Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22880 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. III, 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29541/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

212, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BRASCA, rappresentato

e difeso dall’avvocato NAZZARENO LATASSA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1842/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

S.A., cittadino (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire ritorsioni e violenze per ragioni di carattere religioso;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento S.A. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Catanzaro, che, con ordinanza resa in data 15/12/2016, disattesa l’istanza diretta al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, ha, viceversa, riconosciuto il diritto del ricorrente al conseguimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

tale ordinanza, appellata dal Ministero dell’Interno, è stata riformata dalla Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza in data 24/10/2018 (corretta con riguardo al nome del ricorrente in data 30/5/2019), con la quale la corte territoriale ha disatteso anche l’istanza diretta al conseguimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, confermando il resto;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, rilevato il passaggio in giudicato delle questioni relative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, per difetto d’impugnazione incidentale dell’interessato, ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari invocato dal ricorrente, tenuto conto dell’insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificarne il riconoscimento dei presupposti;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da S.A. con ricorso fondato su un unico motivo d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con l’unico motivo d’impugnazione proposto, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente negato il ricorso dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale rivendicate, tenuto conto della piena attendibilità delle dichiarazioni dallo stesso rese nel corso del procedimento, dell’avvenuta integrazione del ricorrente nel tessuto socio-economico italiano, nonchè delle condizioni di criticità del paese di provenienza;

il motivo è fondato nei termini di seguito indicati;

al riguardo, osserva il Collegio – ferma irrevocabilità delle statuizioni emesse dal giudice di primo grado, con riferimento al rigetto delle istanze di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, non avendo il ricorrente proposto impugnazione avverso le corrispondenti statuizioni del tribunale – come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);

nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

in particolare, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, spetterà al giudice coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;

in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi in termini obiettivi) non potrà mai tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale, dovendo sempre e comunque declinarsi, quelle generali condizioni, con il riflesso che le stesse sono destinate ad assumere con riguardo alla storia di vita (alla ‘biografià) del richiedente;

a sua volta, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio, necessariamente chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica “vulnerabilità”) non potrà mai consistere nell’astratta ricapitolazione del contenuto oggettivo (vorrebbe dirsi meramente “quantitativo”) di tale nucleo, bensì nella verifica del grado di aggressione (“qualitativa”) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);

proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;

nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;

ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre

o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174-01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver dato atto dell’avvenuto inserimento del ricorrente nel tessuto socio-economico italiano, e dopo aver genericamente sottolineato la mancata emergenza di fatti o accadimenti legittimanti l’eventuale riconoscimento di motivi umanitari di tutela (sostanzialmente fondandosi sulle sole dichiarazioni del ricorrente), si è totalmente sottratto al dovere di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale”;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del ricorso, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui è altresì che rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui è altresì che rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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