Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2289 del 30/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/01/2017, (ud. 13/10/2016, dep.30/01/2017),  n. 2289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26755-2012 proposto da:

PERFETTI VAN MELLE ITALIA S.r.l., c.f. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, nonchè PERFETTI VAN MELLE

S.p.a., c.f. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32,

presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, che le

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO

TOFFOLETTI;

– ricorrenti e c/ricorrenti all’incidentale –

contro

M.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

POMPEO UGONIO 3, presso lo studio dell’avvocato LUIGI ISABELLA

VALENZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE FERRARO;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2719/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, difensore delle ricorrenti,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.G. proponeva appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Milano in parziale accoglimento della domanda dal medesimo formulata nei confronti della società Perfetti Van Melle spa, con riferimento a pretese inadempienze della medesima in relazione al rapporto di agenzia intercorso tra le parti dal primo gennaio 1989 al 30 settembre 2009, risoltosi ad iniziativa della società Perfetti, aveva condannato quest’ultima al pagamento della somma di Euro 50.439,90 a titolo di pagamento provvigioni, indennità di fine rapporto e risarcimento del danno anzichè al maggior importo richiesto.

Si costituiva la società Perfetti Van Melle, chiedendo il rigetto del gravame e, in via incidentale, la condanna del M. a restituire le somme percepite a titolo di indennità di fine rapporto.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 2719 del 2011, in parziale riforma della sentenza di primo grado condannava la società Perfetti a pagare a M. la somma di Euro 86.860,54 a titolo di pagamento provvigioni, indennità di fine rapporto e risarcimento del danno. Condannava la società Perfetti a pagare un terzo delle spese del giudizio e compensava la restante parte. Secondo la Corte di Milano, il Tribunale, pur avendo riconosciuto che il M. aveva svolto attività di deposito per il settore ingrosso, pur in assenza di una specifica pattuizione, tuttavia gli aveva negato il compenso ritenendo che il M. avesse riconosciuto di aver ricevuto il compenso aggiuntivo dell’1% in riferimento all’attività di deposito, infondati erano gli altri motivi che riguardavano la liquidazione delle provvigioni, nonchè il risarcimento del danno, anche all’immagine professionale.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Perfetti Van Melle Italia srl e dalla società Perfetti Van Melle Italia spa, con ricorso affidato a quattro motivi. M.G. ha resistito con controricorso e proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato a tre motivi. La società Perfetti Van Melle Italia spa ha resistito al ricorso incidentale con autonomo controricorso. In prossimità dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A.= Ricorso principale.

1.= Con il primo motivo del ricorso principale, la società Perfetti van Melle Italia spa e la società Perfetti Van Melle Italia spa, lamentano l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Avrebbe errato la Corte di appello di Milano, secondo le ricorrenti, nell’aver fondato l’accoglimento della domanda ad una integrazione della provvigione concordata per la vendita ai grossisti sulla distinzione tra prodotti destinati ai dettaglianti e prodotti destinati ai grossisti, perchè non esistono prodotti destinati ai grossisti: tutti i prodotti sono destinati ai consumatori che li acquistano dai dettaglianti, i quali a loro volta li acquistano o dall’agente o dai grossisti. Sarebbe, quindi, assurdo prevedere il deposito con riferimento alle vendite ai grossisti per il semplice motivo che la Perfetti non avrebbe potuto spedire presso il proprio deposito nelle varie agenzie dei prodotti destinati ai grossisti, oppure destinati ai dettaglianti.

1.1.= Il motivo è infondato, non solo, perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici, ma, soprattutto, perchè la motivazione della sentenza impugnata è fondata sull’esistenza di due contratti più che sulla differenza tra i prodotti, cui si riferisce la ricorrente. Piuttosto, la Corte distrettuale ha avuto modo di chiarire “(…) come riconosce la stessa Perfetti, che i contratti erano due: uno per il dettaglio che comprendeva specificamente il deposito, e, l’altro, per l’ingrosso, che non lo ricomprendeva. Cosicchè, proprio il dato contrattuale invocato dalla Perfetti, appare supportare le difese della controparte. (..) la consegna dei prodotti non implica necessariamente anche il loro deposito a cura dell’agente, ben potendo quest’ultimo prelevare la merce dai magazzini della proponente, consegnarle al destinatario. La stessa Perfetti riconosce che le “consegne ai grossisti (…) in un primo tempo erano gestite dalla sede, anche se la vendita ai clienti grossisti è sempre stata affidata agli agenti Perfetti (…)”. E’ di tutta evidenza, pertanto, che alla base del riconoscimento dell’1% per il mandato “all’ingrosso”, la Corte distrettuale non ha posto la differenza dei prodotti ma, correttamente la differente attività prevista e pattuita nei due diversi contratti intercorsi tra M. e Perfetti (contratto per il dettaglio e contratto per ingrosso) e, dunque, i differenti e reciproci obblighi contrattuali.

2.= Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la falsa applicazione di norme di diritto: art. 1427 c.c. vizi del consenso, errore violenza e dolo; art. 1742 c.c.. Il contratto deve essere provato per iscritto; art. 1746 c.c., u.c., l’agente non ha diritto al rimborso delle spese di agenzia.; art. 1676 il deposito si presume gratuito (art. 360 c.p.c., n. 3). Secondo le ricorrenti la Corte distrettuale: a) avrebbe riconosciuto a M. un diritto non previsto dagli A.E.C. di settore che invero la prevedono solo per l’attività di riscossione in presenza dei relativi presupposti. b) E di più, un diritto non previsto dal contratto e quindi sostituendosi alla volontà contrattuale: 1) senza aver accertato dei vizi nella manifestazione della volontà; 2) sostituendo un patto contrattuale con un’integrazione equitativa. Eppure, il M. al momento della sottoscrizione del contratto era pienamente consapevole che avrebbe dovuto anche consegnare ai grossisti e la provvigione concordata comprendeva espressamente anche la consegna; 3) senza considerare che ai sensi dell’art. 1748 c.c. l’agente non avrebbe diritto al rimborso delle spese di agenzia; ai sensi dell’art. 1767 c.c., il deposito si presume gratuito; ai sensi dell’art. 1742 c.c., ogni pattuizione deve essere provata per iscritto, ed il contratto Perfetti M. prevedeva il deposito, la vendita ai dettaglianti, la vendita ai grossisti, specificando le aliquote provvisionali concordate tra le parti.

2.1.= Il motivo è infondato ed essenzialmente perchè non coglie la ratio decidendi.

Va qui osservato che accanto alle obbligazioni principali del contratto di agenzia, è evenienza comune che l’agente sia incaricato di svolgere attività accessorie a quelle tipizzate, come, ad esempio, la tenuta in deposito di prodotti del preponente, la corretta esposizione e presentazione dei prodotti nei punti vendita, così come ulteriori attività collegate all’evoluzione della distribuzione. Tali attività possono costituire oggetto di autonomi contratti, i quali integrano gli estremi di contratti collegati al contratto di agenzia, con vincolo di dipendenza unilaterale. Con la specificazione che i contratti di cui si dice, per così dire accessori, seguono la sorte del contratto principale cui accedono, senza mutarne la disciplina.

Ora, la Corte distrettuale, tenuto conto di questi principi, ha accertato che, nel caso in esame, il M., oltre all’adempimento delle obbligazioni riconducibili al contratto di agenzia, aveva svolto un’ulteriore attività a vantaggio del proponente, l’attività di deposito, che, seppure non prevista nel contatto di agenzia, andava, comunque, retribuita, quale lavoro autonomo accessorio al contratto di agenzia, anche ai sensi della normativa di cui all’art. 2225 c.c., e, cioè, anche in forma equitativa.

Pertanto, le osservazioni delle ricorrenti non sono pertinenti alla ratio decidendi di cui alla sentenza impugnata, posto che non tengono conto che l’attività di cui si dice seppure collegata al contratto di agenzia, aveva una sua autonomia e costituiva oggetto di altro contratto, il contratto di deposito, la cui esistenza giuridica non aveva bisogno della forma scritta e, tenuto conto delle circostanza e dello stesso rapporto con il contratto di agenzia, non poteva, neppure, presumersi a titolo gratuito.

3.= Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la falsa applicazione di norme di diritto: art. 1748 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo le ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe ritenuto che la qualifica del cliente (grossista o dettagliante) spettasse alla Perfetti interpretando erroneamente le dichiarazioni dei testi e ponendo a fondamento della decisione, la sola deposizione testimoniale del C.. Piuttosto, dai testi e dalle dichiarazioni del C. emergeva che la qualificazione del cliente spettava all’agente, il quale doveva specificare se si trattava di un grossista ed, in mancanza di una qualche specificazione, doveva considerarsi dettagliante.

Tuttavia, non solo la Corte distrettuale non avrebbe interpretato correttamente le chiare dichiarazioni dei testi ma avrebbe altresì accolto un argomento in diritto con riferimento all’art. 1748 c.c. non applicabile al fatto contestato al M.. In particolare, secondo le ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe applicato alla fattispecie in esame la normativa di cui all’art. 1748 c.c. mentre la fattispecie rientrerebbe nella diversa disciplina della violazione dei doveri di correttezza e buona fede dell’agente M..

3.1. = Il motivo è infondato sotto entrambi i profili in cui si articola.

a) Infondato è il primo profilo perchè l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui la qualificazione del cliente spettava alla Perfetti, non è suscettibile di essere vagliata nel giudizio di cassazione. Infatti, la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito. Il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito:

Nel caso, in esame la Corte distrettuale, ha ampiamente spiegato, con ragionamento logico e persuasivo, le ragioni che hanno comportato l’affermazione secondo la quale la qualificazione del cliente (grossista o dettagliante) spettava alla Perfetti, specificando, tra l’altro, che la testimonianza C. aveva evidenziato che “(….) nel corso del rapporto è capitato che la Perfetti modificasse di sua iniziativa la qualifica già attribuita ad alcuni clienti facendoli passare dal dettaglio all’ingrosso o viceversa. Non necessariamente tale variazione era ricollegabile a modifica del piano commerciale dello stato cliente (….)”.

b) Il motivo in esame è infondato, anche sotto il secondo profilo. Come ha già avuto modo di chiarire la Corte distrettuale, che qui si conferma, “(…) lo storno provvisionale altro non è che una restituzione di provvigioni corrisposte, quindi già riscosse dall’agente, ma realizzata unilateralmente dalla proponente (…)”. Pertanto, appare del tutto corretto riferire la fattispecie in esame alla normativa di cui all’art. 1748, comma 6, secondo il quale “(…) L’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente”. La società Perfetti avrebbe, dunque, potuto operare lo storno di cui si dice solo se avesse dimostrato di avere in effetti rimborsato ai cinque clienti contestati quanto in più da questi versato secondo il listino dettaglio. Epperò tale prova, come ha specificato la Corte distrettuale, non è stata fornita.

4.= Con il quarto motivo le ricorrenti lamentano insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), a proposito del rigetto dell’appello e dell’appello incidentale relativamente all’indennità ex art. 1751 c.c.. Secondo le ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe motivato il riconoscimento del diritto all’indennità di fine rapporto soltanto sui dati del fatturato non tenendo conto che quel dato non sarebbe da solo sufficiente a determinare l’indennità ex art. 1751 c.c., posto che tale normativa prevede, tra l’altro, di tener conto delle conseguenze a favore della mandante del fatturato successivo alla risoluzione del rapporto con i clienti nuovi acquisti, ovvero quelli che avevano contribuito ad incrementare sensibilmente il fatturato.

4.1.= Anche questo motivo è infondato ed essenzialmente perchè la Corte distrettuale, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, ha correttamente applicato la normativa di cui all’art. 1751 c.c., posto che ha riscontrato che il fatturato (traducibile in termini di vantaggio economico) della preponente si era mantenuto sostanzialmente identico prima e dopo la fine del rapporto con M.G.. Come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale “(…) in particolare proprio la incidenza percentuale del fatturato riconducibile al M. rispetto a quello della Perfetti a livello nazionale evidenzia come il primo giudice abbia esattamente valorizzato questo dato” (l’aumento del fatturato conseguito dalla proponente negli anni in cui M. ne è stato agente, era in maniera sostanzialmente paritetica) dovuto cioè in parte eguali all’attività dell’agente, e ai meriti commerciali della Perfetti nonchè al notorio aumento inflazionistico dei prezzi, posto che “(…) al di là delle enfatizzazioni del M. e dei contrapposti rilievi della Perfetti (..)” si è registrato un lieve (scrive la Corte “contenuto”), ma costante sino al 1998 e successivamente un lieve (scrive la Corte “contenuto”) decremento.

B.= Ricorso incidentale.

5.= M.G. lamenta:

a) Con il primo motivo del ricorso incidentale omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo il ricorrente incidentale, correttamente, la Corte distrettuale avrebbe riconosciuto a M. il diritto all’indennità di fine rapporto, ma avrebbe errato nella quantificazione, proprio perchè avrebbe riconosciuto lo stesso medesimo importo previsto dall’AEC (dall’accordo economico collettivo) e già percepito. Epperò, una volta riconosciuto che il M. aveva diritto all’indennità di fine rapporto, ai sensi dell’art. 1751 c.c., a detto riconoscimento non poteva che conseguire un risultato maggiore, quindi un’indennità di fine rapporto superiore a quella prevista dall’AEC, perchè, ove così non fosse, la Corte avrebbe dovuto applicare l’AEC proprio perchè deroga in melius all’art. 1751 c.c.. Sicchè posto che l’importo indennitario percepito dal M. secondo l’AEC sarebbe stato pari ad Euro 337.437,96 una motivazione coerente avrebbe imposto alla Corte di appello di riconoscere al M. ai sensi dell’art. 1751 c.c. una somma maggiore di Euro 337.437,96.

E di più, dalla consulenza tecnica d’ufficio emergerebbe con chiarezza la non corretta valutazione della Corte di appello nella parte in cui avrebbe ritenuto che, dal 1999 in poi, l’incidenza percentuale del fatturati riconducibili al M. avesse fatto registrare un altrettanto contenuto decremento. Piuttosto, l’incidenza percentuale sarebbe sempre in aumento anche per gli anni 1999 in poi.

b) Con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Secondo il ricorrente incidentale, il Giudice di appello nel momento stesso in cui ha valutato una sola circostanza non avrebbe fatto buon governo dell’art. 1751 c.c., non avendo tenuto conto di tutte le altre circostanze la cui valutazione è richiesta dall’art. 1751 c.c..

5.1.= Entrambi i motivi che, per la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Va qui evidenziato che la CGCE, investita dalla Corte di Cassazione, con la sentenza C-465/04 del 23.03.2006, ha interpretato gli artt. 17 e 19 della direttiva 653 del 18 dicembre 1986, ha affermato che: “l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, della direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione, ed ha chiarito che la natura sfavorevole o meno della deroga alle disposizioni dell’art. 17, consentita dall’art. 19 prima della scadenza del contratto, “dev’essere valutata al momento in cui le parti la prevedono. Queste ultime non possono convenire una deroga di cui esse ignorano se essa si rivelerà, alla cessazione del contratto, a favore, ovvero a scapito dell’agente commerciale”.

La sentenza impugnata ha pienamente osservato e confermato questi principi laddove ha affermato che “(…) quanto già corrisposto dalla Perfetti al M. a titolo di indennità di fine agenzia secondo i parametri dell’AEC corrispondeva ad una equa liquidazione ex art. 1751 c.c. (…)”. La sentenza, pertanto, va, sul punto confermata, anche perchè la valutazione dei dati processuali effettuata dalla Corte distrettuale non presenta alcun vizio nè logico nè giuridico.

b) Quanto alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. si rinvia a quanto già detto con riferimento al quarto motivo del ricorso principale.

6.= Con il terzo motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4). Secondo il ricorrente incidentale al Corte distrettuale nel riformare la sentenza di primo grado così accogliendo parzialmente il proposto appello avrebbe tuttavia omesso di pronunciarsi sulla condanna al pagamento delle spese del primo grado del giudizio da rideterminarsi sulla base dello scaglione di riferimento alla luce della maggiore somma che andavano riconosciute al M. rispetto a quelle riconosciute dal Tribunale.

6.1. = Il motivo non può essere accolto.

Come è stato già detto da questa Corte (Cass. n. 15360 del 28/06/2010), che qui si conferma, nell’ipotesi in cui una sentenza d’appello riformi parzialmente una decisione di primo grado che aveva accolto la domanda o le domande, condannando alle spese la parte convenuta, e si sia concretata nel rigetto parziale dell’unica domanda o nel rigetto di alcune domande, la conferma nel resto della sentenza di primo grado (che è l’ipotesi in esame), bene può essere intesa, come implicita valutazione da parte del giudice d’appello, nel senso che il ridotto accoglimento dell’unica domanda o di alcune domande, comunque, non integra ragione per compensare in tutto od in parte le spese, sì da giustificare che esse restino a carico della parte convenuta. In definitiva va rigettato il ricorso principale ed il ricorso incidentale. La reciproca soccombenza è ragione sufficiente per compensare le spese del presente giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi (principale ed incidentale), compensa le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2017

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