Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22887 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 10/11/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 10/11/2016), n.22887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24820-2013 proposto da:

P.V. (OMISSIS), P.S. (OMISSIS), P.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE

ARTI 6, presso lo studio dell’avvocato LORETO ANTONELLO CHIOLA, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE CIANCI

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO

58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI PAOLO BUSINELLO giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.S. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

S.S. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

unitamente dagli avvocati DONATA DE MONTE, FLAVIANO DE TINA giusta

procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

P.L. (OMISSIS), C.N., P.S.

(OMISSIS), P.V. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 480/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 16/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito l’Avvocato LORETO CHIOLA;

udito l’Avvocato BRUNO COSSU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.L., S. e V., i primi due in qualità di coltivatori diretti nudi proprietari e la terza in qualità di usufruttuaria di un terreno confinante con altro di proprietà di S.S., convennero in giudizio quest’ultima per sentir accertare che essi avevano validamente esercitato la prelazione agraria a seguito della denuntiatio compiuta a convenuta, effettuando anche idonea offerta reale del prezzo di acquisto e chiedendo pertanto di dichiarare che erano divenuti proprietari del terreno.

La S. resistette assumendo che il fondo era stato alienato a tale C.N., che ne era da anni affittuaria coltivatrice diretta, e che aveva anch’essa dichiarato di voler esercitare la prelazione.

Con un successivo atto di citazione, i P. convennero in giudizio la S. e la C. per sentir dichiarare che il contratto di affitto stipulato dalle convenute era simulato e che non sussistevano impedimenti all’esercizio della prelazione e del successivo retratto da parte dei confinanti; dichiararono pertanto di esercitare il riscatto nei confronti della C. e chiesero al Tribunale di voler disporre che la somma già depositata in favore della S. (a seguito dell’offerta reale) fosse pagata alla C. e che entrambe le convenute venissero condannate al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata disponibilità dei fondi in capo agli attori, a far data dal momento in cui essi avevano dichiarato di voler esercitare la prelazione a seguito della denuntiatio effettuata dalla S..

Riuniti i due giudizi, il Tribunale di Udine ne separò la decisione pronunciando non definitivamente e dichiarando la simulazione del contratto di affitto tra S. e C. e, in ogni caso, l’insussistenza i condizioni ostative al riscatto da parte dei proprietari confinanti per difetto di stabile insediamento sul fondo dell’asserita affittuaria.

La sentenza – impugnata dalla S. e dalla C. – è stata riformata dalla Corte di Appello di Trieste, che ha escluso l’interesse ad agire dei P. per accertare la simulazione, affermando che il diritto di prelazione compete a chi sia proprietario e – insieme – coltivatore diretto, mentre P.V. era mera usufruttuaria del fondo confinante (senza averlo mai coltivato) e i figli, quali nudi proprietari, lo avevano coltivato soltanto per mera tolleranza da parte della madre.

Ricorrono per cassazione i P., affidandosi a due motivi; resistono – con distinti controricorsi – la C. e la S.; quest’ultima propone ricorso incidentale basato su un solo motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 “in relazione al presupposto della prelazione agraria spettante al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti” e censurano la Corte per avere escluso dal novero degli aventi diritto alla prelazione il nudo proprietario che sia anche coltivatore diretto del fondo confinante con quello posto in vendita.

Posta la questione del significato che in tale norma deve assegnarsi al termine “proprietario”, ossia se lo stesso “ricomprenda o meno anche il concetto di nudo proprietario”, i ricorrenti assumono che “il proprietario che abbia costituito un usufrutto, ovvero al quale quest’ultimo opponibile, rimane – per stesso concetto e definizione – il proprietario del bene” e richiamano, al riguardo, la pronuncia emessa dal Tribunale di Pinerolo in data 24.2.1988 (che aveva riconosciuto anche al nudo proprietario coltivatore diretto del fondo confinante il diritto all’esercizio della prelazione) nonchè Cass. n. 8561/1990, secondo cui il diritto di prelazione sussiste anche laddove l’oggetto della alienazione sia costituito dalla nuda proprietà.

