Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2290 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. II, 26/01/2022, (ud. 10/09/2021, dep. 26/01/2022), n.2290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3302-2017 proposto da:

M.G., M.M., M.D., e M.A.,

rappresentati e difesi dall’Avv. FRANCO DEL MONTE, che li

rappresenta e difende presso lo studio in RIONERO, Via ROMA 225;

– ricorrenti –

contro

C.G., rappresentata e difesa dall’Avv. MICHELE DI GAETANO,

ed elettivamente domiciliata, presso lo studio dell’Avv. Vittorio

Attolino, in STORNARA (FG), Via F. BARACCA 9;

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 71/2017, della CORTE di APPELLO di SALERNO

depositata il 24/01/17;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione, notificato in data 10.2.1988, M.G., M.M., M.D., M.A. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Melfi C.G. esponendo di avere acquistato da A., T. e Co.Fe., con atto per notar G. del 31.1.1984, un fondo rustico, di natura pascolo, sito in (OMISSIS), di ettari 6,7066, per il prezzo di Lire8.000.000, ma di essersi in seguito avveduti che parte di esso era stato coltivato, senza il consenso dei precedenti proprietari, da D.G.V.M. e, poi, dalla moglie C.G.; pertanto, chiedevano la condanna di costei al rilascio del terreno, occupato senza titolo, oltre al risarcimento del danno.

Si costituiva in giudizio C.G., la quale resisteva alla domanda chiedendone il rigetto e, in via riconvenzionale, la dichiarazione di avvenuta usucapione in suo favore.

Espletata prova testimoniale e CTU, con sentenza n. 279/2001, depositata in data 30.6.2001, il Tribunale di Melfi rigettava la domanda attorea (dichiarata la nullità dell’atto di acquisto degli attori limitatamente alla porzione di fondo in contestazione) e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava l’avvenuto acquisto per usucapione del terreno in favore di C.G., con condanna degli attori alla rifusione delle spese processuali.

Avverso detta sentenza proponevano appello i M., contestando, da un lato, la qualificazione dell’azione come rivendica operata dal Tribunale, laddove si era in presenza di mera azione di rilascio e, dall’altro, il ritenuto raggiungimento della prova ai fini dell’usucapione.

Con sentenza n. 3/2008, depositata in data 9.1.2008, la Corte d’Appello di Potenza accoglieva il gravame e, in riforma dell’impugnata decisione, condannava C.G. al rilascio del terreno; rigettava la riconvenzionale; revocava la dichiarazione di nullità dell’atto di acquisto; condannava l’appellata alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione C.G..

Con sentenza n. 24114/2014, questa Corte accoglieva il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il terzo e rigettati gli altri; cassava la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava la causa anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’Appello di Salerno.

Con atto di citazione in riassunzione del 3.4.2015, C.G. conveniva dinanzi alla Corte d’Appello di Salerno i M., chiedendo la conferma della sentenza del Tribunale di Melfi n. 279/2001 e il rigetto della domanda avversa con l’accoglimento della riconvenzionale.

Si costituivano in giudizio i M. resistendo alla domanda in riassunzione.

Con sentenza n. 71/2017, depositata il 24.1.2017, la Corte d’Appello di Salerno rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata; condannava i M., in solido, alla rifusione in favore di C.G. delle spese processuali del giudizio di appello, del giudizio di legittimità e di quello di rinvio.

In particolare, la Corte territoriale rilevava che non fosse ammissibile la prospettazione offerta dai convenuti in riassunzione circa la formazione del giudicato sulla domanda riconvenzionale della C., considerato che la doglianza di cui al quarto motivo di ricorso per cassazione era stata ritenuta inammissibile soltanto in relazione al fatto che si concretizzava in una censura di mero fatto, volta a una diversa valutazione delle dichiarazioni rese dai testi.; laddove neppure poteva ritenersi fondata l’eccepita nullità della sentenza di primo grado per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dei venditori Co., atteso che non si verteva in ipotesi di litisconsorzio necessario, ma di garanzia per evizione, prevista solo a favore del compratore, come dedotto dalla difesa dei M., ma che non comporta la nullità della prima sentenza, potendo dar luogo a un autonomo giudizio; e nella parte in cui la Corte di merito riqualificava l’originaria domanda come azione reale di revindica proposta dai M. – ai quali il terreno era pervenuto a non domino – contro l’occupante ritenuto abusivo.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione M.G., M.M., M.D. e M.A. sulla base di un motivo, illustrato da breve memoria. Resiste C.G. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo, parte ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 Violazione di legge”, per non essersi il giudice del rinvio avveduto del passaggio in giudicato della domanda riconvenzionale avversa di usucapione, pronunciata dalla Corte di merito Potentina e confermato dalla Suprema Corte (col rigetto del 4 motivo di ricorso). Tale domanda riconvenzionale sarebbe quindi stata riesaminata illegittimamente dal Giudice di rinvio di Salerno”.

2. – Il ricorso è fondato.

2.1. – Costituisce principio consolidato (da ultimo Cass. n. 9156 del 2019; Cass. n. 5137 del 2019) quello secondo cui la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un “giudizio chiuso”, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass. n. 25244 del 2013). Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 4096 del 2007; Cass. n. 13719 del 2006; in senso analogo, Cass. n. 13006 del 2003).

La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale, volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. Cass. n. 25244 del 2013, cit.; cfr. Cass. n. 4018 del 2006). Ne’ va dimenticato che a tali regole si aggiunge quella secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (Cass. n. 3955 del 2018).

2.2. – Altrettanto consolidato e’, inoltre, il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice del rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. n. 17790 del 2014; conf. Cass. n. 448 del 2020; Cass. n. 838 del 2013; Cass. n. 13719 del 2006).

3. – Orbene, nella specie, questa Corte (Cass. n. 24114 del 2014) aveva rigettato la doglianza espressa nel quarto motivo di ricorso, dichiarandola inammissibile, sul rilievo che, ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione, la coltivazione del fondo non sia sufficiente non esprimendo, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere; occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da indizi che consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”.

Tale decisione così aveva resa intangibile – con la attribuzione della autorità di cosa giudicata – la pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione emessa dalla Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza del gennaio 2008.

3.1. – Ha errato, dunque, la Corte di rinvio nel ritenere di potere riesaminare la domanda riconvenzionale. Il suo esame era infatti precluso dal passaggio in giudicato della pronuncia di rigetto, come già rilevato, ormai inoppugnabile.

4. – Non essendo necessari ulteriori verifiche in fatto (potendo la Corte in questo contesto sindacare unicamente la corretta qualificazione giuridica dei fatti come accertati: Cass. n. 9883 del 2016; Cass. n. 4522 del 2016), la sentenza impugnata va cassata, nei limiti di cui sopra, ex art. 384 c.p.c., e – stante la reciproca soccombenza all’esito dell’intero giudizio (sia gli attori sulla revindica che la convenuta sull’usucapione) – tra le parti vanno compensate interamente le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la impugnata sentenza, nei limiti di cui in motivazione; e compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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