Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22916 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/09/2017, (ud. 10/05/2017, dep.29/09/2017),  n. 22916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16082/2015 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CATONE 21,

presso lo studio dell’avvocato ENZO PROIETTI, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TUO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo

studio dell’avvocato ETTORE PAPARAZZO, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1889/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/03/2015 R.G.N. 9335/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNARITA GRAZIANO per delega verbale Avvocato ENZO

PROIETTI;

udito l’Avvocato LUCA AMENDOLA per delega Avvocato ETTORE PAPARAZZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13 marzo 2015, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da T.G. volto a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato in data 11 febbraio 2009 dalla Tuo Spa per giustificato motivo oggettivo.

La Corte territoriale ha ritenuto che il motivo di gravame concernente l’inefficacia del recesso per omessa comunicazione dei motivi fosse infondato, perchè la lettera di licenziamento già faceva espresso riferimento alla “soppressione del reparto macelleria del punto vendita”, e che parimenti infondato fosse l’appello concernente la mancata dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo del repechage, in quanto, esaminato il materiale istruttorio, non poteva dirsi ragionevolmente violato un tale obbligo da parte dell’azienda.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso T.G. con tre motivi. Ha resistito la società con controricorso.

3. Il Collegio ha autorizzato, come da Decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966 e dell’art. 2697 c.c., nonchè omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, con riferimento al giustificato motivo oggettivo, sostenendo che l’azienda non aveva offerto la prova della soppressione del posto di lavoro e del reparto macelleria cui era addetto il T..

La censura è inammissibile perchè non riporta lo specifico motivo di appello avverso la sentenza di primo grado – che aveva già ritenuto sussistente un giustificato motivo oggettivo di licenziamento – con cui si devolveva al giudice del gravame la questione della insussistenza della soppressione del posto di lavoro; al contrario, dalla pronuncia della Corte territoriale risulta che i mezzi di impugnazione riguardassero esclusivamente l’omessa comunicazione dei motivi di licenziamento e la violazione dell’obbligo di repechage, così circoscrivendo l’area del devolutum in secondo grado a detti aspetti.

2. Con il secondo mezzo si denuncia “omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’assolvimento dell’obbligo di repechage ed alla valutazione circa la possibilità di adibire il ricorrente al altre posizioni di lavoro equivalenti o inferiori”. Si sostiene che sul punto la Corte di Appello avrebbe “omesso una valutazione su alcuni elementi essenziali della controversia” e avrebbe “deciso in maniera contraddittoria rispetto alle risultanze istruttorie”.

Il motivo non può trovare accoglimento.

La sussistenza o meno in azienda di collocazioni alternative del lavoratore licenziando è questione sicuramente di fatto, la cui ricostruzione appartiene al sovrano accertamento del giudice del merito, estranea al controllo di legittimità al di fuori dei ristretti limiti posti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, che nella specie risultano certamente travalicati dal motivo in esame che nella sostanza invoca una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio.

3. Con il terzo motivo si denuncia “omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al mancato rispetto del dovere datoriale di trasparenza nella scelta del personale da licenziare ed alla conseguente violazione dei doveri di correttezza e buona fede ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.”. Ci si duole che la Corte territoriale non abbia comparato la posizione del T. con quella di altro lavoratore che svolgeva mansioni fungibili.

La censura è inammissibile per il suo carattere di novità, non risultando specificamente affrontata la questione nella sentenza impugnata.

Secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004).

3. Conclusivamente il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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