1.1. Ritiene il Collegio che, in relazione alle finalità sottese alla disciplina della prelazione agraria e in riferimento all’ipotesi prevista dalla L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, non sussistano ragioni ostative alla possibilità di equiparare al proprietario coltivatore diretto di terreni confinanti con i fondi posti in vendita il nudo proprietario di tali terreni che ne sia legittimamente coltivatore diretto da almeno un biennio.

1.2. Va infatti considerato – in termini generali – che:

-il nudo proprietario è pur sempre titolare di un diritto di proprietà che, seppure temporaneamente compresso dall’esistenza dell’altrui diritto reale sul medesimo bene (tipicamente, l’usufrutto), suscettibile di riacquistare pienezza a seguito di consolidazione per estinzione del diritto parziario (cfr. Cass. n. 6525/1980, secondo cui la nuda proprietà non è “un diritto parziario rispetto alla proprietà piena, ma lo stesso diritto di proprietà temporaneamente compresso e destinato a riacquistare la sua naturale espansione alla fine dell’usufrutto”);

-ciò è tanto vero che questa stessa Corte non ha distinto fra proprietà e nuda proprietà nell’ipotesi – speculare a quella in esame – in cui si è trattato di affermare che “il diritto di prelazione agraria sussiste anche se l’oggetto dell’alienazione sia costituito dalla nuda proprietà del fondo con riserva di usufrutto” (Cass. n. 8561/1990, conforme a Cass. n. 2204/1973), così mostrando di non cogliere, agli effetti della prelazione, una diversità di “essenza” fra proprietà piena e proprietà temporaneamente compressa (ma destinata in un tempo più o meno prossimo – a riacquistare la sua pienezza);

-nè v’è ragione per ritenere che, per il solo fatto di essere titolare di un diritto temporaneamente compresso dall’usufrutto, il nudo proprietario non possa – ricorrendone le condizioni – espandere il proprio patrimonio per effetto dell’esercizio della prelazione sui fondi confinanti con quelli gravati da usufrutto (così come non gli è inibito – ex art. 983 c.c., comma 2 – di incrementare il proprio fondo con costruzioni o piantagioni, col consenso dell’usufruttuario).

1.3. Tanto premesso e passando a considerare specificamente le finalità della prelazione agraria e le condizioni per il suo esercizio, deve tenersi presente che:

-la funzione pacificamente riconosciuta all’istituto della prelazione agraria è quella di favorire la “creazione di imprese agricole moderne ed efficienti con conseguente incremento della produttività agricola” (Cass. n. 7768/2003), e ciò mediante l’accorpamento e l’espansione dei terreni coltivati dalla medesima impresa e l’unificazione nella stessa persona della titolarità dell’impresa agraria e della proprietà del fondo destinato all’attività imprenditoriale (Cass. n. 7185/2003; cfr. anche Cass. n. 7635/2002 e Cass. n. 10338/1991), in coerenza con i principi espressi dagli artt. 44 e 47 Cost.;

-tale favor giustifica le limitazioni determinate dal diritto di prelazione che, senza sacrificare la possibilità di circolazione dei beni e senza pregiudicare il diritto dell’alienante a percepire il corrispettivo di mercato del fondo, riducono la facoltà di scelta dell’acquirente, in favore dei soggetti che già sono insediati nel fondo (nei casi previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8) o che abbiano la concreta possibilità di espandere in essi l’impresa già esercitata sui fondi confinanti (nel caso previsto dalla L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, n. 2);

-tale ratio è anche alla base del ruolo decisivo che, nella disciplina dell’istituto, riveste il requisito della coltivazione diretta del fondo da parte di chi esercita la prelazione (non è un caso che l’art. 7, comma 2, n. 2) della L. n. 817 del 1971 reciti “al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi posti in vendita”, posponendo la qualifica di proprietario a quella di coltivatore diretto e ponendo dunque l’accento proprio su questa seconda qualità);

-al riguardo, i più recenti arresti di legittimità (cfr. Cass. n. 2092/2013) hanno peraltro precisato che, ai fini dell’esercizio della prelazione del confinante, non è richiesta una disponibilità del bene qualificata (“vestita”) dalla preesistenza di un rapporto agrario, essendo sufficiente che il possesso e la coltivazione del fondo non siano contra ius (in tal modo superando l’orientamento – cfr., per tutte, Cass. n. 4105/1990 – che richiedeva, ai fini della prelazione di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7, che la durata biennale della coltivazione del fondo fosse originata da uno dei rapporti agrari previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8).

