Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22913 del 13/08/2021

Cassazione civile sez. I, 13/08/2021, (ud. 06/05/2021, dep. 13/08/2021), n.22913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24791/2020 proposto da:

G.A., rappresentato e difeso dall’avv. Chiara Bellini del foro

di Vicenza ed elett.te dom.to presso lo studio del difensore in

Vicenza, Viale Sant’Agostino n. 134;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno; Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione

di Vicenza, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domiciliano per legge;

– intimati –

avverso la sentenza n. 149/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

6/05/2021 dal consigliere Dott. EUGENIA SERRAO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di Appello di Venezia con sentenza in data 16/09/2019, ha rigettato l’appello avverso la ordinanza del Tribunale di Venezia di conferma del provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Vicenza in ordine alle istanze avanzate da G.A. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria. Il ricorrente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio Paese perché i ribelli integralisti (OMISSIS) avevano invaso la piccola comunità in cui viveva con i suoi familiari e ponevano come alternativa alla morte l’arruolamento nel loro gruppo terroristico.

2. La Corte di Appello di Venezia in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8 ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la concessione della protezione sussidiaria, non ritenendo credibile il narrato del richiedente in ragione dell’ubicazione del villaggio di provenienza nella parte centro-meridionale del Paese, laddove i conflitti si svolgono nel nord del Mali, e dell’incapacità del richiedente di ricostruire adeguatamente i dettagli delle modalità di fuga. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, specificando che se anche le fonti più recenti (puntualmente citate) fanno riferimento ad incursioni di bande jihadiste nell’area centrale dello Stato, ove si trova la città di provenienza del richiedente, non si può confondere la presenza di attentati terroristici con una situazione di violenza generalizzata laddove nei più recenti e qualificati report (EASO COI dicembre 2018) non si fa riferimento al sud del Mali come ad un’area fuori controllo o dove vi sia pericolo che i civili rimangano vittime di violenza indiscriminata; la Corte territoriale ha, altresì, escluso una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Va preliminarmente scrutinata la questione, rilevabile d’ufficio, relativa alla tempestività del ricorso per cassazione.

4.1. La sentenza impugnata risulta pubblicata il 21/01/2020 ed il ricorso notificato telematicamente in data 22/09/2020 (cfr. documentazione informatica relativa alla notifica a mezzo PEC prodotta dal ricorrente in allegato al ricorso) risulta tempestivo, tenuto conto del periodo di sospensione feriale e della sospensione dei termini processuali dal 9 marzo all’11 maggio 2020 disposta dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dal D.L. 8 aprile 2020 n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40, poiché “nelle controversie in materia di protezione internazionale celebrate ratione temporis secondo il rito sommario introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello deve essere proposto nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione, come previsto in via generale dall’art. 327 c.p.c., comma 1, non essendovi disposizioni particolari che riguardino l’impugnazione delle pronunce di gravame all’esito di un procedimento sommario, e non trovando applicazione il disposto dell’art. 702 quater c.p.c., che attiene alla proposizione dell’appello contro le ordinanze di primo grado” (Cass. 14821/2020).

4.2. Il ricorso risulta per tale profilo ammissibile.

5. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia cumulativamente la violazione e falsa applicazione delle norme relative alle tre protezioni internazionali previste perché la Corte ha ritenuto insussistenti i presupposti per concedere il diritto al rifugio e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 5, 7 e 14 nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19 e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

5.1. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per aver ritenuto non credibile il ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 nonché violazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.2. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione di legge perché la Corte ha violato il principio di non refoulement di cui all’art. 3 CEDU ed all’art. 33 della Convenzione di Ginevra ratificato con L. n. 722 del 1954 in base al quale nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti, trascurando peraltro il periodo di permanenza trascorso dal richiedente in Libia e l’atroce guerra civile che lo ha determinato a fuggire.

6. Il ricorso è inammissibile.

Le censure si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., Sez. U, n. 8053/2014).

Il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano “considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5 lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E).

La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5 non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, non sia credibile anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3 sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e), che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

6.1. Nella fattispecie il giudice di merito ha motivatamente escluso, per le ragioni anzidette, la attendibilità del racconto, per cui la Corte di merito non aveva alcun motivo per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui alle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.

6.2. Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass.20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato proprio in ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e concretezza a un tale rischio. L’ipotesi di cui alla lett. c) dell’art. 14, che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa dalla Corte distrettuale, la quale, basandosi su fonti di informazione internazionale, ha appurato che il paese di provenienza dell’odierno istante non è teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generalizzata”: tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudizio di cassazione si possa far questione della “minaccia, grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Si aggiunga che il transito in Libia non può assumere rilevanza, dovendosi comunque considerare la situazione del Paese di provenienza.

6.3. In ordine al rigetto della domanda di protezione umanitaria il motivo si rivela inammissibile, in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dalla Corte di Appello in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente, valutazione in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede. Le circostanze peraltro genericamente invocate, relative ad una integrazione nel Paese di accoglienza da parte del richiedente asilo per stessa ammissione del ricorrente non documentata, non costituiscono da sole un parametro che possa giustificare la concessione della protezione umanitaria. Infatti questa Corte ha più volte chiarito che in materia di protezione umanitaria, “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass., sez.1 n. 4455/2018 e S.U. n. 29459/2019).

6.4. Nella fattispecie la Corte di merito ha escluso di possibilità di effettuare tale valutazione stante la non credibilità del ricorrente. In tale contesto non utile si mostra nella specie il riferimento al principio di non refoulement di cui agli artt. 3 CEDU e 33 Convenzione di Ginevra, atteso che il pericolo per il richiedente di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti nel suo paese di origine è stato escluso dal giudice di merito.

7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non segue alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese delle parti intimate.

8. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater (Sez. U, 4315/2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021

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