Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 229 del 09/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 09/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.09/01/2017),  n. 229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7682/2016 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n.

114/B, presso lo studio degli Avvocati Giovambattista Ferriolo e

Ferdinando Emilio Abbate, dai quali è rappresentata e difesa per

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Firenze, depositato il 17

novembre 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30

novembre 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Ranieri Roda con delega orale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che con decreto in data 23 aprile 2015 il consigliere designato della Corte d’appello di Firenze accoglieva la domanda di equa riparazione proposta da F.D. in relazione alla irragionevole durata di un procedimento, del pari in materia di equa riparazione, iniziato nel giugno 2010, articolatosi in tre fasi (cognizione dinnanzi alla Corte d’appello di Perugia; legittimità dinnanzi alla Corte di cassazione; esecuzione dinnanzi al Tribunale di Roma) e conclusosi in oltre quattro anni (ottobre 2014), e liquidava in favore della ricorrente un indennizzo di Euro 1.000,00;

che avverso questo decreto il Ministero della giustizia proponeva opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter;

che la Corte d’appello di Firenze, in composizione collegiale, accoglieva l’opposizione, respingendo la domanda della ricorrente nella parte relativa al giudizio di cognizione, sulla base del rilievo che il termine di sei mesi per la proposizione della domanda di equa riparazione decorresse dalla data di deposito della sentenza della Corte di cassazione;

che, quanto alla domanda concernente il procedimento esecutivo svoltosi presso il tribunale di Roma, la Corte d’appello di Firenze declinava la propria competenza ritenendo che fosse competente la Corte d’appello di Perugia;

che per la cassazione di questo decreto la F. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;

che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2, 3 e 4 e artt. 38 e 50 c.p.c.) la ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel considerare separatamente il giudizio di cognizione e quello di esecuzione, atteso che ciò che rileva è la effettività della tutela e il giudizio deve essere considerato nella sua unitarietà;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4, sostenendo che, ove venga dedotta la irragionevole durata di un procedimento presupposto avente ad oggetto una domanda di equa riparazione, articolatosi in più fasi di cognizione ed in una di esecuzione, l’art. 6 della CEDU imporrebbe di considerare tale complesso e articolato procedimento come un unico e unitario processo, scandito da fasi complementari e consequenziali, la cui definitività coincide con ilo momento del passaggio in giudicato del provvedimento emesso all’esito della fase esecutiva;

che con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, censurando il decreto impugnato per avere disposto la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 1.000,00 oltre accessori;

che il primo e il secondo motivo di ricorso sono infondati, alla luce del principio, di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, per cui “ai fini dell’equa riparazione per irragionevole durata, il procedimento di cognizione e quello di esecuzione devono essere considerati unitariamente o separatamente in base alla condotta di parte, allo scopo di preservare la certezza delle situazioni giuridiche e di evitarne l’esercizio abusivo. Pertanto, ove si sia attivata per l’esecuzione nel termine di sei mesi dalla definizione del procedimento di cognizione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, la parte può esigere la valutazione unitaria dei procedimenti, finalisticamente considerati come unicum, mentre, ove abbia lasciato spirare quel termine, essa non può più far valere l’irragionevole durata del procedimento di cognizione, essendovi soluzione di continuità rispetto al successivo procedimento di esecuzione” (Cass., S.U., n. 9142 del 2016);

che, nella specie, dallo stesso ricorso, nel quale viene riportato il testo del decreto monocratico, emerge che la sentenza di questa Corte definitiva del giudizio di cognizione, è stata depositata il 7 dicembre 2012 e che l’azione esecutiva è stata intrapresa con precetto notificato al Ministero in data 11 dicembre 2013, e quindi oltre il termine di sei mesi dal deposito della sentenza di cassazione;

che il terzo motivo è fondato, atteso che la Corte d’appello ha applicato per la fase di studio e per la fase introduttiva, rispettivamente, Euro 600,00 ed Euro 400,00, mentre la tariffa allegata al D.M. n. 55 del 2014, prevede, per i giudizio dinnanzi alla Corte d’appello per lo scaglione fino a 1.100,00 Euro, il compenso di 135,00 euro per ciascuna delle due fasi;

che, dunque, il terzo motivo di ricorso va accolto, discostandosi la liquidazione effettuata dalla Corte d’appello dall’indicato importo;

che tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, provvedendosi a riliquidare le spese del giudizio di merito in Euro 270,00 per compensi;

che, in considerazione del limitatissimo accoglimento del ricorso, le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate tra le parti.

PQM

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, liquida le spese del giudizio di merito in Euro 270,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2017

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