Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22871 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. III, 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31150/2019 proposto da:

D.B., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Maria Monica Bassan;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO; COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE VERONA SEZ. PADOVA;

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 918/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – Con ricorso affidato a due motivi, D.B., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Venezia, resa pubblica l’11 marzo 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il richiedente aveva dichiarato di esser stato arruolato dai ribelli del Casamance e costretto a compiere una rapina nel (OMISSIS), essendo riuscito a fuggire per l’arrivo delle forze regolari e, quindi, avendo lasciato il proprio Paese per timore di essere catturato da detti ribelli; b) il narrato del richiedente non era credibile, avendo egli stesso ammesso di aver vissuto per altri cinque mesi nel proprio Paese senza subire aggressioni da ribelli, nè dai propri concittadini ovvero arresti da parte delle forze di polizia per le rapine commesse; c) la situazione del Senegal non era tale da integrare le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), risultando essere (in base alle COI più recenti sino a dicembre 2018: pp. 8/11 della sentenza), una delle democrazie africane più stabili e in progressivo miglioramento nella tutela dei diritti umani, là dove, poi, nella regione del Casamance, pur sussistendo problemi di sicurezza legati a movimenti separatisti, dal 2014 resisteva “una sostanziale tregua tra forze governative e indipendentiste”, con “solo occasionali schermaglie”, con una situazione tendente alla “normalizzazione” (COI del 23 maggio 2017 della Croce Rossa Internazionale); d) non poteva riconoscersi la protezione umanitaria per la inattendibilità del richiedente e, comunque, per la descritta situazione del Senegal che non determinava, di per sè, una condizione di vulnerabilità.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Il ricorso è stato notificato anche alla Commissione territoriale, rimasta, anch’essa, soltanto intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, come “violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 5”, “omessa considerazione di elementi offerti in giudizio – omessa valutazione e informazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, comma 3”, per aver la Corte territoriale pretermesso “la lettura e la valutazione degli elementi documentali forniti in giudizio”, comprovanti la sussistenza di “eventi violenti nei confronti della popolazione civile nella zona” del Casamance, nonchè mancato di considerare “il rischio concreto” prospettato dal richiedente, ossia l’incarcerazione al rientro per la commessa rapina in una situazione del sistema giudiziario e carcerario del Senegal di grave criticità.

1.1. – Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.

Il ricorrente non dà contezza puntuale degli elementi difensivi e documentali che assume di aver portato alla cognizione giudiziale, mancando di indicare quando li abbia dedotti e depositati, nonchè di precisarne la localizzazione processuale. Invero, la doglianza è volta ad una (inammissibile) rivalutazione del giudizio di fatto compiuto dal giudice di merito sia in punto di credibilità (tra le altre, Cass. n. 3340/2019), sia in punto di sussistenza delle condizioni necessarie per il riconoscimento della protezione sussidiaria (e in particolare di quella di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), adducendo, peraltro, elementi (COI sulla regione del Casamance) che neppure evidenziano una situazione contrastante rispetto a quella posta a base della valutazione anzidetta, che ha escluso l’esistenza di una “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale”.

A tal riguardo, giova rammentare che detta situazione, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306/2019).

2. – Con il secondo mezzo è dedotta “violazione di legge art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione alla motivazione del diniego della protezione cd. umanitaria (art. 32 comma 3 D.Lgs. n. 25 del 2008 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5)”, per non aver la Corte territoriale esaminato la “situazione oggettiva (individuale e della zona di origine) rappresentata”, limitandosi a valutare solo la inattendibilità di esso richiedente.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Con esso, infatti, si prospettano critiche affatto generiche (anche per quanto concerne l’indicazione degli elementi che si assumono dedotti in giudizio e la loro localizzazione processuale), che non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) ha fondato il diniego della protezione umanitaria non solo in ragione della affermata (e non affatto censurata) inattendibilità del richiedente circa il vissuto individuale, ma anche escludendo una situazione di vulnerabilità in relazione al rimpatrio nella regione senegalese di provenienza (Casamance).

3. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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