Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2288 del 30/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/01/2017, (ud. 13/10/2016, dep.30/01/2017),  n. 2288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3623-2012 proposto da:

PERFETTI van MELLE ITALIA S.r.l., c.f. (OMISSIS), in persona del

procuratore speciale Dott. C.P., elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZALE CLODIO 3 presso lo studio dell’avvocato LIDIA

SGOTTO CIABATTINI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO TOFFOLETTI;

– ricorrente –

contro

B.R., (OMISSIS), D.G. (OMISSIS), già soci

della cessata PINI S.a.S. di B. & C., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIOVANNI SEVERANO 35, presso lo studio

dell’avvocato SILVIO AGRESTI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DANIELE VANNINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3495/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, difensore della ricorrente,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, ha depositato copie di

revoca e conferimento procure datate 2001;

udito l’Avvocato DANIELE VANNINI, difensore dei controricorrenti, che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Generale Dott. PRATIS

Pierfelice, che ha il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All’esito del doppio grado di merito, provvedendo sulla domanda di B.R. e di D.G., soci della cessata D. s.a.s., di B. e C., già agente di commercio della Perfetti Van Melle s.p.a. con esclusiva per le zone di Ascoli Piceno e Macerata, e della riconvenzionale di quest’ultima, la Corte d’appello di Milano determinava in Euro 115.635,04 le provvigioni indirette di vendita spettanti agli attori per il periodo 1994 – 2000 per violazione del patto di esclusiva e in Euro 139.498,51 la somma dovuta a titolo d’indennità ex art. 1751 c.c.

A base della decisione, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la circostanza che la violazione del patto di esclusiva comporta l’obbligo per il preponente non solo di non concludere direttamente affari nella relativa zona, ma anche di non avvalersi per essa dell’opera di altri collaboratori. Tale obbligo, proseguiva la Corte d’appello, non tollerava deroghe neppure nei casi di forniture effettuate a favore di una catena commerciale formata da una società capogruppo e da soggetti affiliati, salvo diversa pattuizione, nella specie rimasta indimostrata. Nè poteva applicarsi il precedente di Corte di Giustizia 17.1.2008, che si riferiva ad un caso di invasione della zona di esclusiva avvenuta senza l’intervento neppure indiretto del preponente, che invece nella specie vi era stato.

Quanto all’indennità aggiuntiva ex art. 1751 c.c., rilevava la Corte distrettuale che la tesi dell’appellante Perfetti Van Melle s.p.a., secondo cui le provvigioni avrebbero dovuto essere calcolate al netto dei costi di gestione e della quota di spettanza dei subagenti, e non al lordo, non aveva riscontro nel testo della ridetta norma e dell’art. 17 della direttiva europea di cui questa era applicazione. Disposizioni che facevano riferimento alle provvigioni che l’agente perde e alle retribuzioni non riscosse, le une e le altre da intendersi al lordo e non al netto dei costi.

Per la cassazione di tale sentenza la Perfetti Van Melle s.p.a. propone ricorso affidato a due motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria. Resistono con controricorso B.R. e D.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – L’eccezione preliminare d’inammissibilità del ricorso per difetto del potere di rappresentanza della società ricorrente da parte del soggetto ( C.P.) che, quale suo procuratore in senso sostanziale, ha conferito la procura al difensore, è infondata, risultando tali poteri dalla procura autenticata dal notaio Ca. in data (OMISSIS).

2. – Il primo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 7, n. 2, primo trattino, 10 e 11, n. 1, della direttiva 18.12.1986, 86/653/CEE e dell’art. 1742 c.c.

In sostanza, sostiene la ricorrente, l’affermata invasione di zona è la conseguenza della struttura di alcuni clienti, costituiti da “catene di negozi” che acquistano i loro prodotti tramite la capogruppo, per cui è ben possibile che esercizi commerciali affiliati possano avere sede in zone diverse da quella della capogruppo che ha concluso l’affare con l’agente P.. Pertanto, l’agente che conclude l’affare con la capogruppo che ha sede nella sua zona, non viola l’esclusiva degli altri agenti nelle cui zone hanno sede i negozi affiliati che ricevono la merce acquistata dalla capogruppo.

2.1. – Il motivo è infondato.

2.1.1. – Ai sensi dell’art. 1748 c.c., comma 2, nel testo derivante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, in attuazione della direttiva CE 18.12.1986, n. 653, la provvigione è dovuta anche dagli affari conclusi dal preponente con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente, salvo che sia diversamente pattuito.

