Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22911 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 21/10/2020), n.22911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15518/2014 R.G. proposto da:

Gran Bazar s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Maiello Maurizio, con domicilio

eletto presso il suo studio, sito in Napoli, corso Umberto I, 237;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 277/51/13, depositata il 6 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2020 dal Consigliere Catallozzi Paolo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– la Gran Bazar s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 6 dicembre 2013, che, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha rideterminato gli imponibili per l’anno 2005, previa applicazione di una percentuale di ricarico sul costo del venduto;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’Ufficio aveva proceduto alla rettifica della dichiarazione della società con accertamento analitico induttivo, con applicazione di una percentuale di ricarico del 30%, sul presupposto della antieconomicità dell’attività, in presenza di un alto valore del costo del venduto;

– il giudice di appello ha dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso evidenziando che la percentuale di ricarico applicata non era giustificata, in ragione dell’oggetto dell’attività svolta in via prevalente, erroneamente individuata dall’Ufficio, ritenendo congrua una percentuale di ricarico pari all’11%, così come applicata dalla contribuente;

– ha, quindi, parzialmente accolto il gravame erariale, premettendo che nel caso in esame non veniva in rilievo l’applicazione della disciplina in tema di studi di settore, in quanto l’atto impositivo era stato emanato ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e condividendo la valutazione dell’Ufficio in ordine all’incongruità del dato reddituale dichiarato;

– ha, poi, osservato che, in ragione della composizione della merce venduta e della forte concorrenza nel settore interessato (detersivi e profumi), doveva considerarsi adeguata l’applicazione di una percentuale di ricarico media pari al 20%;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo la società denuncia l’apparente o insufficiente e illogica motivazione circa la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 3, , conv., con modif., nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, e dell’art. 2729 c.c.;

– il motivo è infondato;

– la Commissione regionale ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l’accertamento analitico induttivo in ragione “di una palese antieconomicità dell’attività svolta dal negozio di rivendita di articoli di profumeria e detersivi”, avuto riguardo alla rilevata incongruenza del dato del costo del venduto rispetto al ricavo dichiarato, nonchè alla esiguità del dato rappresentato dal reddito d’impresa rispetto al volume di affari;

– ha evidenziato che non era decisivo, nel senso di escludere la ricorrenza di tali presupposti, l’asserita erronea individuazione da parte dell’Ufficio del codice di attività pertinente (profumi, anzichè detersivi), rilevante ai soli fini della determinazione dei maggiori imponibili;

– una siffatta motivazione appare idonea ad evidenziare l’iter logico giuridico seguito dal giudice, rendendo in tal modo possibile il controllo sull’esattezza e logicità del ragionamento, per cui priva di pregio è la censura nella parte in cui si contesta l’apparente motivazione;

– inammissibile è, poi, la doglianza nella parte in cui censura l’insufficienza della motivazione, poichè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv., con modif., nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso in esame – il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, e dell’omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia, per cui l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione non è più deducibile quale vizio di legittimità (cfr., ex multis, Cass., ord., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

– con il secondo motivo la ricorrente deduce l’apparente o l’insufficiente e illogica motivazione circa la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, comma 1, in relazione alla determinazione degli imponibili nella misura risultante dall’applicazione di una percentuale di ricarico media pari al 20%;

– il motivo è infondato;

– la sentenza impugnata ha ritenuto, da un lato, inattendibile la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio, pari al 30%, in ragione della mancanza di elementi a sostegno della contestata riferibilità dell’attività della contribuente al (solo) settore merceologico individuato (profumi), e, dall’altro, incongrua la percentuale di ricarico dell’11.% invocata dalla società, tanto più che la stessa non era stata da questa applicata;

– come rilevato in precedenza, ha, quindi, giudicato “adeguata l’applicazione di una percentuale di ricarico media del 20%”, in quanto “in grado di assicurare alla società una adeguata redditività sia in ragione del volume di affari sia in considerazione delle spese sostenute per il pagamento dei lavoratori dipendenti dichiarati”;

– così argomentata, la decisione del giudice di appello si sottrae alla censura prospettata, poichè consente di individuare il ragionamento seguito dal giudice, non essendo deducibili, per le ragioni esposte in occasione del motivo precedente, le censure di insufficienza e illogicità della motivazione;

– pertanto, per le suesposte considerazioni il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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