Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22887 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. III, 13/09/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 13/09/2019), n.22887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26925/2017 proposto da:

D.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONIO GIOVANNI FUSARO;

– ricorrente –

contro

COMPAGNIA LINEAR ASSICURATRICE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1524/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 29/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/06/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 12/5/2000, D.M. convenne davanti al Giudice di Pace di Rossano la compagnia di assicurazioni Linear SpA, esponendo di aver stipulato un contratto di assicurazione RCAuto in relazione ad una Fiat Punto di sua proprietà; che, a seguito di un sinistro stradale, l’efficacia del contratto era rimasta sospesa dal 2/9/98 fino al 19/6/99 e che, nonostante detta sospensione, ella aveva pagato indebitamente la somma di Lire 1.150.000, di cui Lire 247.000 relative ad altra polizza.

Chiese di ottenere la restituzione della somma indebitamente pagata. La compagnia, costituendosi in giudizio, affermò che l’istante aveva reso, all’atto della stipula di più contratti di assicurazione RCAuto, tra cui quello di cui alla citazione, dichiarazioni inesatte in relazione a circostanze fondamentali, con particolare riguardo ad una polizza stipulata in relazione ad un veicolo di cui ella aveva assunto non solo di essere proprietaria ma anche di esserne la conducente abituale, e che era invece risultato condotto dal figlio P.R., residente a (OMISSIS), ove si erano verificati alcuni sinistri. Sulla base di questi dati la compagnia assunse che, qualora la D. avesse comunicato correttamente dette circostanze, il premio di polizza sarebbe certamente stato molto più elevato rispetto a quanto effettivamente pattuito. Oltre a resistere alla domanda, la compagnia formulò pertanto domanda riconvenzionale per sentir dichiarare la nullità dei contratti di assicurazione stipulati dalla D. e per sentirla condannare alla restituzione della somma di Lire 20.117.000, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonchè al risarcimento dei danni.

Il Giudice di Pace adito dichiarò la propria incompetenza e la causa venne riassunta davanti al Tribunale di Rossano che, con sentenza n. 247/2008, accolse parzialmente la domanda della D. in ordine al rilascio dell’attestato di rischio e non anche in ordine alla somma asseritamente pagata indebitamente mentre, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò la D. a pagare, in favore della compagnia, la somma di Euro 9.563,23, rigettando la domanda risarcitoria.

La Corte d’Appello di Catanzaro, adita dalla D., con sentenza n. 1524 del 2016, per quel che ancora qui di interesse, ha ritenuto inammissibile l’eccezione di prescrizione sollevata dalla D. perchè la stessa, non essendo stata riproposta con l’atto di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, doveva intendersi rinunciata e comunque, in quanto riproposta solo in grado di appello, doveva intendersi nuova; ha rigettato il motivo di appello relativo alla valutazione delle risultanze probatorie ritenendo che correttamente il Giudice di primo grado avesse dato maggior rilievo al certificato storico di residenza del figlio della D. in (OMISSIS) piuttosto che ad altri elementi, anche alla luce dell’ammissione da parte della stessa D. che il figlio risiedesse principalmente a (OMISSIS); ha ribadito la violazione, da parte dell’assicurata, delle condizioni essenziali assicurative (CGA), specie in ordine alle informazioni non veritiere rese all’atto della stipula dei contratti; ha ritenuto assolto, da parte della compagnia, l’onere probatorio relativo alla rilevanza delle informazioni rese dalla D. sulla stipulazione delle polizze e sulla reale rappresentazione del rischio ed ha, conclusivamente, confermato la sentenza di primo grado in punto di violazione dell’art. 1892 c.c., escluso che il versamento effettuato dalla D. fosse senza causa, ha rigettato la domanda risarcitoria ed accolto il motivo d’appello relativo alle spese di lite, ritenendo di doverne disporre la compensazione.

Avverso la sentenza D.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Resiste la Linear con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – errata dichiarazione di inammissibilità dell’eccezione di prescrizione; violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 190 c.p.c. e dell’art. 2952 c.c. – la ricorrente censura la sentenza per aver omesso di rilevare che l’eccezione di prescrizione, formulata fin dall’atto introduttivo del giudizio da intendersi, in base alla traslatio iudicii, davanti al Tribunale di Rossano, era stata debitamente coltivata sicchè la statuizione di inammissibilità per la pretesa proposizione per la prima volta in grado di appello doveva essere cassata.

1.1 Il motivo è inammissibile perchè non ha una ragionevole possibilità di essere accolto. Infatti, l’eccezione di prescrizione, pur tempestivamente formulata, non è stata richiamata nelle conclusioni del primo grado di giudizio, di guisa che correttamente il giudice di merito ha ritenuto che la stessa fosse stata abbandonata. La sentenza, che ha espressamente dichiarato l’intervenuta rinuncia all’eccezione, è in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “La mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l’abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa. (Cass., 5, n. 16840 del 5/7/2013).

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 1892 e 2734 c.c.. Omessa, erronea e contraddittoria utilizzazione degli elementi istruttori – censura la sentenza per aver dato rilievo ad alcuni elementi di prova raccolti in giudizio, quali il certificato di residenza storico di P.R., cui non si sarebbe dovuto attribuire rilievo, a fronte di numerosi altri elementi di prova che avrebbero dovuto condurre il Giudice ad accertare che la residenza del medesimo fosse a (OMISSIS) e non anche a (OMISSIS). La sentenza avrebbe altresì errato nel ritenere che la D. avesse taciuto con dolo circostanze rilevanti ai fini del calcolo del rischio e dunque della determinazione dell’importo di polizza, senza darsi carico di accertare l’esistenza del dolo, che avrebbe dovuto invece essere oggetto di prova, in relazione alle circostanze di fatto del singolo caso. Sarebbe, dunque, evidente la violazione dell’art. 1892 c.c., in quanto le singole circostanze influenti sulla valutazione del rischio avrebbero dovuto essere analiticamente dimostrate ed argomentate dal giudice del merito.

2.1 Il motivo è inammissibile perchè di merito, volto ad ottenere una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, esame precluso al giudice di legittimità. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di escludere che al giudice del merito possa imputarsi di aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un ragionamento logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (Cass., n. 5586de1 9/3/2011). In disparte il preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilità del motivo, il medesimo sarebbe comunque infondato in quanto la sentenza motiva in modo del tutto adeguato e certamente nei limiti del minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, sulle ragioni per le quali il certificato di residenza storico del P. dovesse avere la prevalenza su altri elementi di fatto.

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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