Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22912 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. I, 04/11/2011, (ud. 19/07/2011, dep. 04/11/2011), n.22912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in Roma, al piazzale delle

Belle Arti n. 8, presso l’avv. ABRIGNANI IGNAZIO, unitamente all’avv.

SANGIORGI GAETANO, da quale è rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA E FORESTE DELLA REGIONE SICILIANA, in

persona dell’Assessore p.t., e AGEA – AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN

AGRICOLTURA, in persona del legale rappresentante p.t., domiciliati

in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, dalla quale sono rappresentati e difesi per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 321/05,

pubblicata il 21 marzo 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

luglio 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. APICE Umberto, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 21 marzo 2005, la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa l’11 marzo 2003, con cui il Tribunale di Palermo aveva rigettato la domanda di pagamento dell’aiuto previsto dalle norme CEE per il grano duro, proposta da L. B. nei confronti dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana, in riferimento alle annate agrarie 1991 e 1992.

Premesso che dagli accertamenti effettuati per l’annata 1991 era risultato che il fondo dell’attore, per il quale era stato chiesto l’aiuto, non era coltivato a grano duro, ma ad erbaio, la Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’azienda dell’attore non fosse inclusa tra quelle scelte per il controllo a campione, avendo il B. contestato la sola regolarità dell’accertamento, peraltro effettuato secondo le modalità previste dal D.M. 17 dicembre 1990, n. 416, art. 8 e non anche le risultanze del controllo. La Corte ha peraltro ritenuto che l’irregolarità della procedura seguita non rendesse inutilizzabile l’accertamento, ma consentisse al controllato di provarne la non corrispondenza al vero, essendo l’attore tenuto a dimostrare i possesso dei requisiti per la concessione dell’aiuto, e l’Amministrazione verificarne la sussistenza, anche ai fini della dichiarazione di decadenza e del recupero degli importi versati. La Corte ha infine rilevato che l’attore non aveva fornito alcuna prova dei predetti requisiti neppure in riferimento all’annata 1992, osservando comunque che, ai sensi del D.M. n. 416 cit., art. 9, comma 3, l’esclusione del beneficio per la campagna in corso si estendeva anche a quella successiva.

2. -Avverso la predetta sentenza il B. propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. L’Assessorato e l’AGEA resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte d’Appello ha omesso di esaminare il motivo di gravame da lui proposto in ordine alla regolarità della procedura di controllo, accertata dalla sentenza di primo grado senza alcuna motivazione, astenendosi in particolare dal verificare se fossero state osservate le disposizioni del D.M. n. 416 del 1990.

1.1. – La censura è inammissibile.

L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che non può essere fatto valere dal ricorrente con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ai sensi dell’ari. 360 c.p.c., n. 5; tali censure presuppongono infatti che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, mentre la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. dev’essere fatta valere attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto soltanto tale deduzione consente alla parte di chiedere e al Giudice di legittimità di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito, e quindi anche dell’atto di appello (cfr. Cass., Sez. 3^, 4 giugno 2007, n. 12952; Cass., Sez. L. 27 gennaio 2006, n. 1755; 24 febbraio 2006, n. 4201: 19 maggio 2006, n. 11844).

2. – E’ parimenti inammissibile il secondo motivo, con cui il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che egli si fosse limitato a contestare la regolarità dell’accertamento, laddove egli ne aveva negato l’utilizzabilità e l’opponibilità, in quanto effettuato in violazione della relativa disciplina.

