Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22885 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. un., 04/11/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 04/11/2011), n.22885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente di sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO

14, presso lo studio dell’avvocato SCOGNAMIGLIO GIULIANA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIBERTINI MARIO, per

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.E., da sè stesso rappresentato e difeso unitamente

all’avvocato CALDARERA MARIO, per delega in atti, elettivamente

domiciliato presso il proprio studio in ROMA, VIA CRESCENZIO 9;

– ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE – DIPARTIMENTO RAGIONERIA GENERALE

STATO – ISPETTORATO GENERALE PER LA LIQUIDAZIONE DEGLI ENTI

DISCIOLTI, subentrato all’Ente Nazionale per la cellulosa e la carta

in l.c.a., già SIVA s.p.a., in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

AC.MA., M.A., MO.MA., C.

M., G.M., L.L.H. (le ultime due nella

qualità di eredi di LO.CA.), V.E. (0 V.

E.), R.M. (le ultime due nella qualità di eredi di

R.L.), T.F., F.R., T.

A., D.C.G., GI.AG.SA.,

S.P., L.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4309/2010 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

depositata il 23/02/2010;

uditi gli avvocati Giuliana SCOGNAMIGLIO, Mario CALDARERA, A.

E.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/10/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c. ha depositato una relazione del seguente tenore:

“1. Le sezioni unite di questa corte, con la sentenza n. 4309 dei 2010, hanno in parte rigettato ed in parte dichiarato inammissibili una molteplicità di ricorsi proposti avverso la sentenza emessa il 25 settembre 2008 dalla Corte d’appello di Roma, la quale, in parziale riforma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Roma, aveva condannato alcuni degli ex amministratori della S.I.V.A. s.p.a. – tra cui i sig.ri P.M. ed A.E. – a risarcire i danni derivati dalla mala gestio della società. La condanna era stata pronunciata in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, succeduto al disciolto Ente Nazionale Cellulosa e Carta, assuntore del concordato che aveva posto termine alla procedura concorsuale cui la S.I.V.A. era stata sottoposta ed i cui organi avevano originariamente proposto l’azione di responsabilità contro gli amministratori sociali.

La suindicata sentenza delle sezioni unite è stata impugnata per revocazione, a norma dell’art. 391-bis c.p.c., dal sig. P., in via principale, ed in via incidentale dal sig. A., i quali sostengono che essa è affetta da errori di fatto riconducibili alla previsione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

In particolare, gli impugnanti ravvisano errori suscettibili di condurre alla revocazione della sentenza:

a) nell’affermazione secondo cui il sig. P. avrebbe eccepito la prescrizione dell’azione contro di lui rivolta solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, risultando invece ex actis che tale eccezione era stata sollevata sin dal primo atto difensivo successivo all’udienza di prima comparizione (primo motivo del ricorso principale);

b) nel computo del periodo durante il quale il sig. P. ha rivestito la carica di componente del consiglio di amministrazione della S.I.V.A., che il giudice d’appello non avrebbe correttamente individuato, onde era stato denunciato il conseguente vizio di motivazione nel ricorso per cassazione: vizio che le sezioni unite non hanno preso in considerazione affermando trattarsi di un profilo di merito della causa e che, viceversa, a giudizio dell’impugnante, integrerebbe appunto gli estremi di un errore di fatto (secondo motivo del ricorso principale);

c) nell’essere stato ravvisato un danno sofferto dai creditori sociali della S.I.V.A., che invece era incontrovertibilmente escluso dalla sentenza in atti con cui il tribunale di Roma aveva a suo tempo omologato la proposta di concordato presentata dalla medesima società (terzo motivo sia del ricorso principale sia di quello incidentale);

d) nell’essere state imputate al sig. A. le conseguenze della perdita di crediti sociali che erano invece ancora esigibili nel periodo in cui lo stesso sig. A. sedeva nel consiglio di amministrazione della S.I.V.A.: rilievo, questo, sul quale la sentenza impugnata per revocazione ha affermato di non potersi pronunciare, trattandosi di una questione di merito, e che, viceversa, a giudizio dell’impugnante, integrerebbe appunto gli estremi di un errore di fatto e, quindi, di un vizio revocatorio (primo motivo del ricorso incidentale);

e) nell’errore di calcolo in cui sarebbe incorso il giudice d’appello liquidando il danno conseguente alla mancata riscossione dei crediti della S.I.V.A.: questione sulla quale nuovamente le sezioni unite non hanno inteso pronunciarsi pur trattandosi, a parere dell’impugnante, non di una valutazione di merito bensì di un errore di fatto (secondo motivo del ricorso incidentale).

2. I ricorsi, che dovranno essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c., possono essere trattati in camera di consiglio, giacchè ne è prospettabile l’inammissibilità, o altrimenti la manifesta infondatezza.

2.1. Quanto alla questione riferita sub a), occorre rilevare che già la corte d’appello, come si legge alla pag. 51 della sentenza qui impugnata per revocazione, aveva negato fosse stata proposta ritualmente dinanzi al tribunale l’eccezione di prescrizione della quale si discute. Il ricorrente vi ha insistito e le sezioni unite hanno del pari escluso che l’eccezione fosse stata idoneamente proposta. Se pure una tale conclusione fosse frutto di un errore, come il ricorrente sostiene, pare difficile negare che l’errore, avente ad oggetto la contestata tempestività dell’eccezione di prescrizione, abbia riguardato un tema del quale si era espressamente discusso. Ma è noto – e lo stesso ricorrente non manca di ricordarlo – che non si può far luogo a revocazione se l’errore denunciato cade su un punto che già è stato oggetto di discussione nel giudizio conclusosi con la sentenza che si vorrebbe veder revocata.

