Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22901 del 10/11/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. III, 10/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 10/11/2016), n.22901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4705/2015 proposto da:

OLD RIVER SRL, in persona dell’A.U. Dott. B.F.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2 C/O ST PLACIDI,

presso lo studio dell’avvocato MARIA GIOVANNA CLEVA, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRODOTTI NATURALI SPA, in persona del Presidente del C.d.A.

C.D.A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, V. PINCIANA

25, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SCIAUDONE, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati DAVIDE GIORGIO

CONTINI, FRANCESCO SIMONE CRIMALDI, GIAMMARCO GRAMMATICA giusta

procura speciale notarile;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 1962/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato MARIA GIOVANNA CLEVA;

udito l’Avvocato GIANMARCO GRAMMATICA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 414 c.p.c., Prodotti Naturali s.p.a. conveniva in giudizio la locatrice OLD River s.r.l. per sentire dichiarare la nullità, ai sensi della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79, della clausola n. 8 del contratto di locazione ad uso diverso, stipulato in data il (OMISSIS), nella quale si prevedeva un aumento annuale dall’1.7.2006 fino all’1.7.2009 del canone base di locazione, originariamente pattuito in Euro 76.000,00 oltre IVA, nonchè a far data dall’1.7.2010 – l’incremento annuale del canone pari al 100% delle variazioni dell’indice del costo della vita calcolato dall’ISTAT. In conseguenza la società conduttrice chiedeva la condanna della locatrice alla restituzione della somma di Euro 56.000,00 indebitamente corrisposta.

La domanda era rigettata dal Tribunale Ordinario di Milano con sentenza n. 14254/2011. La decisione veniva riformata dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza 3.7.2014 n. 1962, che dichiarava la nullità della clausola 8 del contratto, limitatamente agli aumenti annuali del canone base, mentre riteneva legittimi gli incrementi ISTAT ma ridotti nella misura legale pari al 75% delle variazioni del costo della vita, e condannava pertanto OLD River s.r.l. alla restituzione degli importi eccedenti, al netto degli incrementi ISTAT, oltre interessi decorrenti dalla data dei singoli pagamenti

I Giudici di appello richiamavano la giurisprudenza di legittimità nella quale si ribadiva il principio per cui variazioni in aumento del canone, diverse dall’aggiornamento periodico volto a contrastare gli effetti della svalutazione monetaria nei limiti consentiti dalla L. n. 392 del 1978, art. 32, erano ammissibili solo se giustificate dall’economia del negozio a prestazioni corrispettive, venendo tali aumenti a compensare la esecuzione di interventi migliorativi dell’immobile locato ovvero a riequilibrare il valore locativo, inizialmente ridotto in funzione compensativa degli oneri addossati al conduttore per la esecuzione di ristrutturazioni o modifiche del bene locato. Nessuna delle ipotesi indicate ricorreva nel caso di specie, non corrispondendo agli aumenti annuali, in misura fissa, alcuna prestazione di ammodernamento o migliorativa dell’immobile, dovendo quindi ritenersi che lo scopo degli stessi fosse quello di aggirare il limite legale di incremento annuale del canone consentito per contrastare il fenomeno svalutativo della capacità di acquisto.

La sentenza di appello non notificata è stata impugnata per cassazione da OLD River s.r.l. con atto notificato in data 13.2.2015 a Prodotti Naturali s.p.a., con il quale sono stati dedotti tre motivi.

La società intimata non si è difesa, limitandosi a partecipare alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione artt. 32 e 79 Legge equo canone, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura è inammissibile in quanto la critica alla sentenza di appello attiene a questione estranea al “decisum”.

La ricorrente, infatti, sostiene che la sentenza “sembra alludere” alla necessità che le ragioni giustificative dell’aumento del canone locativo siano “espressamente indicate” nel contratto, ma tale affermazione non si rinviene nella motivazione della sentenza, avendo semplicemente rilevato il Giudice di appello che, nella specie, non era dato rinvenire alcun nesso di corrispettività tra l’aumento annuale del cannone, in misura fissa, e la modifica degli obblighi di prestazione gravanti sul locatore o la attribuzione di maggiori vantaggi od utilità al conduttore.

La ricorrente sostiene ancora che l’aumento del canone iniziava a decorrere dal terzo anno di vigenza contrattuale e che – pertanto – nei primi due anni era stato previsto un canone ridotto proprio per agevolare l’avviamento della attività commerciale della conduttrice: l’argomento idoneo al più a supportare le ragioni giustificative del primo incremento del canone, non è tuttavia idoneo a spiegare le ragioni per cui, cessato il periodo iniziale volto ad agevolare la iniziativa economica del conduttore, l’importo del canone non era determinato a regime ma continuava ad incrementarsi anche nei successivi anni. In relazione a tale specifica questione la censura viene a prospettare un argomento di critica in fatto e non in diritto, che avrebbe allora dovuto essere fatto valere attraverso altro vizio di legittimità: l’errore sulla individuazione del paradigma normativo del sindacato richiesto alla Corte, si risolve nella insanabile discrasia tra il vizio denunciato e la esposizione delle ragioni a sostengo della censura, con conseguente inammissibilità del motivo.