1.4. Considerato dunque che la nuda proprietà costituisce anch’essa un’espressione del diritto di proprietà (ancorchè temporaneamente compresso) e tenuto conto delle ragioni sottese al favor del legislatore per lo sviluppo della proprietà diretta coltivatrice, deve concludersi che l’esercizio della prelazione agraria può essere consentito anche al nudo proprietario del fondo confinante con quello posto in vendita, a condizione che egli coltivi legittimamente e direttamente il terreno da almeno due anni, poichè, se l’usufruttuario consente la coltivazione del fondo, la qualità di nudo proprietario determina una relazione qualificata con il fondo e costituisce titolo legittimante della coltivazione.

1.5. Con specifico riferimento al caso in esame, deve dunque ritenersi che non sia sufficiente ad escludere l’esercizio della prelazione (e del succedaneo riscatto) la circostanza che P.V. sia usufruttuaria senza essere coltivatrice e che i figli – che si affermano coltivatori diretti – siano nudi proprietari: infatti, esclusa la possibilità di riconoscere il diritto di prelazione all’usufruttuaria (trattandosi di soggetto non contemplato dalla norma della L. n. 817 del 1971, art. 7), quanto ai nudi proprietari deve valutarsi – in concreto – se sussista o meno per essi il requisito della coltivazione diretta del fondo svolta in base ad un titolo legittimo, requisito che – come detto – può sussistere laddove l’usufruttuario abbia consentito la coltivazione e che – ove accertato – costituisce requisito (in concorso con gli altri requisiti legali) per l’operatività della prelazione e l’esercizio del riscatto.

1.6. Una siffatta conclusione è coerente col sistema normativo della prelazione agraria come sopra delineato, giacchè risponde pienamente alla finalità di incremento e potenziamento della proprietà diretta coltivatrice, consentendo l’immediata estensione al fondo trasferito dell’attività agricola in corso sui terreni confinanti (a differenza di quanto si verifica nell’ipotesi – già pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità- in cui l’oggetto del trasferimento sia costituito dalla nuda proprietà, nel quale l’espansione dell’impresa acquirente è differita al momento dell’estinzione dei diritto parziario gravante sui bene acquisito, a meno che l’usufruttuario non consenta la coltivazione del fondo).

1.7. Non sussiste perciò contrasto con l’arresto di questa Corte (Cass. n. 6904/2015) secondo cui “il diritto di prelazione e riscatto agrario, previsto dalla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7 comportando una limitazione del diritto di proprietà, non può essere riconosciuto al di fuori delle ipotesi tassativamente previste, sicchè non spetta al confinante proprietario, in quanto tale privo della qualità di coltivatore diretto del fondo, che non ha poteri di godimento del bene, di cui potrebbe non diventare mai pieno proprietario”, e ciò sul rilievo che “le norme sul diritto di prelazione e di riscatto sono norme di stretta interpretazione, che prevedono un numero chiuso di ipotesi e non consentono estensioni al di fuori di quelle tassativamente previste”, in quanto “il diritto di prelazione e di riscatto apportano, in concreto, una significativa limitazione del diritto di proprietà garantito dall’art. 42 Cost.”, cosicchè, dal momento che la norma della L. n. 817 del 1971, art. 7 riconosce il diritto al proprietario coltivatore diretto, “lo stesso diritto non può essere riconosciuto anche al nudo proprietario, perchè una simile estensione sarebbe evidentemente arbitraria”.

Ed infatti, da un lato, a prescindere dalla natura che si voglia attribuire alla disciplina della prelazione agraria; la tesi della natura “eccezionale” è contestata da parte della dottrina e la stessa giurisprudenza ai Legittimità – come nel caso della sentenza richiamata e della successiva Cass. n. 5952/2016 – preferisce parlare di tassatività delle ipotesi normativamente previste), deve ritenersi che la riconduzione dell’ipotesi della nuda proprietà nell’ambito di quella generale della proprietà, nella ricorrenza della coltivazione diretta del fondo per un titolo legittimo, non comporti un’interpretazione analogica o estensiva delle norme, bensì una ricognizione dell’esatta portata della previsione della L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, alla luce delle finalità perseguite dalla disciplina della prelazione agraria.

