Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22900 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2020, (ud. 07/02/2020, dep. 21/10/2020), n.22900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 4887/2018 vertente tra:

La Ferro Cemento s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Arno 38, presso lo

studio dell’avv. Gianluca Moncada, rappresentata e difesa dall’avv.

Salvatore Lo Giudice, in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

e

Comune di Canicattì, in persona del sindaco pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2320/09/17 della CTR della Sicilia, depositata

il 19/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2020 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIACALONE

GIOVANNI, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2320/09/2017 della CTR della Sicilia, depositata il 19/06/2017, ha rigettato l’appello proposto dalla contribuente contro la sentenza di primo grado, che aveva respinto il ricorso dalla stessa proposto contro l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) del 04/10/2011, per TARSU relativa agli anni 2005 e 2006.

In particolare, per quanto in questa sede rileva, il giudice del gravame ha escluso che l’avviso di accertamento fosse viziato dalla mancata allegazione ad esso del verbale di sopralluogo, su cui l’accertamento si fondava, tenuto conto che la contribuente vi aveva comunque partecipato, e ha negato che il medesimo atto fosse carente di motivazione quanto agli interessi applicati sul credito tributario, considerato che vi era il richiamo ai parametri utilizzati per il calcolo, ritenendo infine infondata l’eccezione di decadenza ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

Avverso tale sentenza La Ferro Cemento s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.

Il Comune di Canicattì, nonostante la ritualità della notifica del ricorso, non ha svolto alcuna attività difensiva.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa delle proprie difese, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR erroneamente escluso che fosse intervenuta la decadenza prevista dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

Per quanto riguarda l’imposta (TARSU) riferita all’anno 2005, parte ricorrente ha affermato che l’avviso di accertamento è stato (invalidamente) notificato nell’ottobre 2011, quando era già decorso il termine previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, che, vista l’incontestata pregressa occupazione dell’immobile, doveva essere computato a partire dal 20 gennaio 2005, e non dal 20 gennaio 2006.

Per quanto riguarda invece l’imposta (TARSU) riferita all’anno 2006, la stessa parte ha rilevato che avrebbe dovuto tenersi conto della tardività della sanatoria per raggiungimento dello scopo, riguardante la notifica dell’avviso di accertamento nulla, perchè tale sanatoria era intervenuta nel 2012, con la costituzione in giudizio del contribuente che aveva impugnato l’avviso, e non nel 2011, quando è stato notificato l’atto di impugnazione.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2010, art. 7, dell’art. 2697 c.c., e della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per avere la CTR escluso il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato che, richiamando gli “accertamenti Maggioli” effettuati in sede di sopralluogo (da soggetti incaricati dell’affidataria del servizio), non riportava compiutamente il loro contenuto e non recava in allegato i relativi verbali, dando (erroneamente) rilievo al fatto che, dalla documentazione prodotta in corso di causa, risultava che comunque la contribuente aveva partecipato al menzionato sopralluogo.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 212 del 2010, art. 7, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per avere la CTR escluso che l’avviso fosse privo delle indicazioni necessarie e sufficienti per verificare la correttezza dell’importo richiesto a titolo di interessi, e quindi carente di motivazione sul punto, ritenendo (erroneamente) sufficiente la semplice informazione del conteggio nella misura corrispondente al tasso legale.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Per statuire su tale motivo, occorre affrontare due diverse questioni, riguardanti la notifica dell’avviso di accertamento in materia di TARSU.

La prima attiene all’individuazione, nella fattispecie in esame, del termine iniziale per la maturazione della decadenza prevista dal D.Lgs. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

La seconda riguarda il momento in cui operano gli effetti della sanatoria, per raggiungimento dello scopo, della notifica dell’avviso di accertamento in rettifica che sia viziata da nullità.

2.1. Con riferimento alla prima questione evidenziata, si deve tenere conto che la TARSU è determinata in base ad una tariffa commisurata ad anno solare, cui corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria, che decorre dal primo giorno del bimestre solare successivo a quello in cui ha avuto inizio l’utenza (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 64, comma 1).

I soggetti passivi dell’imposta devono presentare al Comune, “entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione”, una denuncia unica dei locali e delle aree tassabili. Tale denuncia ha effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità rimangano invariate. In caso contrario il contribuente è tenuto a denunciare, nelle medesime forme, le variazioni relative ai locali e alle aree che comportino un maggior ammontare della tassa o comunque influiscano sull’applicazione, e riscossione, del tributo (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, commi 1 e 2).

