali dell’impresa per difetto del requisito della “certezza” (art. 109, T.U.I.R.), sul presupposto che si trattasse di spese di “modesto importo”, senza considerare che l’assenza di elementi descrittivi delle prestazioni oggetto delle fatture (per esempio: ore di lavoro, materiali usati, tipologia di interventi) rende incerti nella loro esistenza detti costi, e ciò ne precludeva la deducibilità/detraibilità ai fini delle imposte dirette e dell’IVA;

6. con il sesto motivo (“6) Violazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 36,1 comma, e del combinato disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 13 e 16, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere annullato il rilievo G dell’avviso di accertamento, sul presupposto che l’IVA dovuta per l’acquisto non fosse stata detratta, senza considerare la ragione del rilievo, che poggiava sulla circostanza che, per la cessione di due autovetture usate (Audi A3 e Volkswagen Passat), ci si era avvalsi erroneamente della disciplina del margine che però non era applicabile, con conseguente recupero dell’IVA secondo il regime ordinario, in quanto la cedente era una società di leasing, ossia un soggetto che normalmente porta in detrazione l’IVA sui propri acquisti;

7. con il settimo motivo (“7) Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (comunque: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti secondo la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5)”), l’Agenzia addebita alla C.T.R. di non avere spiegato da quali elementi abbia desunto che l’IVA “a monte” non fosse stata detratta;

8. il primo e il secondo motivo – da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, poichè censurano l’errore di diritto ed il correlato vizio motivazionale della sentenza impugnata in relazione al medesimo rilievo (accertamento analitico-induttivo di maggiori redditi non dichiarati) sono fondati;

8.1. con riferimento al dedotto error in iudicando, è indirizzo consolidato di legittimità quello secondo cui: “In tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purchè preciso e grave, quale l’abnormità della percentuale di ricarico.” (Cass. 30/10/2018, n. 27552; conf.: n. 8923/2018 22347/2018);

nella fattispecie, il giudice d’appello non si è attenuto a tale regola di diritto e non ha neppure considerato che, in effetti, il recupero fiscale era sorretto da una fitta trama di elementi presuntivi che, nel loro insieme, comprovavano l’apparente antieconomicità della gestione aziendale;

il mancato apprezzamento di tali indici fattuali, da parte della C.T.R., oltre ad integrare un errore di diritto, rileva altresì come “omesso esame di un fatto decisivo (…)”, secondo l’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis al presente giudizio, posto che la sentenza d’appello è stata pubblicata il 14/12/2012;

9. il quarto motivo, nella formulazione (alternativa) dell'”omesso esame di un fatto decisivo”, è fondato, con conseguente assorbimento del terzo motivo, con quale si censura l’errore di diritto della C.T.R. in relazione alla medesima ripresa;

il giudice d’appello si è limitato a negare la duplicazione del costo senza prendere in considerazione la discrasia documentale tra la contabilità – nella quale, secondo la prospettazione erariale, il conto “Riparazioni e Manutenzione” risultava chiuso a saldo zero, successivamente ad un giroconto di Euro 4.250,00 sul conto “Servizi Vari” – ed il conto economico nel quale, invece, sul conto “Riparazioni e Manutenzione” figurava un saldo di Euro 4.250,00;

10. il quinto motivo è fondato;

la C.T.R. ha errato laddove ha ritenuto che fossero deducibili/detraibili i costi di cui alle fatture contabilizzate nel conto “Riparazioni e Manutenzione”, relative a lavori di manutenzione dei piazzali dell’impresa, sulla base del presupposto che si trattasse di spese di “modesto importo”, in quanto ha tralasciato di apprezzare che il parametro normativo, ai fini della deducibilità/detraibilità dei costi (ex art. 109 T.U.I.R., D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19), consiste (per quanto adesso interessa) nella “certezza” del componente negativo e non nella sua modesta entità. Si rileva, altresì, che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, lett. g), la fattura è soggetta a requisiti formali, in quanto deve contenere l’indicazione della “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”, ossia la puntuale indicazione della prestazione, la cui carenza, nella fattispecie, è stava legittimamente valorizzata dagli accertatori per escludere il riconoscimento del detto componente reddituale negativo;

11. il sesto e il settimo motivo – da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, poichè censurano l’errore di diritto ed il correlato vizio motivazionale della sentenza impugnata in relazione al medesimo rilievo (indebita applicazione della disciplina del margine) – sono fondati;

11.1. è il caso di richiamare l’insegnamento delle sezioni unite (Cass. sez. un. 12/09/2017, n. 21105) che, occupandosi del profilo controverso, hanno affermato che: “In tema di IVA, il regime del margine – previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. con modif. in L. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole.”;

11.2. nella fattispecie, la C.T.R., senza confrontarsi con gli elementi di fatto su cui poggiava la ripresa fiscale, si è discostata dal principio di diritto in virtù del quale rientra nella condotta diligente del cessionario l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione (eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità) e, quando emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli (ed è quanto è avvenuto nella presente controversia, secondo la prospettazione erariale, che dovrà essere censita nel giudizio di rinvio), opera la presunzione dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta “a monte” per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole, consistente nell’applicazione del regime d’imposizione (ai fini IVA) del (solo) margine di utile realizzato in occasione della cessione;

12. ne consegue che, accolto il ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, che riesaminerà la controversia attenendosi agli enunciati principi di diritto e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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