Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22873 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/11/2016, (ud. 15/09/2016, dep. 09/11/2016), n.22873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16899/2015 proposto da:

U.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CAMILLO

SABATINI 150, presso lo studio dell’avvocato ANNIBALE FALATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE FERRI giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TELESE TERME;

– intimato –

avverso la sentenza n. 18/2015 del TRIBUNALE di BENEVENTO del

7/01/2015, depositata il 09/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LINA RUBINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

– U.F. conveniva in giudizio il Comune di Telese Terme chiedendo che fosse ritenuto responsabile e condannato al risarcimento dei danni alla persona riportati alla vettura dell’attore che finiva con le ruote anteriori in una buca stradale, non visibile a causa della scarsa illuminazione e colma d’acqua, causando la perdita di controllo del mezzo e l’urto di questo contro un muretto.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda.

Il Tribunale di Benevento, con la sentenza n. 18/2015 depositata il 9 gennaio 2015, non notificata, impugnata dinanzi a questa Corte, rigettava l’appello dell’ U..

U.F. propone due motivi di ricorso per cassazione, deducendo: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in ordine alla manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., per aver ritenuto il tribunale, giudice d’appello, che la sua domanda fosse rimasta priva di riscontro probatorio.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., in quanto appare destinato ad essere rigettato per manifesta infondatezza.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi.

Il Tribunale di Benevento, a fronte delle altre risultanze processuali (tra le quali, la mancanza di fotografie scattate subito dopo l’incidente, il fatto di non aver richiesto l’intervento della polizia municipale dopo il sinistro), liberamente apprezzabili e della cui complessiva valutazione ha dato conto in sentenza, non ha ritenuto attendibili le dichiarazioni del teste citato dall’attore, che asseritamente percorreva la strada in senso opposto alla vettura dell’ U. e l’avrebbe visto sprofondare nella buca e quindi urtare il muro. I valutazione none censurabile nè sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, non più censurabile se non arrivi ad integrare una sostanziale mancanza della motivazione stessa, ne sotto il profilo della violazione di legge. Il tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto fissati da questa Corte sul rapporto) tra prova del nesso causale – a carico dell’attore, e prova liberatoria dalla responsabilità per custodia, a carico del custode: v. Cass. n. 8005 del 2010: “La responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i temi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta ecceionalità.

(Nella specie, S.C. – in controversia per il risarcimento dei danni patiti dai congiunti di persona deceduta a seguito delle gravissime lesioni riportate per la caduta, all’interno di un negozio di elettrodomestici, da una scala che dava accesso ad una zona antistante il locale medesimo – ha confermato la sentenza della corte territoriale che, valutati esaurientemente tutti gli elementi del caso concreto, aveva ritenuto insussistente la responsabilità ex art. 2051 c.c., del titolare dell’esercizio commerciale, per non aver gli attori provato che la morte della propria congiunta era stata conseguenza normale della particolare anzidetta condizione del locale ove era accaduto il sinistro”; v. anche v. Cass. n. 59109 del 2010: “La norma dell’art. 2051 c.c., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1).

Si propone pertanto il rigetto del ricorso”.

L’intimato non ha svolto attività difensiva, il ricorrente non ha depositato memoria.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio, ha ritenuto di condividere pienamente le conclusioni in fatto e in diritto cui è prevenuta la relazione.

Il ricorso proposto va pertanto rigettato. Nulla sulle spese, non avendo il Comune intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Infine, il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, pertanto deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento) da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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