Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22881 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. III, 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29735/2019 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in Roma, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIORGIA DE BIASI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2079/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

B.S., cittadino del (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere arrestato o ucciso per motivi religiosi;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento B.S. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che ne ha dichiarato l’inammissibilità con ordinanza in data 7/12/2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza in data 21/5/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva riconosciuto l’inammissibilità dell’originaria domanda proposta in sede giurisdizionale dal richiedente, attesa l’assoluta genericità del petitum proposto, essendosi il ricorrente limitato a invocare il mero annullamento del provvedimento della commissione territoriale competente senza alcuna ulteriore richiesta positiva;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da B.S. con ricorso fondato su cinque motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per avere il giudice a quo illegittimamente omesso di attivare i propri poteri ufficiosi al fine di colmare le eventuali lacune della domanda originariamente proposta, considerandola diretta alla rivendicazione di tutte le forme di protezione internazionale previste dall’ordinamento in ragione della persecuzione subita dal ricorrente per motivi religiosi;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale omesso di attivare i propri poteri di ufficio al fine di riscontrare l’effettivo ricorso di una minaccia grave alla vita del ricorrente in ragione della sussistenza di una situazione di conflitto armato all’interno del territorio di provenienza;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente omesso di riscontrare l’effettiva sussistenza dei presupposti di fatto necessari al conseguimento, da parte dell’istante, di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale omesso di attivare i propri poteri ufficiosi di acquisizione probatoria, in deroga all’ordinario principio dispositivo, e in coerenza ai doveri di cooperazione giudiziale previsti dalla legge e dal diritto internazionale nella materia della protezione internazionale;

con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver illegittimamente disposto la revoca dell’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, in ragione dell’assoluta peculiarità della materia oggetto della controversia;

tutti e cinque i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono complessivamente inammissibili;

osserva, in primo luogo, il Collegio come l’odierno ricorrente abbia prospettato le censure in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

nel caso di specie, avendo la corte territoriale confermato la dichiarazione di inammissibilità emessa dal primo giudice, con riguardo alla originaria domanda proposta da B.S., sul presupposto della mancata proposizione, da parte di quest’ultimo, di alcuna domanda giudiziale diretta al conseguimento delle forme di protezione internazionale invocate in sede amministrativa (essendosi l’originario ricorrente inequivocabilmente limitato a richiedere l’annullamento del contestato provvedimento della commissione territoriale competente), le odierne censure del B., nel riproporre la questione del mancato assolvimento, da parte dei giudici di merito, dei propri doveri ufficiosi di interpretazione integrativa della domanda e di cooperazione istruttoria (in conformità alle deroghe del principio dispositivo dettate, nella materia della protezione internazionale, dalla disciplina speciale di carattere interno e sovranazionale), dimostra di non essersi punto confrontato con la decisione impugnata, non potendo in nessun caso ritenersi estesi, i poteri ufficiosi attribuiti al giudice di merito nella materia della protezione internazionale, fino al punto (non già di integrare le eventuali lacune del ricorso, bensì) di sostituire la volontà giudiziale (in ordine al contenuto del petitum proposto) a quella inequivocabilmente rappresentata dall’istante attraverso la propria domanda;

in particolare, nel caso in esame, avendo la corte territoriale espressamente sottolineato l’avvenuta inequivoca limitazione della volontà dell’originario richiedente alla sola pronuncia dell’annullamento del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale competente, senza alcuna estensione della domanda al positivo rilascio di eventuali atti autorizzativi, dev’essere rilevata l’inammissibilità delle odierne censure, non avendo l’odierno ricorrente in nessun modo contrastato, in forma diretta, la ratio decidendi posta dai giudice a quo a fondamento della decisione assunta quanto, infine, alla doglianza concernente la contestata revoca dell’ammissione del ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato – di là dalla assorbente questione relativa all’inammissibilità della proposizione di tale censura in sede giurisdizionale – varrà considerare la correttezza del riscontro, da parte del giudice d’appello, della palese inammissibilità del gravame di merito proposto, attesa la chiara esposizione, da parte del primo giudice, delle evidenti ragioni di inammissibilità della domanda avanzata in sede giudiziale, tali da giustificare l’interpretazione in chiave meramente dilatoria dell’appello proposto;

sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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