Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22902 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 10/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 10/11/2016), n.22902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 748/2014 proposto da:

S.C., (OMISSIS), SC.EL. (OMISSIS),

SC.RO. (OMISSIS), SC.MI. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, V. ANGELO EMO 106, presso lo studio

dell’avvocato EDOARDO GIARDINO, rappresentati e difesi dall’avvocato

FRANCESCO LUIGI PINGITORE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE COSENZA, in persona del L.R.P.T.,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO D’ITALIA 102, presso lo

studio dell’avvocato RAFFAELLO MISASI, rappresentata e difesa dagli

avvocati ALFONSO NICCOLI, GIOVANNI FRANCESCO LAURICELLA giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1248/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato PAOLO CANONACO per delega;

udito l’Avvocato RAFFAELLO MISASI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso del 5 febbraio 2009 Sc.El., Mi. e Ro. e S.C. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Cosenza, la ASL n. (OMISSIS) di Cosenza, chiedendo che fosse accertato che la convenuta deteneva illegittimamente parte dei locali oggetto di un contratto di locazione immobiliare esistente tra le parti, previa declaratoria della illegittimità del recesso parziale operato dalla convenuta, con condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata disponibilità dei locali stessi.

A sostegno della domanda esposero che con contratto del (OMISSIS) i fratelli Sc.Ca. e L. avevano locato alla predetta ASL alcune porzioni di un immobile in comproprietà tra loro e che, intervenuto lo scioglimento della comunione e deceduto il loro dante causa Sc.Ca., il vecchio contratto si era frazionato e che, in relazione alla parte di immobile di loro proprietà, il nuovo contratto aveva ad oggetto unitariamente sia i locali posti al pianterreno che quelli posti nel seminterrato. Doveva quindi ritenersi illegittimo il recesso parziale comunicato dalla ASL in data 7 giugno 2004.

Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata in via principale dagli attori soccombenti e in via incidentale dalla ASL di Cosenza e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 13 novembre 2012, ha rigettato l’appello principale, ha accolto quello incidentale ed ha condannato gli appellanti principali all’integrale rifusione delle spese dei due gradi di giudizio, ivi comprese quelle della consulenza tecnica d’ufficio.

Ha osservato la Corte territoriale che la tesi fondamentale degli attori e cioè che il canone di locazione fosse diverso in relazione ai locali siti al pianterreno ed al seminterrato – era rimasta del tutto sfornita di prova, non essendo stati prodotti i contratti relativi. Il fatto che vi fosse un prezzo unitario per tutti i locali oggetto del contratto rendeva pienamente ammissibile il recesso parziale del conduttore rispetto ad una parte degli immobili locati. Anche la cronologia degli eventi, secondo la Corte calabrese, confermava l’assunto; alla lettera di recesso parziale della ASL, inviata nel giugno 2004 per la scadenza del 31 gennaio 2005, i locatori avevano risposto solo in data 3 febbraio 2005, contestando l’ammissibilità di un recesso parziale; e poichè l’ASL aveva continuato a pagare il canone fino all’effettivo rilascio della parte dei locali oggetto del recesso, nessuna colpa poteva essere posta a carico della medesima.

Ammessa, quindi, la possibilità del recesso parziale, la Corte ha rigettato l’appello principale, accogliendo invece quello incidentale in ordine alla compensazione delle spese, attesa la totale soccombenza degli originari attori.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro propongono ricorso Sc.El., Mi. e Ro. e S.C., con unico atto affidato a due motivi.

Resiste la ASL di Cosenza con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Occorre innanzitutto rilevare che non è fondata la prima eccezione di inammissibilità, sollevata nel controricorso, secondo cui il ricorso sarebbe tardivo per decorso del termine lungo di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., nel testo vigente.

Per pacifica giurisprudenza di questa Corte, infatti, il termine lungo di sei mesi si applica ai giudizi iniziati – e non alle impugnazioni proposte – dopo il 4 luglio 2009, mentre il giudizio odierno è cominciato (in primo grado) il 5 febbraio 2009 (v. la sentenza 4 maggio 2012, n. 6784).

2. Parimenti infondata è l’ulteriore eccezione, pure sollevata nel controricorso, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile perchè lo stesso sarebbe incompleto, siccome mancante di due pagine (la n. 24 e la n. 26). Tale incompletezza, infatti, non risulta dagli atti a disposizione di questa Corte; l’eccezione, comunque, è generica, perchè non consente di comprendere l’effettiva lesione del diritto di difesa lamentata (la p. 26 del ricorso, tra l’altro, contiene la sola firma del difensore dei ricorrenti).

3. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’interpretazione del contratto di locazione.

Osservano i ricorrenti che l’interpretazione accolta dalla Corte di merito costituirebbe un’evidente violazione dei canoni legali di interpretazione. Se, infatti, i contraenti avessero voluto stipulare un contratto dall’oggetto frazionabile, avrebbero distinto il canone per le unità al pianterreno da quello per le unità al seminterrato; poichè, infatti, il valore dei due tipi di locali non era lo stesso, non era pensabile che fosse stato pattuito un prezzo unico al metro quadrato. Da tanto consegue che la sola interpretazione plausibile sarebbe nel senso di ritenere che l’unicità del canone sia sintomatica dell’unicità del contratto e, di conseguenza, della indivisibilità della prestazione e della inammissibilità del recesso parziale.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Rileva il Collegio che esso è redatto con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), posto che censura l’interpretazione del contratto di locazione ed ammette nel contempo che lo stesso non è stato prodotto, sia pure adducendo come giustificazione il fatto che sia trascorso molto tempo.

La Corte d’appello, ad ogni modo, ha dato conto con pienezza di argomenti delle ragioni per le quali ha ritenuto ammissibile il recesso parziale, sicchè il motivo in esame tende in modo evidente a sollecitare un nuovo e non consentito esame del merito.

4. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c..

Osservano i ricorrenti che la sentenza in esame, avendo accolto l’appello incidentale, avrebbe anche accolto quella parte dell’impugnazione nella quale si chiedeva di riconoscere che la superficie locata era di mq 343 anzichè di mq 391; il che avrebbe dato spunto alla ASL per offrire il pagamento di una somma minore.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza, infatti, è chiarissima in ordine al decisum: l’appello incidentale è stato accolto solo in ordine alla compensazione delle spese, erroneamente disposta dal Tribunale in violazione del principio di soccombenza. In ordine all’ulteriore questione dedotta nel motivo non c’è alcuna statuizione decisoria che possa fare stato in altre sedi (così come ipotizzato dai ricorrenti).

5. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a regolare le competenze professionali.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 7.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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