Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22886 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. III, 13/09/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 13/09/2019), n.22886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26869/2017 proposto da:

P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CANFORA, rappresentato e

difeso dagli avvocati GAETANO FRANCHINA, GIUSEPPE SAPIENZA;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SCARL, in persona del Curatore PO.RO.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ORAZIO 31, presso lo studio

dell’avvocato MARCO MATTEI, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE AUGELLO;

– controricorrente –

e contro

PE.DO.AG., P.G., P.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 616/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 05/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/06/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione del 3/6/2011 la Curatela del Fallimento (OMISSIS) soc. coop. r.l. convenne davanti al Tribunale di Catania P.V., la moglie Pe.Ag. ed i figli P.G. e S. esponendo che in data 21/10/2005 era stato dichiarato il fallimento della (OMISSIS) già posta in liquidazione e che il prof. P., in qualità di Presidente del Collegio Sindacale, era stato convenuto, insieme ad altri membri del collegio, perchè fosse accertata ai sensi della L. Fall., art. 146, la responsabilità per mala gestio e perchè fosse condannato al risarcimento dei danni; che con sentenza del 31/1/2011 il P. era stato condannato in solido con altri convenuti a risarcire al Fallimento la somma di Euro 501.962,75; a seguito del fallimento il P. aveva posto in essere atti di disposizione del proprio patrimonio disponendo, in data 19/12/2007, un atto pubblico di costituzione di un fondo patrimoniale e, in data 23/12/2010, un atto pubblico di donazione, con ciò ponendo a rischio la garanzia patrimoniale dei creditori. Sulla base di detti presupposti il Fallimento (OMISSIS) chiese la revocatoria dei suddetti atti di disposizione patrimoniale. Il P. si costituì resistendo alla domanda, sollevando una serie di eccezioni tra le quali l’inammissibilità della revocatoria per essere il credito del Fallimento ancora sub iudice.

Il Tribunale di Catania con sentenza del 7/2/2014 accolse l’azione revocatoria e dichiarò l’inefficacia del contratto di costituzione del fondo patrimoniale e del contratto di donazione posti in essere dal P..

La Corte d’Appello di Catania, adita dal soccombente, con sentenza n. 651 del 2017, per quel che ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che il credito vantato dal Fallimento, ancorchè ancora sub iudice, fosse adeguato a costituire il presupposto dell’azione revocatoria, sulla base della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, tra i presupposti dell’azione ex art. 2901 c.c., si pone anche la mera aspettativa di un credito (Cass., n. 18 del 2008; n. 5359 del 2009); quanto all’eventus damni il Giudice ha ritenuto, sempre in continuità con la giurisprudenza di questa Corte, che anche il solo pericolo di danno derivante (ad esempio) da una minore aggredibilità dei beni del debitore o da maggiore incertezza o difficoltà nell’esazione coattiva del credito potesse costituire presupposto per l’azione revocatoria. Quanto alla prova dell’insussistenza dei suddetti requisiti, eccepita dall’appellante, la Corte d’Appello l’ha esclusa, ritenendo che la stessa non potesse essere ricavata nè dalla, peraltro non provata, ampia capacità reddittuale del P. nè dall’esistenza di una copertura assicurativa ma solo dalla attuale consistenza del suo patrimonio.

Conclusivamente il Giudice ha rigettato l’appello, disponendo consequenzialmente in ordine alle spese.

Avverso la sentenza P.V. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resiste il Fallimento della (OMISSIS) con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – censura la sentenza per aver ritenuto irrilevante la manifesta infondatezza del credito a tutela del quale era stata esercitata l’azione revocatoria. Ad avviso del ricorrente la sentenza avrebbe dovuto, indipendentemente dal fatto che il credito fosse sub iudice, ritenere che lo stesso fosse manifestamente infondato, in ragione della maturata prescrizione del credito stesso. Ad avviso del ricorrente il credito era ampiamente prescritto, come riconosciuto dalla Corte di Appello di Catania con la sentenza n. 1738 del 2017 pronunciata nell’ambito del giudizio relativo all’azione di responsabilità L. Fall., ex art. 146, decorrendo il termine prescrizionale non dalla dichiarazione di fallimento ma dal diverso ed anteriore momento del voto da parte dei creditori sulla proposta concordataria. In ragione della riconosciuta prescrizione del credito sarebbe mancato uno dei presupposti dell’azione revocatoria.

