Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22894 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 29/09/2017, (ud. 12/07/2017, dep.29/09/2017),  n. 22894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10389-2014 proposto da:

VIANINI INDUSTRIA SPA ORA VIANINI SPA, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA C. MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato MARIA

ASSUNTA COLUCCIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI APRILIA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA E. GIANTURCO

1, presso lo STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO LTPARTNERS, rappresentato e

difeso dall’avvocato DOMENICO APICE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 90/2013 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LATINA, depositata il 28/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RITENUTO

che la CTR del Lazio, con la sentenza n. 90/39/13, depositata il 28/2/2013, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Aprilia, avverso la sentenza della CTP di Latina, che aveva accolto il ricorso, proposto da Vianini Industria s.p.a., nei confronti della A.SER. s.r.l., all’epoca concessionaria del Comune di Aprilia, avverso l’avviso di accertamento per tassa di smaltimento rifiuti (TARSU), relativa agli anni dal 2002 al 2007, sostenendo la contribuente utilizzazione solo parziale (mq. 324) della complessiva superficie (mq. 3.055) dello stabilimento industriale, sito nel Comune di Aprilia, per una serie di vicende che ne avevano riguardato l’attività imprenditoriale; che il giudice di appello ha motivato la propria decisione nel senso che il Consiglio Comunale di Aprilia, con Delib. 12 marzo 2010, n. 3aveva deciso di riassumere in forma diretta la gestione delle proprie entrate prima affidata alla inadempiente società A.SER., per cui non v’era dubbio alcuno circa la legittimazione del Comune medesimo a proporre il gravame, in quanto soggetto attivo dell’obbligazione tributaria, e che nella denuncia D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70, la quale ha effetto anche per gli anni successivi, la contribuente aveva arbitrariamente ridotto la superficie imponibile, “senza provare i motivi della parziale esenzione”;

che la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria, cui resiste il Comune con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62, 63, 70 2 71, L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 161 e 162, art. 2697 c.c., giacchè la CTR ha richiamato, a supporto della decisione, giurisprudenza di legittimità attinente a fattispecie diversa da quella per cui è causa, avendo la contribuente indicato nella denuncia l’area imponibile (mq. 324), confortando le proprie deduzioni difensive con una perizia di parte, mentre la pretesa dell’ente comunale si basa sulle risultanze catastali dell’immobile, neppure riscontrate da un sopralluogo, in tal modo invertendosi l’onere probatorio gravante a carico del Comune;

che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, giacchè la CTR ha del tutto omesso di esaminare la eccezione di intervenuta decadenza, avuto riguardo all’annualità 2002, occorrendo considerare, in relazione all’anno di versamento della tassa, il 2002, che l’accertamento è stato notificato il 27/10/2008, ben oltre il quinto anno successivo a quello del versamento coincidente con il 31/12/2007;

che entrambi i motivi di doglianza vanno disattesi per le ragioni di seguito riportate;

che il D.Lgs. n. 507 del 1993 cit., art. 62, comma 1, stabilendo che “La tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti”, pone, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, una presunzione legale di produzione dei rifiuti (Cass. n. 19459/2003), superabile dall’occupante o dal detentore dell’immobile mediante indicazione, nella denuncia originaria o in quella di variazione (art. 70, comma 2 D.Lgs. cit.), e prova, in base ad elementi obiettivi o idonea documentazione, di almeno una delle circostanze implicanti l’esenzione, previste dallo stesso art. 62, comma 2, e cioè che i locali e le aree “non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perchè risultino, in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno”;

che, fermo restando che l’ente impositore, in mancanza di prova contraria da parte dell’utente, è legittimato ad applicare l’imposta in base agli elementi di cui è in possesso (Cass. n. 5895/2002), spetta all’utente medesimo, in presenza della suddetta presunzione legale, dimostrare che le porzioni d’immobile indicate sono obiettivamente inidonee a produrre rifiuti, dal momento che le deroghe legali alla previsione generale di soggezione alla tassa non operano automaticamente, al verificarsi delle situazioni di potenziale esenzione, ma queste debbono essere documentate dal contribuente od accertate in base ad elementi obiettivamente rilevabili (Cass. nn. 19459/2003, 19152/2003, 9309/2003, 14770/2000);

che da quanto esposto discende la incensurabilità della sentenza impugnata, sotto il profilo della dedotta violazione di legge, essendo corretto ritenere soggette a tassa le superfici dello stabilimento industriale in questione, che secondo la presunzione legale producono rifiuti, “in mancanza di prova contraria fornita dal contribuente”, in quanto “vanno conteggiate nella superficie imponibile tutte quelle aree idonee a produrre rifiuti”;

che neppure sussiste il dedotto vizio motivazionale della sentenza impugnata, per omesso esame della eccezione di intervenuta decadenza, avuto riguardo all’annualità 2002;

che, anzitutto, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, la nuova formulazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, vale a dire alle sentenze pubblicate dal giorno 11-9-2012 (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 28/2/2013);

che le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 8053/2014, hanno precisato il principio secondo cui la predetta riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”;

che, invero, la sentenza di appello ha correttamente evidenziato, così implicitamente respingendo l’eccezione di decadenza, che la denuncia del contribuente “ha effetto anche per gli anni successivi, e che, nella specie, essa è caratterizzata dal fatto che la società Vianini Industria ha “arbitrariamente” determinato la superficie imponibile (“mq. 324 in luogo di quella complessiva di mq. 3.055″);

che, come questa Corte già ha avuto modo di osservare, ” fermo restando l’obbligo del contribuente di denunziare tempestivamente e fedelmente i dati richiesti dalla legge, senza necessità di ripetere la denunzia annualmente, salvo che si verifichino variazioni (art. 70, comma 2), bisogna… considerare che ad ogni anno solare corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria (art. 64, comma 1); che quindi, se la denunzia fu incompleta o infedele ovvero si verificò, ad un dato momento, una variazione, l’obbligo di formulare una denunzia corretta e completa o di denunziare l’intervenuta variazione si rinnova di anno in anno; e che l’inottemperanza a tale obbligo – sanzionata dall’art. 76 – non può produrre, per decorso del tempo, la decadenza del comune dal potere di accertare le superfici non dichiarate che continuino ad essere effettivamente occupate o detenute, o gli altri elementi costituenti il presupposto della tassa. ” (Cass. n. 21337/2008)

che il potere, questo si limitato nel tempo, di chiedere il pagamento della tassa dovuta mediante emissione e notifica dell’avviso di accertamento (art. 71, comma 1), nel caso di specie, è stato tempestivamente esercitato dall’ente impositore, atteso che le denunce omesse e quelle infedeli possono essere accertate d’ufficio o rettificate entro il 31 dicembre del quinto (e non del terzo) anno successivo a quello in cui la dichiarazione fu o avrebbe dovuto essere effettuata (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161) e quindi entro il 31 dicembre 2008 (l’avviso impugnato risulta notificato il 27/10/2008);

che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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