Secondo l’orientamento espresso dalla Corte di giustizia europea (sentenza 17.1.2008, causa C-19/07) “l’art. 7, n. 2, primo trattino, della direttiva 86/653, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato nel senso che l’agente commerciale incaricato di una zona geografica determinata non ha diritto alla provvigione per le operazioni concluse da clienti appartenenti a tale zona con un terzo senza l’intervento, diretto o indiretto, del preponente. Infatti, benchè tale disposizione si limiti a prendere in considerazione ogni “operazione conclusa durante il contratto di agenzia”, senza ulteriore precisazione se non quella relativa alla conclusione dell’operazione con un cliente appartenente ad una zona geografica o ad un gruppo di persone di cui è incaricato l’agente commerciale, emerge tuttavia dalla sintesi dei nn. 1 e 2 dell’art. 10 della direttiva che il diritto dell’agente commerciale alla provvigione sorge vuoi quando il preponente ha adempiuto la propria obbligazione o avrebbe dovuto adempierla, vuoi quando il terzo rispetto al contratto di agenzia, vale a dire il cliente, ha o avrebbe dovuto adempiere la propria. In tutti questi casi di specie, la presenza del preponente nelle operazioni per le quali l’agente commerciale ha diritto alla provvigione è indispensabile. Ciò è avvalorato dal disposto dell’art. 11, n. 1, della direttiva, ai sensi del quale il diritto dell’agente commerciale alla provvigione può estinguersi unicamente se e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il cliente ed il preponente non sarà eseguito e la mancata esecuzione non sia dovuta a circostanze imputabili al preponente. Spetta al giudice nazionale stabilire se gli elementi di cui dispone, valutati tenendo conto della finalità di tutela dell’agente commerciale, che costituisce uno degli obiettivi della direttiva, nonchè dell’obbligo di lealtà e di buona fede, che incombe al preponente ai sensi dell’art. 4 della direttiva, gli consentano o meno di accertare la sussistenza di un intervento del genere, indipendentemente dal fatto che tale intervento sia di natura giuridica, ad esempio con l’intermediazione di un rappresentante o di fatto.

Così ricostruito il contesto normativo, deve ritenersi che il diritto alla provvigione c.d. indiretta compete in ogni caso di ingerenza nella zona di esclusiva o di captazione di clienti riservati all’agente attraverso l’intervento diretto o indiretto del preponente, quali che siano le modalità della sottrazione così realizzata. E poichè la nozione di affare, rilevante ai fini applicativi della norma, è essenzialmente di ordine economico, il giudizio non dipende dalla tecnica negoziale prescelta nè dal luogo in cui questa è posta in essere. Pertanto, anche la conclusione di affari al di fuori della zona di esclusiva dell’agente, con una società che a sua volta provveda alla distribuzione del prodotto ad imprenditori affiliati operanti, invece, nel predetto ambito territoriale, costituisce violazione della zona di esclusiva ove vi concorra il preponente.

2.1.2. – Nella specie la Corte territoriale è pervenuta alla decisione sulla base di un accertamento di fatto – non sindacabile in questa sede di legittimità perchè sorretto da un idoneo e sufficiente iter logico – per cui erano i vari esercizi commerciali affiliati alla capogruppo a provvedere agli ordinativi di merce tramite l’agente di Pescara e a ricevere le consegne direttamente da lui; ha correlativamente escluso la fondatezza della tesi della parte odierna ricorrente, in base alla quale gli ordinativi sarebbero stati accentrati in capo alla società capogruppo che avrebbe, poi, provveduto alla distruzione agli affiliati; ed ha concluso nel senso che tale sottrazione della clientela di zona è avvenuta attraverso l’intervento della preponente, che si era consapevolmente avvalsa dell’attività del proprio agente di Pescara all’interno della zona di spettanza della D. s.a.s.

3. – Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 17, 2a e 2b della direttiva comunitaria 18.12.1986, 86/653/CEE e dell’art. 1751 c.c.”nell’accertare i presupposti del diritto all’indennità di fine rapporto, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″.

Parte ricorrente lamenta che nel determinare la suddetta indennità la sentenza d’appello non abbia considerato la provvigione ai subagenti e le spese di deposito, sicchè le provvigioni figurative avrebbero dovuto essere depurate dai relativi costi. Inoltre, il D. avrebbe dovuto dimostrare di aver sensibilmente sviluppato il fatturato con i clienti esistenti ovvero di averne acquisito di nuovi, indicandoli nominativamente.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Esso consiste in una critica sulla ricostruzione e sulla valutazione degli elementi di fatto, proponendone un rinnovato esame incompatibile con la funzione e con i limiti del giudizio di cassazione. E non essendo dato ad altri che al giudice di merito di stabilire quali risultanze di fatto, tra quelle acquisite, siano valutabili e in qual modo ai fini della decisione, la censura in parola si traduce nella mozione di un inammissibile sindacato sui fatti di causa e sul loro apprezzamento.

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 7.290,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2017

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