2.1. – La censura, infatti, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale la Corte d’Appello non ha affatto escluso la rilevanza delle contestazioni sollevate dal ricorrente in ordine al rispetto delle procedure previste per l’individuazione delle aziende da sottoporre a controllo ed alle modalità di esecuzione della verifica. Essa ha ritenuto che tali irregolarità non comportassero la nullità assoluta e l’inutilizzabilità dell’accertamento, non essendo tale conseguenza prevista dal D.M. n. 416 del 1990, ma consentissero al ricorrente di dimostrare la non rispondenza al vero di quanto irritualmente accertato, e, preso atto che il B. non aveva sollevato contestazioni al riguardo, ha posto le risultanze della verifica a fondamento della decisione.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.M. n. 416 del 1990, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto utilizzabile l’accertamento nonostante la mancata produzione dei verbali e dell’avviso attestanti l’osservanza delle norme che, a tutela dell’azienda, prevedono la formazione mediante sorteggio del campione da sottoporre a controllo e l’effettuazione dei sopralluoghi in contraddittorio con il produttore. Aggiunge che la Corte ha erroneamente ricollegato gli effetti dell’accertamento al D.M. cit, art. 12 il quale non si riferisce alla fase di concessione dell’aiuto, disciplinata dalle norme inderogabili di cui agli artt. 7-10 dei medesimo D.M., ma alla decadenza, che è pronunciata successivamente all’erogazione del contributo, a seguito della verifica dell’insussistenza dei relativi presupposti.

4. – La censura va esaminata congiuntamente a quella proposta con il quarto motivo, con cui il ricorrente denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che la sentenza impugnata ha ritenuto insufficiente, ai fini della concessione dell’aiuto, la presentazione della relativa istanza, e necessaria la prova dei requisiti prescritti, nonostante la mancata inclusione della sua azienda nel campione da sottoporre al controllo.

5. – Entrambe le censure sono infondate.

E’ pur vero, infatti, che il D.M. n. 416 del 1990, art. 7 recante disposizioni per la concessione dell’aiuto previsto dalle norme CEE per il grano duro, prevede, ai fini del riscontro dell’effettiva sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio, un’articolata procedura di controllo, imperniata sulla formazione di un campione delle aziende da sottoporre ad accertamento, con la partecipazione di un rappresentante dei produttori designato dalle organizzazioni professionali agricole, e sull’effettuazione delle relative verifiche a mezzo di organismi individuati dall’A.I.M.A. mediante la stipulazione di apposite convenzioni. La mancata inclusione dell’azienda nell’elenco di quelle da sottoporre a controllo non attribuisce tuttavia al titolare il diritto di fruire dell’aiuto sulla base della sola presentazione della domanda, occorrendo in ogni caso il possesso dei requisiti prescritti, per la cui documentazione l’art. 4 prevede la presentazione di un’apposita dichiarazione di coltivazione sottoscritta dal produttore, in ordine alla quale l’art. 6 demanda all’ufficio competente lo svolgimento di attività istruttoria, anche attraverso l’acquisizione di notizie e documenti, espressamente prevista dall’art. 4, comma 3.

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che la circostanza che l’azienda del ricorrente non fosse compresa tra quelle sorteggiate per la formazione del campione previsto dall’art. 7 non dispensasse il titolare dall’onere di fornire, ai fini dell’accoglimento della domanda proposta in sede giudiziale, la prova dell’effettiva destinazione del fondo alla produzione di grano duro, essendo tale requisito espressamente incluso tra quelli prescritti dal D.M., art. 2.

5.1. – La previsione di un controllo a campione non risponde peraltro a finalità di garanzia delle aziende, ma ad esigenze organizzative dell’Amministrazione, evidentemente impossibilitata a sottoporre a verifica tutte le aziende, ma comunque tenuta ad assicurarsi dell’effettivo impiego degli aiuti nella produzione di grano duro, anche ai fini del rispetto degli obblighi assunti dallo Stato italiano in sede comunitaria. Il metodo del sorteggio, imposto per la formazione del campione, risponde essenzialmente a criteri di trasparenza, specificamente menzionati dal comma secondo dell’art. 7, e non esclude peraltro il ricorso a metodi diversi, purchè, come previsto dalla stessa disposizione, gli stessi, oltre ad essere predeterminati, risultino idonei ad assicurare la casualità della scelta. Tale casualità, in quanto volta ad assicurare l’imparzialità della scelta, non risulta compromessa dall’effettuazione di accertamenti nei confronti di aziende non incluse nel campione, non potendo ritenersi precluso all’Amministrazione il compimento di ulteriori verifiche, ove emergano dubbi in ordine alla destinazione degli aiuti.

