Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22885 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2020, (ud. 15/05/2019, dep. 21/10/2020), n.22885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21944/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– ricorrente –

contro

MARCHETTO PELLAMI SPA, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti

Prof. FRANCESCO MOSCHETTI e Prof. FRANCESCO D’AYALA, elettivamente

domiciliato presso quest’ultimo in Roma, Viale Parlali, 43;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

n. 26/1/13 depositata il 12 febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La contribuente, all’esito di accertamento con adesione, ha impugnato l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate di Rovigo aveva contestato l’illegittima detrazione di IVA e l’indeducibilità di costi riguardanti operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti (questione della oggettiva inesistenza successivamente venuta meno in sede di autotutela), sul presupposto che alcuni fornitori della contribuente fossero ditte interposte tra importatori delle pelli e destinatari finali;

la CTP di Rovigo ha rigettato il ricorso del contribuente e la CTR del Veneto, con sentenza in data 12 febbraio 2013, ha accolto l’appello, ritenendo che:

– sussiste vizio di motivazione dell’atto impugnato, posto che all’avviso non era allegata la documentazione sulla quale lo stesso era fondato;

– sussiste ulteriore vizio di motivazione dell’atto impugnato per non avere l’avviso di accertamento dato contezza delle osservazioni del contribuente durante l’accertamento con adesione;

– non vi è prova della natura fittizia dei fornitore della contribuente (il terzo Ever SRL), deducendosi tale circostanza da elementi attinenti alla organizzazione societaria, alla struttura organizzativa dell’impresa (magazzini, contratti di locazione, conti correnti, utenze, servizio di vigilanza), nonchè alla oggettiva esistenza di operazioni imponibili in campo IVA;

– non vi è prova dell’accordo simulatorio tra contribuente, soggetto cedente interposto e cedente effettivo della merce;

le dichiarazioni su cui si regge l’avviso di accertamento non sono decisive e sono valutabili quali indizi, sia in quanto riguardanti un diverso periodo di imposta, sia in quanto rese da un soggetto (legale rappresentante del soggetto asseritamente interposto) in conflitto di interessi;

propone ricorso l’Ufficio, affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso parte contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo si denuncia violazione di legge in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 5, e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 oltre che falsa applicazione del D.P.R. 16 ottobre 1973, n. 600, art. 42 nella parte in cui la sentenza impugnata ha rilevato l’esistenza di un vizio di motivazione per mancata allegazione della documentazione a supporto dell’avviso, sia in quanto è consentita la motivazione per relationem, sia in quanto non sarebbe stata fornita dal contribuente la indicazione di quale parte del contenuto dei documenti sarebbe stata necessaria ai fini dell’esercizio del diritto di difesa;

con il secondo motivo si denuncia violazione di legge in relazione alle medesime disposizioni (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, L. n. 212 del 2000, art. 7), oltre che, dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’accertamento con adesione dovesse dare conto delle osservazioni proposte dalla contribuente, laddove la mancata convocazione del contribuente, come anche la mancata risposta alle osservazioni di quest’ultimo, non avrebbe incidenza sulla validità dell’atto di accertamento;

con il terzo motivo si denuncia violazione a termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto insussistente la prova della asserita natura fittizia della società interposta; ritiene l’Ufficio ricorrente che la sentenza non abbia preso in considerazione una serie di elementi di fatto, che darebbero ragionevole contezza dell’assenza di economicità del soggetto interposto o, quanto meno, di una marcata anomalia economica, in considerazione di ulteriori elementi attinenti a riscontrate irregolarità contabili;

con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione secondo la precedente formulazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR ritenuto infondata la pretesa relativa all’IVA per asserita mancanza della natura fittizia della società filtro;

con il quinto motivo si denuncia violazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione al D.P.R. n. 644 del 1972, art. 19 e art. 2697 c.c., nella parte in cui la CTR ha ritenuto che manca la prova di un accordo simulatorio tra la contribuente, la società filtro e il cedente effettivo; ritiene parte ricorrente che oggetto della prova sia la mera consapevolezza da parte del cessionario della inesistenza del cedente ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione, non anche la più gravosa prova della esistenza di un accordo trilaterale;

con il sesto motivo si deduce nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 e art. 2729 c.c. per avere la sentenza impugnata escluso la rilevanza delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società fornitrice;

appare opportuno, per il principio della ragione più liquida, posporre l’esame dei primi due motivi agli altri motivi attinenti al merito della pretesa dell’Ufficio;

il terzo motivo è inammissibile, in quanto testo a una revisione del ragionamento decisorio del giudice del merito;

il ricorrente critica, difatti, la selezione degli elementi in fatto che hanno condotto il giudice di appello a negare natura fittizia al soggetto interposto (amministratore di fatto, operazioni imponibili, pluralità di conti correnti, concessioni di affidamenti bancari, disponibilità di due magazzini, utenze, collegamento internet, contratti di locazione con versamento del canone di affitto benchè a parti correlate, pagamento del servizio sorveglianza, esistenza di beni strumentali, personale dipendente, consulenti esterni), non contestati in quanto tali (“a prescindere dalla correttezza della valutazione dei riportati elementi, che non può essere messa in discussione nella presente sede”); ritiene, invero, che il giudice di appello abbia omesso di valutare altri elementi in fatto (volume di affari sostanzialmente identico all’ammontare degli acquisti, crescita anomala dei ricavi dopo un periodo di liquidazione, redditi inesistenti o ridotti, assenza del libro giornale per due annualità e dei registri IVA), che darebbero conto della “inattendibilità fiscale”;

si osserva, in proposito, come la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti di prova del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, eleggendo, tra le complessive risultanze processuali, quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass., Sez. V, 4 agosto 2017, n. 19547); non può, pertanto, essere richiesto al giudice di legittimità di operare una diversa scelta del materiale probatorio posto a fondamento della decisione impugnata;

parimenti, manca nell’esposizione del motivo il giudizio di decisività in relazione agli elementi dedotti dal ricorrente ai fini della natura fittizia del terzo asseritamente interposto, costituendo la illustrazione della decisività del fatto o dei fatti omessi specifico presupposto di ammissibilità del motivo di ricorso, dovendosi illustrare logicamente in che termini l’esame dei fatti storici avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. V, 28 dicembre 2018, n. 33578);

il quarto motivo è anch’esso inammissibile, in quanto formulato con le modalità dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione anteriore alla novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134;

il quinto motivo è ugualmente inammissibile, posto che, caduta per autotutela la questione relativa alla oggettiva inesistenza delle operazioni, l’indetraibilità dell’IVA non è più legata alla consapevolezza della frode, come per le operazioni inserite in frodi carosello, per la quale è sufficiente provare che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, secondo l’ordinaria diligenza, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti (Cass., Sez. V, 9 settembre 2016, n. 17818), nel qual caso l’Ufficio può limitarsi a provare l’inesistenza della buona fede del contribuente (Cass., Sez. VI, 14 settembre 2016, n. 18118), ma alla prova della interposizione nella vendita delle merci; nè può dedursi che la CTR avrebbe dovuto porre a oggetto della prova la inesistenza del cedente, sia in quanto non si verte in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, sia in quanto il giudice di appello ha adeguatamente motivato in ordine alla effettiva struttura imprenditoriale del cedente;

il sesto motivo è infondato, posto che le violazioni in materia di apprezzamento delle prove – attraverso, peraltro, la mediazione del diverso parametro di cui all’art. 116 c.p.c. – è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo laddove il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass., Sez. III, 10 giugno 2016, n. 11892), laddove nel caso di specie il giudice ha fatto legittimamente utilizzo del principio di libero apprezzamento delle prove in relazione a dichiarazioni di terzi acquisite agli atti del giudizio valutate in termini di indizi;

risulta, pertanto, infondata nel merito la pretesa dell’Ufficio, per cui il ricorrente non ha interesse a impugnare i capi della sentenza relativi ai profili di illegittimità dell’avviso di accertamento dedotti con i primi due motivi, che vanno conseguentemente dichiarati assorbiti;

il ricorso va, pertanto, rigettato nel suo complesso, con spese regolate dal principio della soccombenza.

PQM

La Corte, dichiara inammissibili il terzo, il quarto e il quinto motivo, rigetta il sesto motivo, dichiara assorbiti il primo e il secondo motivo, condanna l’AGENZIA DELLE ENTRATE al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore di MARCHETTO PELLAMI SPA, che liquida in Euro 10.000,00, oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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