1.1 Il motivo non è fondato. In base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, alla quale si intende dare continuità, il giudizio avente ad oggetto l’azione revocatoria di atti di disposizione del patrimonio del debitore è distinto da quello relativo alla pretesa insussistenza del credito, e questo secondo non svolge alcuna pregiudizialità rispetto al primo, avendo i due giudizi presupposti completamente diversi. Il giudizio sull’accertamento del credito non costituisce pertanto l’indispensabile antecedente logico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo da escludere l’eventualità di un conflitto tra giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito (Cass., U, n. 9440 del 18/5/2004; Cass., 3, n. 16577 del 5/8/2005; Cass., 3, n. 19129 del 29/9/2005; Cass., 3, n. 16722 del 17/7/2009, Cass., 3, n. 11573 del 14/5/2013, Cass., 1 n. 17257 del 12/7/2013; Cass., 6-3, n. 3369 del 5/2/2019).

2. Con il secondo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione agli artt. 169 e 170 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – censura la sentenza per aver ritenuto sottoponibile ad azione revocatoria l’atto di donazione della nuda proprietà di un bene immobile disposto dal P. e dalla moglie in favore dei figli in data 23/12/2010, in ragione del fatto che detti beni, in quanto già facenti parte del fondo patrimoniale fin dal 1993, erano insensibili alla garanzia patrimoniale del creditore.

Ad avviso del ricorrente, per ritenere fondata l’azione revocatoria, il giudice avrebbe dovuto considerare se il bene costituente la garanzia patrimoniale del credito potesse o meno in effetti costituire oggetto di quella garanzia, difettando, in caso di risposta negativa, il presupposto dell’eventus damni. Al momento del sorgere del credito, per la cui tutela la Curatela fallimentare ha agito, il bene era insensibile alla garanzia patrimoniale generica offerta al ceto creditorio, in base alla previsione dell’art. 2740 c.c., comma 2 e art. 170 c.c..

2.1 Il motivo, in disparte profili di inammissibilità per difetto di autosufficienza per non avere il ricorrente assolto all’onere di provare in quali termini il suo patrimonio restasse capiente all’esito della donazione della nuda proprietà del bene, non è comunque fondato, in quanto l’azione revocatoria va ad incidere solo sull’efficacia dell’atto nei confronti del creditore e non anche sulla sua validità di guisa che non si può parlare di automatica reviviscenza del vincolo. Una volta posto in essere l’atto dispositivo (donazione) non si può, con riguardo ad un bene che era oggetto di un fondo patrimoniale, ritenere che, all’esito della revocatoria ordinaria dell’atto, riviva automaticamente il primo vincolo impresso al bene. Ai fini dell’azione revocatoria, come è noto, è sufficiente un atto di disposizione che immuti qualitativamente o quantitativamente il patrimonio del disponente o ne renda più difficile l’esecuzione, così come è certamente per un atto di donazione che importa l’imprescindibile ed inequivoca revoca del fondo patrimoniale stabilito su quel bene. Peraltro, mentre i beni che costituiscono oggetto di fondo patrimoniale, pur essendo destinati al soddisfacimento delle esigenze della famiglia, restano pur sempre nel patrimonio del disponente e possono essere oggetto di esecuzione ex art. 170 c.c., la donazione invece determina la perdita della proprietà del bene e dunque diminuisce senza alcun dubbio il patrimonio del donante. Ne consegue che, del tutto correttamente, l’impugnata sentenza ha ritenuto sussistere il presupposto dell’eventus damni.

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato, ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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