Non può del resto neppure trascurarsi che anche il requisito della decisivita del preteso errore è, nel presente caso, nient’affatto evidente.

Come l’impugnata sentenza ben chiarisce, nei confronti degli amministratori della S.I.V.A. sono state esercitate congiuntamente, da parte degli organi della procedura concorsuale ai quali è poi succeduto l’assuntore del concordato, sia l’azione sociale di responsabilità sia l’azione di responsabilità dei creditori sociali. Se, perciò, una di dette azioni non possa dirsi prescritta, risulta inutile discutere dell’eventuale prescrizione dell’altra. Il che induce a tralasciare qui l’azione sociale ed a concentrare l’attenzione su quella dei creditori sociali, in ordine alla quale, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, la prescrizione potrebbe essere da lui utilmente invocata solo se il dies a quo del termine prescrizionale fosse fatto decorrere da un momento significativamente anteriore a quello in cui la società è stata dichiarata insolvente, sul presupposto che la pregressa situazione d’insufficienza patrimoniale fosse già percepibile dai terzi con l’uso della normale diligenza. Cosa in astratto certamente possibile, come dimostra la giurisprudenza puntualmente richiamata nel ricorso, ma non per questo in concreto dimostrata: sia perchè la generica affermazione che la società operava in passivo già da epoca precedente alla dichiarazione d’insolvenza (pag. 13 del ricorso principale) non basta a provare la situazione d’incapienza patrimoniale richiesta dall’art. 2394 c.c., sia perchè, comunque, non è stato assolto l’onere d’indicare da quali specifici documenti, in qua momento prodotti nel giudizio di merito, si sarebbe potuto con sufficiente certezza dedurre che l’asserita situazione di non integrità del patrimonio sociale era divenuta di dominio pubblico.

Il requisito della decisività dell’errore non sembra quindi apprezzabile, se non a condizione di ulteriori accertamenti in punto di fatto, non ipotizzabili in questa sede.

2.2. Del pari inammissibili potrebbero risultare i motivi di revocazione sopra prospettati alle lettere da b) ad e), che hanno in comune la caratteristica di far riferimento non già ad errori direttamente ed autonomamente imputabili alla sentenza di questa corte impugnata per revocazione, bensì ad errori che sarebbero stati commessi dalla corte d’appello (nell’individuare il periodo in cui il ricorrente sig. P. ha ricoperto cariche sociali, nel ravvisare l’esistenza del danno sofferto dai creditori sociali, nel ricollegare determinate vicende al periodo di gestione imputabile al sig. A. o nel calcolare l’entità dei crediti sociali non riscossi). Pretesi errori in ordine ai quali, come nei ricorsi per revocazione espressamente si riconosce, erano stati già a suo tempo prospettati specifici motivi di ricorso per cassazione, disattesi dalle sezioni unite perchè considerati alla stregua di profili di merito, come tali non suscettibili di riesame ad opera del giudice di legittimità.

Stando così le cose, non sembra possibile riproporre ora le medesime questioni come vizi revocatori: non solo perchè i pretesi errori denunciati dai ricorrenti già sono già stati oggetto di discussione nel giudizio cui la sentenza impugnata per revocazione ha posto fine, ma anche perchè in nessun caso si tratterebbe di errori riferibili alla pronuncia della Suprema corte, la quale avrebbe potuto cassare la sentenza del giudice del merito ove vi avesse ravvisato vizi di legittimità (afferenti al giudizio, al processo o alla motivazione) ma non anche per eventuali vizi revocatori.

3. Ove si condividano tali rilievi, entrambi i ricorsi dovrebbero esser dichiarati inammissibili, o altrimenti manifestamente infondati”.

Il collegio condivide le osservazioni esposte nella relazione, alle quali nessuna specifica obiezione è stata mossa dai ricorrenti nelle memorie da essi depositate, che si soffermano e ribadiscono le tesi già svolte nei rispettivi ricorsi senza tuttavia in alcun modo misurarsi con i rilievi di cui alla menzionata relazione. Nè, del resto, le considerazioni ulteriormente sviluppate in dette memorie – in particolare laddove la difesa dell’avv. A. insiste nel qualificare come errori di percezione quelli da lui imputati alla sentenza impugnata per revocazione – valgono davvero a dimostrare che non trattasi, invece, di un eventuale errore di valutazione, difficilmente potendosi dubitare che sia frutto di valutazione il giudizio circa il difetto di autosufficienza del ricorso per cassazione che ora si assume essere errato invocando un inammissibile riesame complessivo delle argomentazioni e delle circostanze a suo tempo esposte in quel ricorso.

All’inammissibilità dei ricorsi fa seguito la condanna dei ricorrenti alle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte, riuniti i ricorsi, li dichiara inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di revocazione, liquidate in Euro 7.000,00, oltre a quelle prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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