Secondo motivo: violazione artt. 32 e 79 Legge equo canone, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata ha deciso difformemente dai principi enunciati in materia da questa Corte di legittimità secondo cui la pattuizione dell’aumento frazionato nel tempo dell’importo base del canone locativo è legittima – non incorrendo nella nullità comminata dal combinato disposta dalla L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 72 – se ancorata ad “elementi predeterminati oggettivamente e sufficientemente controllabili”, assumendo che tali caratteristiche di predeterminazione e controllabilità erano da ravvisarsi nel criterio automatico di calcolo dell’aumento del canone, stabilito nella clausola 8 del contratto.

La tesi difensiva è palesemente infondata, non avvedendosi la ricorrente che, secondo la giurisprudenza richiamata (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10286 del 27/07/2001; id. Sez. 3, Sentenza n. 8410 del 11/04/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 2902 del 09/02/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 2932 del 07/02/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 24433 del 19/11/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 13826 del 09/06/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 2961 del 07/02/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 17061 del 28/07/2014), l'”elemento oggettivo” da prendere in considerazione, non è la modalità di calcolo dell’aumento, ma deve intendersi riferito al mantenimento della proporzione tra le prestazioni corrispettive principali (concessione del godimento del bene e pagamento del canone) od accessorie, se previste, tale che l’aumento del canone si renda necessario per riequilibrare il sinallagma tra i reciproci diritti ed obblighi.

La critica rivolta alla sentenza di appello, nella parte in cui evidenzia la diversa funzione degli incrementi ISTAT (conservare invariato nel tempo il valore del canone) e dell’aumento del canone base (variare nel tempo la prestazione a carico del conduttore) è inconferente rispetto alla “ratio decidendi”, fondata sul principio per cui all’aumento del canone deve corrispondere un maggiore vantaggio od utilità derivante al conduttore dal contratto locativo (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13245 del 31/05/2010)

Terzo motivo: violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte d’appello non si è affatto limitata ad utilizzare il criterio ermeneutico cd. letterale, desumendo dalla parola “aggiornamenti”, contenuta nella clausola 8 del contratto, che dovessero qualificarsi tali anche gli “aumenti” annuali del canone, decorrenti dal terzo anno, con conseguente elusione del limite legale di variazione dell’ incremento correlato alla svalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 32 della Legge equo canone. Piuttosto il Giudice di merito ha fondato la interpretazione della disposizione contrattuale concernente l’aumento del canone, alla stregua della omessa allegazione e dimostrazione degli oggettivi vantaggi od utilità derivati al conduttore corrispondenti agli aumenti del canone previsti dal terzo fino al sesto anno delle durata contrattuale, tali cioè da giustificare una alterazione del precedente equilibrio funzionale raggiunto tra le reciproche prestazioni: esaurito il periodo di avviamento dell’esercizio commerciale aperto al pubblico, stabilito convenzionalmente dalle parti nel primo biennio, la Corte territoriale ha ritenuto che non sussistesse altro plausibile interesse che imponesse una ulteriore modifica del canone base, e dalla circostanza che l’aumento in misura fissa conglobava anche l’aggiornamento ISTA (quindi la svalutazione monetaria), è pervenuto al convincimento che tale aumento fosse elusivo del limite legale ex art. 32 Legge equo canone.

Orbene tale accertamento in fatto della volontà negoziale espressa nel contratto di locazione (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2902 del 09/02/2007), è sindacabile avanti la Corte soltanto per vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie, peraltro, nei ristretti limiti consentiti dal nuovo testo della norma processuale introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. L. n. 134 del 2012), mentre la parte ricorrente ha inteso invece censurare la errata applicazione dei criteri ermeneutici degli atti negoziali, in relazione al criterio soggettivo testuale e sistematico, ma ha omesso del tutto di indicare in che modo il Giudice di appello abbia fatto scorretta applicazione dei criteri predetti, limitandosi soltanto a fornire una propria diversa interpretazione del contenuto negoziale, e dunque a prospettare un diverso risultato interpretativo che non può costituire utile parametro di verifica del corretto svolgimento della attività ermeneutica, unico oggetto del sindacato di legittimità.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità (relative alla sola fase della discussione orale) liquidate in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte Cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA