Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22895 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 21/10/2020), n.22895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17323-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EUROPA 2000 SPA IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

BORGOGNONA N. 42, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA

BRANCADORO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO VINCENZI,

giusta procura a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 40/2011 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 23/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/01/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STEFANO VISONA’ che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Europa 2000 spa (oggi in concordato preventivo) proponeva ricorso avverso avviso di accertamento recante rettifica della dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2003, avviso traente origine da un processo verbale di constatazione redatto dalla G. di F. all’esito di una verifica disposta dall’Autorità giudiziaria nell’ambito di indagini per un sospetto “giro” di fatture false; l’avviso di accertamento aveva per oggetto violazioni formali in tema di IVA e violazioni sostanziali in tema di imposte sui redditi, di IVA e di IRAP.

Per resistere al ricorso si costituiva l’Agenzia delle entrate.

La commissione tributaria provinciale di Ravenna pronunciava sentenza con cui – dopo avere respinto l’eccezione di inammissibilità per mancata allegazione della documentazione- rigettava il ricorso avente ad oggetto i seguenti rilievi: “spese di rappresentanza eccedenti la quota deducibile nell’esercizio”, “oneri fiscali non ammessi in deduzione” e “indebita detrazione di imposta per il rilievo” relativo alla prima voce; accoglieva il ricorso avente ad oggetto i seguenti rilievi: “perdite su crediti non deducibili” (voce recante rilievo riferito alle imposte sui redditi), “emissione di fatture per operazioni inesistenti”, “omessa autofatturazione da parte del cessionario di operazioni imponibili”, “indebita detrazione d’imposta” per la menzionata emissione (rilievi riferiti all’IVA); faceva carico all’Amministrazione di rideterminare le sanzioni per le violazioni formali in tema di IVA (irregolare tenuta di scritture contabili) e le violazioni sostanziali consistenti nella “presentazione di dichiarazione annuale infedele”, sempre in tema di IVA, e nella “presentazione di dichiarazione annuale infedele per indicazione di imponibile inferiore all’accertato”, in tema di IRAP.

Avverso tale sentenza, l’ufficio – parzialmente soccombente – proponeva appello fondato sulle argomentazioni già svolte in primo grado, integrate dalla produzione di sentenza del tribunale di Ferrara del 3.12.2008 di condanna dell’amministratore unico della società “per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, p. e p. dal D.L. n. 74 del 2000, art. 2, perchè, nella sua qualità di legale rappresentante e presidente del consiglio di amministrazione della Europa 2000 srl, con sede in (OMISSIS), al fine di evadere l’IVA, avvalendosi delle fatture per operazioni soggettivamente e/o oggettivamente inesistenti emesse da Elios srl Unipersonale con sede in (OMISSIS), di cui all’allegato 1, da considerarsi parte integrante del presente atto, indicava nella dichiarazione IVA relativa all’anno 2003, elementi passivi fittizi per complessivi Euro 5.375.321,81”.

Per resistere al gravame si costituiva la società, nel frattempo posta in liquidazione, la quale svolgeva appello incidentale teso ad ottenere la riforma della sentenza della CTP nella parte in cui aveva rigettato il ricorso.

La commissione tributaria regionale della Emilia Romagna pronunciava sentenza con la quale rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale.

Per la cassazione della predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi, di cui consta il ricorso, recano:

1) “Motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

2) “Motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

3) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 e art. 54, comma 2, dell’art. 2729 c.c. nonchè dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia della Comunità Europea 12.1.2006 (in cause C-354/03, 355/03 e 484/03) e 6.7.2006 (in cause C-439/04 e 440/04) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”.

4) “Motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

5) “Nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.”.

6) “Nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Occorre – in via preliminare – prendere in esame le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla contribuente in sede di controricorso.

La società eccepisce, innanzi tutto, la tardività della notifica del ricorso: la sentenza, non notificata, è stata depositata il 23.5.2011 e il ricorso è stato notificato il 9.7.2012.

L’eccezione è destituita di fondamento atteso che l’ultimo giorno utile – 8.7.2012 – cadeva di domenica: la notifica è pertanto tempestiva.

La seconda eccezione si concentra sulla circostanza sul fatto che la notifica del ricorso è avvenuta ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 55, che prevede che la notifica possa essere effettuata dall’Avvocatura dello Stato. In tal caso -precisa la resistente- la notificazione si perfeziona con la consegna del plico al destinatario, il che, nella specie, si è verificato in data 12.7.2012.

Neppure tale eccezione è fondata atteso che la tempestività dell’atto va verificata con riguardo al giorno in cui questo è consegnato all’ufficio postale (nella specie, 9.7.2012): in questi termini è la consolidata giurisprudenza di legittimità (cass. n. 14112/2016; n. 4549/2017).

Si può ora passare all’esame del ricorso.

Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione (insufficiente e contraddittoria) con riguardo al rilievo n. 1 portato nell’atto impositivo e concernente perdite su crediti non deducibili. La CTR -argomenta l’Agenzia ricorrente- ha genericamente motivato, di talchè non è dato comprendere l’iter logico che ha condotto il giudice dell’appello a rigettare sul punto l’appello laddove, in particolare, la stessa afferma che “…la sentenza impugnata ha ben motivato l’accoglimento, sul punto, del ricorso iniziale. L’espressione recata dall’art. 66 TUIR, comma 3 (ora 101 TUIR, comma 4 a far tempo dal 10.1.2004 “elementi certi e precisi” non può significare altro che occorre i crediti da eliminare siano dovuti dal debitore insolvente e determinati nel loro esatto valore. Non occorre che il creditore dimostri di essersi attivato o addirittura, che possa dedursi le conseguenti perdite soltanto a seguito della conclusione di una procedura concorsuale.”

