Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22890 del 10/11/2016

Cassazione civile sez. III, 10/11/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 10/11/2016), n.22890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6601-2014 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE APRILE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PROSPERO PIZZOLLA giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO

CARO, 63, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GRASSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO IODICE giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4214/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato MARIA IODICE per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per la manifesta infondatezza

del ricorso (Cass. n. 19231/15), condanna aggravata alle spese e

statuizioni sul C.U..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’avv. M.F. (locatore) ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi e illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, depositata il 19 dicembre 2012, con la quale, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello principale, proposto da S.P. (conduttore) avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 11849/10, depositata il 22 dicembre 2010, l’attuale ricorrente è stato condannato al pagamento in favore del S., della somma complessiva di Euro 95.355,54, a titolo di ripetizione delle somme versate in eccedenza al locatore rispetto al canone legalmente dovuto da agosto 1986 al 30 giugno 2006 (nel dispositivo della sentenza della Corte di merito, per evidente lapsus è indicato 31 giugno 2006, ma vedi in motivazione, a p. 14), oltre interessi, è stato rigettato l’appello incidentale, è stata confermata nel resto la sentenza impugnata e sono state regolate le spese tra le parti. Ha resistito con controricorso S.P..

P.T. (che aveva agito in primo grado unitamente al S. e della quale il Tribunale aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva con statuizione non impugnata sul punto) non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Non è fondata l’eccezione – proposta dal controricorrente – di inammissibilità del ricorso per difetto di specialità della procura, atteso che, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza, dal quale non vi è motivo di discostarsi, il mandato apposto in calce o a margine – come nel caso di specie – del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, poichè in tal caso la specialità del mandato è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa si riferisce (Cass. 3/07/2009, n. 15692; Cass., ord., 22/01/2015, n. 1205).

2. Con il primo motivo si denuncia “viola ione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 11 preleggi; all’art. 112 c.p.c., art. 1339 c.c., art. 1597 c.c., commi 1 e 2 e art. 2033 c.c., – L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 12, L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, commi 1 e 6 e art. 14, commi 4 e 5; insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha applicato il principio enunciato da questa Corte con la sentenza n. 12996 del 2009. Prospetta una “lettura” della detta sentenza diversa da quella operata dalla Corte di merito e sostiene che, comunque, diversamente da quanto affermato con la richiamata pronuncia di questa Corte, dopo la scadenza del contratto di locazione per uso abitativo verificatasi nella vigenza della L. n. 431 del 1998, dovrebbe “valere” l’abrogazione della L. n. 392 del 1978, art. 79 e di tutte “le norme impositive dell’equo canone”. Ad avviso del ricorrente, quanto affermato da questa Corte con la già richiamata sentenza del 2009 presupporrebbe che la misura del canone sia stata giudizialmente accertata prima della scadenza contrattuale con conseguente rinnovo, in mancanza di disdetta, nei termini ipotizzati; nel caso in cui, invece, “il canone extra legale sia quello corrisposto durante il periodo della rinnovazione, la ulteriore rinnovazione tacita alla scadenza non potrebbe” che “determinarsi” “con la pattuizione del canone nella “misura a quel momento corrispost(a), accettata per fatti concludenti da entrambe le parti e pagata poi dal conduttore per tutto il periodo di durata della locazione L. n. 431 del 1998, ex art. 2, comma 6; in quella misura,… non più contra legem”, non rilevando la mancanza di forma scritta.

Ad avviso del ricorrente, “nella fattispecie, il conduttore avrebbe avuto diritto – sempre che non fosse decaduto dall’azione – alla determinazione dell’equo canone ed alla ripetizione delle somme pagate in eccedenza soltanto per il periodo da agosto 1986 a luglio 2002, prima scadenza contrattuale immediatamente successiva all’entrata in vigore della L. n. 431 del 1998”.