Dall’altro, la ratio sottesa a Cass. n. 6904/2015 (ossia la circostanza che il nudo proprietario sia privo della qualità di coltivatore diretto del fondo e non abbia poteri di godimento del bene) attenua l’affermata esclusione della prelazione per il nudo proprietario e riduce sensibilmente la distanza col principio che si va qui ad affermare, espresso in relazione ad una fattispecie diversa da quella considerata dal precedente del 2015 e che, lungi dall’estendere indiscriminatamente al nudo proprietario il diritto di prelazione, glielo riconosce a condizione che abbia – in concreto – la legittima disponibilità del fondo e ne sia coltivatore diretto da almeno due anni.

2. Il secondo motivo del ricorso principale censura la sentenza per “falsa applicazione degli artt. 75 e 100 cod. proc. civ. in relazione al concetto di legittimazione passiva sostanziale ed in riferimento posizione della convenuta S.”.

2.1. L’unico motivo dell’incidentale denuncia la falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. e dell’art. 1415 c.c. “in relazione al mancato accoglimento dell’eccezione di legittimazione passiva sollevata dalla sig.ra S.”.

2.2. I due motivi censurano – specularmente – la parte della sentenza, cui la Corte ha affermato che, anche se “il venditore dei cespite immobiliare è del tutto estraneo alla domanda di riscatto”, “il difetto di legittimazione sostanziale passiva della S. che ne consegue, tuttavia, resta confinato nell’ambito della domanda di riscatto, e di quelle strettamente consequenziali, senza potersi estendere a quella di simulazione, che i P. hanno introdotto in primo grado con atto di citazione del 25.8.2004, dando così luogo ad un autonomo giudizio (seppur successivamente riunito a quello riguardante la domanda di riscatto), in cui legittimata passiva era anche la S., in quanto parte dell’accordo simulatorio dedotto in causa”.

A fronte di tale affermazione, i P. si dolgono che la Corte abbia accolto in parte (ossia con riguardo alla domanda di riscatto) l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla S., rilevando che la venditrice era pienamente legittimata rispetto alle domande accolte con la sentenza non definitiva, che riguardavano proprio l’accertamento della simulazione.

La S. ha impugnato la medesima statuizione sostenendo – al contrario – che l’affermazione della Corte poggia sul presupposto che la domanda di simulazione sia stata introdotta autonomamente e poi riunita alla domanda di riscatto, mentre – in realtà – la domanda di simulazione era stata introdotta in funzione della domanda di riscatto: da ciò conseguiva che la domanda di simulazione era volta ad un accertamento incidentale (concernente un “presupposto logico-giuridico necessario a giustificare la proposizione dell’azione di riscatto nei confronti dell’acquirente”) e che non ricorreva un’ipotesi di litisconsorzio necessario, configurabile nel solo caso in cui l’accertamento della simulazione sia richiesto in via principale.

2.3. La censura proposta col ricorso principale è fondata e – conseguentemente – è infondato il ricorso incidentale: atteso che la domanda introdotta col secondo giudizio (n. 4166/2004, sfociato nella sentenza non definitiva n. 185/09 riformata dalla Corte di Appello con la decisione impugnata col presente ricorso) concerneva l’accertamento della simulazione, ancorchè l’interesse presupponesse la violazione del diritto di riscatto, non v’era spazio per ritenere fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva una volta che il giudice di primo grado aveva ritenuto di decidere pregiudizialmente su di essa e successivamente – come avvenuto con la sentenza definitiva 1641/10 del Tribunale, anch’essa impugnata in appello (cfr. pag. 15 e 17 del ricorso) – sulla domanda di accertamento dell’efficacia dell’esercizio della prelazione, svolta col primo atto di citazione nei confronti della sola S..

3. L’accoglimento del ricorso principale, nei termini illustrati, comporta la cassazione della sentenza e il rinvio alla Corte di merito che – in diversa composizione – dovrà procedere ad un nuovo esame della legittimazione ad agire in simulazione alla luce dei principi sopra affermati in relazione ai requisiti di ciascuno degli attori.

4. La Corte di rinvio provvederà sulle spese di lite, anche del giudizio di cassazione, all’esito finale del giudizio.

5. Atteso che il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure del ricorso principale accolte, e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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