Alla tassa in questione si applica la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, ove è previsto che “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

La norma appena riportata ha unificato e aumentato a cinque anni i termini in precedenza regolati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1 (abrogato dalla L. n. 296 del 2006, menzionato art. 1, comma 172), il quale prevedeva che “In caso di denuncia infedele o incompleta, l’ufficio comunale provvede ad emettere, relativamente all’anno di presentazione della denuncia ed a quello precedente per la parte di cui all’art. 64, comma 2, avviso di accertamento in rettifica, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa. In caso di omessa denuncia, l’ufficio emette avviso di accertamento d’ufficio, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata”.

La medesima disposizione inoltre, in virtù della L. n. 296 del 2006 stesso art. 1, comma 171, non si applica solo ai rapporti d’imposta sorti successivamente alla data di entrata in vigore della citata L. (01/01/2007), ma anche a quelli che, a tale data, risultano ancora pendenti.

Ciò significa che, come è avvenuto nel caso di specie, ai tributi dovuti per le annualità precedenti al 2007, per i quali, alla data del 01/01/2007, in base alla disciplina previgente, non era ancora intervenuta la decadenza, si deve applicare il nuovo termine decadenziale, stabilito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, (v. in argomento Cass., Sez. 5, n. 24187/2016).

2.2. Come appena evidenziato, ai fini dell’applicazione della tassa in esame, il contribuente è tenuto a presentare la dichiarazione all’inizio dell’occupazione (o della detenzione) e non deve ripresentarla ogni anno, a meno che non intervengano variazioni che incidano sull’ammontare del tributo.

Diverso è però il discorso nel caso in cui la denuncia iniziale sia infedele (o incompleta).

Si è infatti già precisato che, per ogni anno solare, sussiste una distinta obbligazione tributaria (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 64, comma 1), sicchè, come accade nel caso di totale omissione della dichiarazione, anche nel caso in cui l’iniziale denuncia sia infedele (o incompleta), il contribuente non è liberato dall’obbligo di presentare la denuncia, corretta e completa, perchè tale obbligo permane e si rinnova di anno in anno, tant’è che la sua inottemperanza è sanzionata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 76, per ogni anno in cui la denuncia non è presentata.

Qualora, dunque, il contribuente effettui una iniziale denuncia infedele (o incompleta) e negli anni successivi resti inerte, in questi anni, non presentando la dichiarazione dovuta, si trova nella stessa condizione di chi abbia omesso di presentarla (così da ultimo Cass., Sez. 5, n. 25063/2019).

D’altro canto, la protratta inottemperanza all’obbligo di presentare la denuncia, non può provocare la decadenza, per decorso del tempo, del potere del Comune di accertare le superfici non dichiarate, che continuino ad essere occupate o detenute, ovvero gli altri elementi costituenti presupposto per l’applicazione della tassa (cfr. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 25063/2019; Cass., Sez. 5, n. 22894/2017; Cass., Sez. 5, n. 2672/2016).

La decadenza, sancita dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, non attiene, infatti, al potere di accertamento dell’occupazione (o della detenzione) o degli altri presupposti del tributo, ma al diritto del Comune di esigerne il pagamento, dovendo gli avvisi di accertamento essere notificati – appunto, a pena di decadenza – entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la denuncia omessa avrebbe dovuto essere effettuata.

Ai fini della decisione, occorre pertanto individuare quale sia l’anno in cui tale dichiarazione avrebbe dovuto essere effettuata.

2.3. Come sopra evidenziato, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, i soggetti passivi dell’imposta devono presentare, “entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione”, denuncia unica dei locali e delle aree tassabili (e, nello stesso termine, devono provvedere a denunciare ogni variazione che influisce sull’importo della tassa dovuta).

In via generale, secondo un’opinione da tempo diffusa in giurisprudenza, l’espressione “entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione” riguarda sempre e comunque l’anno successivo a quello relativo alla tassa da pagare. Ciò significa che, a prescindere dal momento in cui, nell’anno di riferimento, ha inizio l’occupazione (o detenzione), la denuncia deve essere presentata entro il 20 gennaio dell’anno successivo. Di conseguenza, è a partire da tale data che inizia a decorrere, per l’ente impositore, il termine di decadenza previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161 (così Cass., Sez. 5, n. 17219/2018 per un precedente specifico; conf. Cass., Sez. 5, n. 27578/2018; Cass., Sez. 5, n. 17219/2018; Cass., Sez. 5, n. 1984/2018; Cass., Sez. 5, n. 22894/2017; Cass., Sez. 5, n. 18499/2017; Cass., Sez. 5, n. 11675/2017).