Sembra al collegio che la censura della ricorrente, titolata quale vizio di motivazione, sia piuttosto inerente alla sfera della violazione di legge (l’art. 66 del TUIR), senza trascurare che, comunque, sono esplicitate nella sentenza le ragioni che hanno determinato il convincimento della CTR: il motivo non è quindi fondato e va rigettato.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione (insufficiente e contraddittoria) con riguardo ai rilievi n. 3 e n. 6 portati nell’atto impositivo e concernenti spese di rappresentanza non deducibili ed indebita detrazione dell’IVA relativa; l’ufficio -richiamato il PVC nella parte in cui aveva precisato che, ai fini delle imposte dirette, i beni dati in omaggio alla clientela, avrebbero dovuto essere considerati come spese di rappresentanza e come tali non integralmente deducibili (al contrario di quanto fatto dalla società) ai sensi dell’art. 108 TUIR – ha censurato la sentenza per avere erroneamente ritenuto che in beni in questione, avuto riguardo al disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, non concorrerebbero alla formazione della base imponibile.

Il motivo non è fondato in quanto – alla stregua del motivo così come articolato e sopra riassunto – avrebbe dovuto la ricorrente dolersi della sentenza, non sotto il profilo della motivazione, ma sotto quello della violazione di legge (D.P.R. n. 633 del 1972).

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, dell’art. 2697 c.c. e dei principi affermati in materia (direttiva 77/388/Cee) dalla Corte di Giustizia; con il quarto motivo l’ufficio denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, facendo riferimento alle medesime circostanza di cui al precedente motivo, inquadrate all’interno del vizio motivazionale: in sostanza i due rilievi hanno per oggetto il rilievo n. 4 dell’atto impositivo.

Attesa la evidente connessione, i due motivi vanno esaminati congiuntamente.

La doglianza investe la tematica della detraibilità dell’IVA nel caso di fatturazione per operazioni inesistenti o per operazioni comunque iscritte in un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare il fisco, questione che, invero, è stata oggetto di numerose decisioni di questa Corte che hanno investito – alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia – che cosa deve essere provato e come è ripartito l’onere della prova tra fisco e contribuente.

I termini della questione sono stati per ultimo riassunti dalla sentenza n. 9851/2018, la quale -nel ripercorrere le tappe più significative all’interno della giurisprudenza unionale (in primis, la sentenza della Corte di Giustizia 22.10.2015, Ppuh, C-277/14) e della giurisprudenza nazionale (a partire dalla sentenza n. 24426 del 30.10.2013) – ha affermato i seguenti principi di diritto (ai quali il collegio intende dare continuità nella presente sede):

“in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”.

“la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” “incombe sul contribuente la prova contraria di avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ed un’evasione fiscale e di avere adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”.

Alla luce dei principi esposti, è compito del giudice nazionale accertare, nei casi in cui vi sia stata una frode al fisco nei sensi sopra indicati, che il soggetto che esercita il diritto alla detrazione dell’IVA sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare, con il proprio acquisto, ad una operazione che si iscriveva in una frode all’IVA.

Nel caso di specie, il giudice di appello non si è attenuto ai principi sopra esposti laddove ha affermato che “la dichiarazione del titolare dell’azienda di trasporto Trasperfect Transports s.a.r.l. con sede in (OMISSIS) ( P.P.)….non è idonea a comprovare la criminosa partecipazione della società alla frode carosello” per poi aggiungere che “l’ufficio accertatore non ha fornito alcuna prova circa la “spartizione” dell’IVA frodata alla collettività (come scrive il giudice penale) nè circa il vantaggio economico conseguito dalla società verificata”.

Così decidendo la CTR non ha accertato se la contribuente, anche in relazione alla qualità professionale ricoperta e alle concrete modalità di scelta e realizzazione dell’operazione commerciale, “sapeva o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza”, che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, ed ha ritenuto elemento costitutivo della partecipazione alla frode carosello l’esistenza di un “vantaggio economico”, circostanza, invece, estranea alla struttura della fattispecie, al pari della “spartizione dell’IVA”, il cui onere probatorio la CTR ha posto a carico della odierna ricorrente.

Da quanto esposto consegue che i motivi vanno accolti.

Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, comma 2, dolendosi del fatto che la CTR ha ritenuto di non potere esaminare il rilievo n. 5 di cui all’atto impositivo (omessa autofatturazione di operazioni imponibili per Euro 926.889,94 per IVA pari ad Euro 185.379,97) non avendo l’ufficio “sviluppato esplicitamente alcun motivo specifico sul punto”.

Con l’ultimo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa pronunzia e violazione dell’art. 112 c.p.c. avente ad oggetto indebita detrazione d’imposta; anche il rilievo attinente alla indebita detrazione d’imposta – sostiene la ricorrente – ha costituito oggetto dell’appello e, tuttavia, la CTR sul punto nulla dice.

I due motivi – aventi ad oggetto, rispettivamente, i rilievi nn. 5 e 7 dell’atto impositivo – sono stati trattati congiuntamente in sede di appello e in modo analogo possono essere esaminati e valutati nella presente sede.

I motivi sono fondati considerato che entrambe le questioni sono state formalmente proposte all’esame del giudice di appello (la ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, ha trascritto, per la parte di interesse, l’atto di appello): il riferimento è alla “contestata omessa fatturazione di operazioni imponibili per l’importo di Euro 926.889,84” e alla “contestata utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti per l’importo di Euro 1.075.064,36”.

Il vizio di omessa pronuncia si ravvisa in entrambe le censure esaminate.

P.Q.M.

Accoglie il terzo, quarto, quinto e sesto motivo del ricorso, rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

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