Lo stesso D.M., art. 12 d’altronde, nel consentire all’Amministrazione di procedere al recupero degli importi eventualmente erogati in tutti i casi in cui il provvedimento concessorio sia stato emesso sulla base di presupposti successivamente verificati insussistenti, non prevede che tale accertamento debba necessariamente aver avuto luogo nell’ambito della procedura di controllo disciplinata dal medesimo D.M. La circostanza che tale disposizione si riferisca alla decadenza dal beneficio non inficia la correttezza logico-giuridica dell’iter argomentativo seguito dalla Corte d’Appello, la quale, con un ragionamento a fortiori, ne ha condivisibilmente dedotto che l’Amministrazione può legittimamente negare l’aiuto in ogni caso in cui, indipendentemente dal controllo a campione, risulti che l’istante non è in possesso dei requisiti prescritti.

5.2. – Quanto all’inosservanza delle garanzie previste dall’art. 10 per le operazioni di accertamento, il mancato svolgimento delle stesse in contraddittorio con l’interessato, tenuto a sottoscrivere il relativo verbale unitamente all’incaricato che lo ha compilato, costituisce un’irregolarità che certamente impedisce di attribuire a quest’atto la sua efficacia tipica, ma non esclude in via assoluta l’utilizzabilità delle relative risultanze, trattandosi pur sempre di un accertamento proveniente da un soggetto investito di una pubblica funzione, ai sensi del cit. D.M., art. 7, comma 6, dal quale possono pertanto desumersi elementi indiziari che il giudice di merito, nell’ambito del suo prudente apprezzamento, può liberamente valutare ai fini della decisione.

A tale principio si è correttamente attenuta la Corte d’Appello, la quale, pur avendo escluso che l’irregolarità della procedura comportasse la nullità assoluta dell’accertamento, non ha attribuito alle relative risultanze il valore di prova piena, ma ha ritenuto che al controllato fosse consentito di dimostrare la non rispondenza al vero di quanto irritualmente accertato in assenza delle prescritte garanzie, pervenendo al rigetto della domanda sulla base di una valutazione complessiva che ha tenuto conto da un lato di tali risultanze, dall’altro del mancato adempimento dell’onere probatorio gravante sull’attore.

6. – E’ infine inammissibile il quinto motivo, con cui il ricorrente deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto necessaria la prova dei requisiti prescritti anche per l’annata 1992. che non aveva costituito oggetto di accertamento, in quanto l’aiuto era stato negato in virtù dell’automatismo previsto dalla legge.

6.1. – A fondamento del rigetto della domanda di riconoscimento dell’aiuto per l’annata 1992, la Corte d’Appello ha infatti posto una duplice ratio decidendi, rappresentata dalla mancata prova dei requisiti prescritti dalla legge per la concessione del beneficio e dall’applicabilità del D.M. n. 416 del 1990, art. 9, comma 3, che prevede, in caso di esclusione dall’aiuto per la campagna in corso, l’automatica esclusione anche per la campagna successiva.

La mancata impugnazione della sentenza, nella parte in cui ha fatto applicazione di quest’ultima disposizione, preclude l’esame delle censure rivolte alla prima affermazione, in ossequio all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ove la decisione impugnata sia fondata su una pluralità di ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinchè si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga contro ciascuna di queste, in quanto, in caso contrario, le ragioni non censurate sortirebbero l’effetto di mantenere ferma la decisione basata su di esse (cfr. Cass., Sez. 3^, 20 novembre 2009, n. 24540; 11 gennaio 2007, n. 389; Cass., Sez. 1^, 8 febbraio 2006, n. 2811).

7. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna B.L. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 3.300,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2011, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 19 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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