Secondo un’altra opinione, di recente sostenuta da una parte della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. 5, n. 3058/2019; Cass., Sez. 5, n. 22224/2016; Cass., Sez. 5, n. 12795/2016), il testo del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, non consente di ritenere che il menzionato termine del 20 gennaio debba riferirsi sempre e comunque all’anno successivo a quello di riferimento. In particolare, esaltando il dato strettamente letterale della norma, si afferma che le occupazioni iniziate tra il 1 e il 19 gennaio devono essere dichiarate entro il 20 gennaio ad esse immediatamente successivo, e cioè dello stesso anno, mentre le occupazioni successive al 20 gennaio devono essere dichiarate entro il 20 gennaio dell’anno successivo.

Tale tesi è stata fatta propria da parte ricorrente che – evidenziando come, nella specie, l’occupazione era senza dubbio già in atto nei primi giorni dell’anno di riferimento, perchè si protraeva dagli anni precedenti – ha affermato che la denuncia relativa a quell’anno avrebbe dovuto essere presentata entro il 20 gennaio dello stesso anno (e non dell’anno successivo).

Si deve tuttavia tenere presente che, come sopra precisato, qualora il contribuente non adempia all’obbligo su di lui gravante di presentare la denuncia – perchè non ha effettuato l’originaria dichiarazione, o perchè ha omesso di segnalare le variazioni intervenute, ovvero perchè, come nel caso di specie, non ha presentato la denuncia negli anni successivi a quello in cui ha effettuato una dichiarazione infedele (o incompleta) l’obbligo di presentazione della denuncia permane e si rinnova di anno in anno.

Nei casi di omessa denuncia, per ciascun anno di inerzia del contribuente, ciò che rileva è il fatto che sia trascorso tutto l’anno, senza che il contribuente abbia provveduto ad adempiere all’obbligo di presentare la dichiarazione.

In altre parole, nelle ipotesi sopra evidenziate, l’obbligo di presentare la denuncia, fedele e completa, resta per tutto l’anno di debenza della tassa e permane fino a che il contribuente non provveda a presentarla.

Ciò significa che ogni giorno dell’anno è un giorno in cui il contribuente è chiamato ad effettuare la denuncia. Il termine previsto dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, non può pertanto essere che il 20 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento.

Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, è questa la data entro la quale, nelle ipotesi summenzionate, la denuncia omessa avrebbe dovuto essere presentata e pertanto è questa la data che deve essere considerata ai fini del computo del termine quinquennale di decadenza, previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 61.

2.4. In conclusione, deve affermarsi il seguente principio: “In tema di TARSU, il contribuente che, negli anni successivi a quello in cui ha presentato una ‘denuncia unica dei locali e delle aree tassabilì infedele, ometta di presentare una denuncia corretta, restando inerte, si trova nella condizione di che non ottempera all’obbligo di effettuare tale presentazione, sicchè, avendo, in tali ipotesi, tempo fino al 20 gennaio dell’anno successivo per adempiere a tale obbligo, è dall’anno successivo a quello a cui il tributo si riferisce che decorre il termine quinquennale di decadenza di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161”.

2.5. Nello stesso motivo di ricorso, la ricorrente ha anche allegato che la notificazione dell’avviso di accertamento, effettuata nel mese di ottobre 2011, era invalida e, pur essendo intervenuta la sanatoria per raggiungimento dello scopo, essendo stata proposta tempestiva impugnazione, la sanatoria aveva operato tardivamente, perchè doveva considerarsi il momento della costituzione in giudizio della ricorrente, effettuata agli inizi dell’anno 2012, e non quello della notificazione dell’impugnazione, eseguita alla fine dell’anno 2011.

Il motivo è infondato.

Com’è noto, il rinvio operato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento) alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento, dell’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c.

In argomento, sono intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno affermato che l’istituto della sanatoria, sebbene originariamente proprio della materia processuale, non è inapplicabile anche agli atti di natura sostanziale ed, in particolare, ai vizi della notifica degli avvisi di accertamento.

Le menzionate Sezioni Unite hanno così affermato che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., sia pure precisando che tale sanatoria può operare solo se il conseguimento dello scopo avviene prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio del potere di accertamento (così Cass., Sez. U, n. 19854/2004 e, negli stessi termini, Cass., Sez. 5, n. 10445/2011).

Successivamente, la sanatoria ex art. 156 c.p.c., della notifica dell’avviso di accertamento, per effetto della proposizione della tempestiva impugnazione, è stata più volte ribadita questa Corte (cfr., tra le tante, Cass., Sez. 5, n. 18480 del 21/09/2016, Cass., Sez. 5, n. 6678/2017 e, con riferimento alla notifica della cartella di pagamento, Cass., Sez. 5, n. 17198/2017).