2.1. Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio affermato dalla sentenza di questa Corte n. 12996 del 5/06/2009 espressamente richiamata nella sentenza impugnata, secondo cui, nel caso di pendenza, alla data di entrata in vigore della L. n. 431 del 1988, di un contratto di locazione ad uso abitativo con canone convenzionale ultralegale rispetto a quello c.d. equo da determinarsi ai sensi della L. n. 392 del 1978, artt. 12 e segg. qualora sia intervenuta la sua rinnovazione tacita ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 6, il conduttore – in difetto di una norma che disponga l’abrogazione della menzionata L. n. 392 del 1978, art. 79 in via retroattiva o precluda l’esercizio delle azioni dirette a rivendicare la nullità di pattuizioni relative ai contratti in corso alla suddetta data – è da considerarsi legittimato, in relazione al disposto della medesima L. n. 431 del 1998, art. 14, comma 5 ad esercitare l’azione prevista dall’indicato art. 79 diretta a rivendicare l’applicazione, a decorrere dall’origine del contratto e fino alla sua naturale scadenza venutasi a verificare successivamente alla stessa data in difetto di idonea disdetta, del canone legale con la sua sostituzione imperativa, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., al pregresso canone convenzionale illegittimamente pattuito. Tale sostituzione, in ipotesi di accoglimento dell’azione, dispiega i suoi effetti anche con riferimento al periodo successivo alla rinnovazione tacita avvenuta nella vigenza della L. n. 431 del 1998. Tale principio è stato pure ribadito da Cass. 24/02/2015, n. 3596 e da Cass. 29/09/2015 n. 19231, la quale ha pure precisato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento tra locazione rinnovata tacitamente ed esplicitamente – della L. n. 431 del 1998, art. 14, comma 5, nella sua interpretazione conforme al diritto vivente, secondo cui, qualora le parti di una locazione abitativa già regolata dalla L. n. 392 del 1978, dopo l’entrata in vigore della L. n. 431 del 1998 abbiano lasciato tacitamente rinnovare per mancata disdetta il contratto, esso rimane regolato, quanto alla durata, dalle disposizioni di detta legge e quanto al canone da quelle della L. n. 378 del 1992, ivi compreso l’art. 79 della stessa legge. Tale effetto infatti non dipende da una scelta irragionevole del legislatore ma dall’inerzia del locatore il quale, pur potendo dare disdetta, lascia che il contratto si rinnovi.

2.2. Per completezza si evidenzia che, pur essendo stato richiamato in rubrica dell’art. 360 c.p.c., il n. 5 il ricorrente non ha proposto alcuna specifica doglianza nel rispetto del paradigma legale di cui alla detta norma, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data 19 dicembre 2012 (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053; Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257).

3. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 11 preleggi; all’art. 112 c.p.c., art. 1339 c.c., art. 1597 c.c., commi 1 e 2 e artt. 1422, 2033 e 2951 c.c.; L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 12; L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, commi 1 e 6 e art. 14, commi 4 e 5; insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorrente sostiene che, essendo “intervenuta l’efficacia dell’abrogazione della L. n. 392 del 1978, art. 79… alla data del 4 luglio 2002 per il contratto di locazione in esame, la proposizione della domanda di accertamento della nullità della clausola di pattuizione di un canone extralegale… non avrebbe sottratto l’azione di ripetizione alla prescrizione decennale decorrente dai singoli pagamenti dei canoni”, non potendosi ritenere che tale azione in relazione alle somme corrisposte in misura ultralegale possa essere proposta fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato.

3.2. Al rigetto del primo motivo consegue il rigetto del secondo, strettamente connesso al primo e del quale presuppone l’accoglimento, richiamandosi, comunque, anche in relazione al profilo prospettato dal motivo all’esame, quanto già affermato da questa Corte con le sentenze sopra richiamate circa l’esercizio, da parte del conduttore, dell’azione di ripetizione di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 79.

3.3. Si richiama, per mera completezza, quanto già evidenziato al p. 2.2. in relazione al richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5 contenuto pure nella rubrica del mezzo all’esame.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti dell’intimata, non avendo la stessa svolto attività difensiva in questa sede.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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