Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22875 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 03/11/2011), n.22875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26048/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 127/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA del 18/07/08,

depositata il 23/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIAIDA PERSICO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Il relatore cons. Mariaida Persico, letti gli atti depositati, osserva:

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, n. 127/65/08, depositata il 23 ottobre 2008, con la quale, rigettato l’appello proposto dall’ufficio, è stata ritenuta l’illegittimità dell’avviso di accertamento per l’Iva, anno d’imposta 1997, emesso a carico di P.D. sulla base di una verifica fiscale effettuata nei confronti di altra società, che risultava aver emesso a favore del P. assegni per un importo complessivo di L. 427.402.000, ritenuti dall’ufficio compensi per prestazioni di servizio non fatturate. Il giudice a quo ha ritenuto illegittimo l’avviso de quo sia perchè mancante degli assegni sui quali si fonda la presunzione dell’ufficio, sia perchè, essendo i conti correnti esaminati intestati non al P. ma alla società verificata, non può trovare applicazione la presunzione di legge.

L’intimato non ha controdedotto.

2. Preliminarmente si rileva che la ricorrente ha provato di aver richiesto nei termini la notifica del proprio ricorso alla controparte, ma che non risulta ancora depositata la ricevuta di ricevimento dello stesso (Cass., Sez. Un., n. 627 del 2008).

3. Il primo motivo del ricorso, accompagnato da idoneo quesito di diritto, con il quale si eccepisce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, appare manifestamente fondato in virtù del principio già enucleato da questa Corte che ha affermato Nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatali) dell’atto o de documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. (Cass. n. 1906 del 2008; n. 28058 del 2009).

3.1 L’impugnata sentenza non ha fatto applicazione di tale principio in quanto, come risulta dal ricorso – dotato sul punto della necessaria autosufficienza per avere riportato testualmente l’avviso di accertamento impugnato ed i relativi allegati – al contribuente sono stati forniti gli elementi conoscitivi con quel grado di determinatezza ed intelligibilità tale da permettere al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.

4. Il secondo motivo lamenta un vizio di motivazione per avere l’impugnata sentenza attribuito rilevanza ad un fatto (l’omessa allegazione di copia degli assegni) irrilevante ai fini del decidere.

Tale motivo appare inammissibile risolvendosi nella denuncia di un vizio motivazionale di un vizio di diritto, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed ammissibile solo se accompagnato da idoneo quesito di diritto, nella specie mancante.

5. Il terzo motivo, accompagnato da idoneo quesito di diritto, con il quale viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, appare manifestamente infondato non potendosi desumere dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, un principio secondo il quale la presunzione posta da tale norma con riferimento ai movimenti bancari (dell’imprenditore-persona fisica o giuridica o dei congiunti del contribuente persona fisica, ovvero degli amministratori della società contribuente), non esposti in dichiarazione e per i quali manchi una spiegazione da parte del verificato, opera anche con riferimento alle ipotesi in cui il contribuente destinatario dell’avviso di accertamento sia soggetto distinto da quello verificato.

6. Il quarto motivo, con il quale viene censurata l’impugnata sentenza per omessa motivazione circa la legittima utilizzazione della presunzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, sulla scorta dei numerosi assegni emessi all’ordine dell’intimato dalla società verificata ed in ordine ai quali la relazione della Guardia di Finanza (allegata all’avviso di accertamento) aveva specificato che l’individuazione del beneficiario era avvenuta attraverso accertamenti bancari, appare manifestamente fondato in virtù del principio già enucleato da questa Corte che ha affermato: (Cass. n. 17574 del 2009; n. 3719 del 1998). L’astrattezza cartolare, che connota l’assegno bancario, costituisce una qualità di tale titolo di credito, rilevante rispetto alla sua circolazione ed alle eccezioni opponibili dal debitore al portatore, ma non esclude che la dazione di un assegno costituisca, ai fini della prova per presunzioni, un fatto noto, idoneo a rappresentare un trasferimento di ricchezza dall’emittente al prenditore, da cui è consentito desumere, nel giudizio di merito, il fatto ignoto dedotto da una delle parti del processo.

6.1 Il giudice dell’appello, ad onta di tale principio, non ha assolutamente motivato nè sull’esistenza di tale fatto noto, nè sulle ragioni in base alle quali riteneva di desumere o di non desumere il fatto ignoto contestato dall’ufficio al contribuente attraverso l’avviso d i accertamento poi impugnato.

7. Si ritiene, quindi, sussistano i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio e la definizione, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., per manifesta fondatezza del primo e del quarto motivo, per inammissibilità del secondo e per manifesta infondatezza del terzo motivo”.

Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate memorie dalle parti;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, fondati su di una consolidata giurisprudenza di questa Corte, che, pertanto, va accolto per manifesta fondatezza il primo ed il quarto motivo del ricorso, va dichiarata l’inammissibilità del secondo, va rigettato il terzo motivo per manifesta infondatezza; il primo ed il quarto motivo del ricorso, va dichiarata l’inammissibilità del secondo, va rigettato il terzo motivo per manifesta infondatezza;

che va, pertanto, cassata la sentenza impugnata e disposto il rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il quarto motivo del ricorso, dichiara l’inammissibilità del secondo, rigetta il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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