Può dunque affermarsi che la tempestiva proposizione del ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento invalidamente notificato produce l’effetto di sanare ex tunc la nullità della relativa notificazione, per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c., pur non determinando il venir meno della decadenza, eventualmente verificatasi medio tempore, del potere sostanziale di accertamento dell’Amministrazione finanziaria.

Nessun rilievo, in tale quadro, assume dunque la costituzione in giudizio del contribuente che impugna l’atto invalidamente notificato, trattandosi di adempimento successivo alla proposizione dell’impugnazione, che nulla aggiunge a quest’ultima attività, con la quale inequivocamente il destinatario già dimostra di avere ricevuto l’atto ad esso indirizzato.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, è pertanto con riferimento alla data in cui è proposta l’impugnazione che occorre verificare se si è verificata o meno la decadenza prevista dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

3. Con riferimento al secondo e al terzo motivo, si deve precisare che, sebbene la parte abbia fatto riferimento non solo al n. 3), ma anche all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), tuttavia, dalla stessa illustrazione dei motivi, si evince chiaramente che non è prospettata l’omessa valutazione di un accadimento o di una circostanza in senso storico-naturalistico, ma la mancata considerazione di argomenti giuridici e dunque l’esistenza di vizi della sentenza impugnata astrattamente riconducibili alla violazione di legge (v., tra le tante, Cass., Sez. 1, n. 26305/2018; Cass., Sez. 2, n. 14802/2018).

4. Il secondo motivo di ricorso è comunque infondato.

E’ noto che, secondo la L. n. 212 del 2000, art. 7, “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di accertamento gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità di integrare le ragioni, che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3, sicchè detto obbligo riguarda i soli atti che non sono stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione peraltro di quelli a cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, potranno poi essere utilizzati ai fini della prova della pretesa impositiva (così Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24417 del 05/10/2018).

Inoltre, il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 7, deve essere interpretato alla luce dell’intero sistema in cui si inserisce, tenendo in particolare presente, oltre al principio del raggiungimento dello scopo, anche il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 10, ove è stabilito che “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. Pertanto, alla luce del principio di ragionevolezza, espresso dall’art. 3 Cost., nonchè del principio di solidarietà economica e sociale, di cui all’art. 2 Cost., che deve ispirare i rapporti reciproci – anche tributari – fra Pubblica Amministrazione e cittadino, la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente, e in negativo, sulla sua sfera giuridica (v. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11052 del 09/05/2018).

La possibilità, per il contribuente, di denunciare vizi fondati sulla pretesa violazione di norme procedimentali non tutela infatti l’interesse all’astratta regolarità dell’attività amministrativa, ma garantisce solo l’eliminazione dell’eventuale pregiudizio dal medesimo contribuente subito in conseguenza della denunciata violazione di norme, che siano espressione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione (v. ancora Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11052 del 09/05/2018).

Nel caso di specie, parte ricorrente ha dedotto la mancata allegazione all’avviso di accertamento del verbale di sopralluogo effettuato, all’esito del quale è emersa una maggiore estensione della superficie tassabile, ma non ha contestato di avere partecipato con un suo rappresentante a tale sopralluogo.

Inoltre, nella stessa illustrazione del motivo, la ricorrente ha richiamato la memoria del Comune nel giudizio di primo grado del 28/09/2012, ove si afferma che “l’avviso dedica un intero riquadro alla descrizione analitica di ciò che il contribuente ha dichiarato e di quello che il Comune ha accertato a seguito di sopralluogo” (p. 10 del ricorso per cassazione), senza contestare quanto riportato, ma fondando su tali affermazioni la necessità di allegare all’avviso il menzionato verbale.

Per queste ragioni il motivo di impugnazione deve essere respinto.

5. Anche il terzo motivo di impugnazione risulta infondato.

Dalle stesse allegazioni della ricorrente si evince che nell’avviso di accertamento poteva leggersi che “Gli interessi vengono calcolati nella misura del tasso legale anno, L.F. n. 296 del 2007, art. 1, comma 165” (p. 14 del ricorso per cassazione).

Questa Corte ha ritenuto che l’atto impositivo deve indicare le modalità di calcolo degli interessi, in modo da consentirne il controllo da parte del contribuente ai fini di un effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dello stesso (cfr. Cass., Sez. 6-5, n. 17767/2018, sia pure riferita alla cartella di pagamento). E nel caso di specie le indicazioni date risultano sufficienti, tenuto conto che la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 165 – legge dello Stato, che non può non ritenersi conosciuta (o comunque conoscibile dalla contribuente) – prevede che “La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili”.

Nessuna ulteriore spiegazione doveva pertanto essere fornita.

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1, comma 1 quater, e art. 13 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso introduttivo, se dovuto.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

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