Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22870 del 13/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 13/08/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 13/08/2021), n.22870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14643-2015 proposto da:

B.M.L., in qualità di erede di BR.AN.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CATIA MOSCONI;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati EMILIA FAVATA, LUCIANA ROMEO, che lo

rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9026/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/12/2014 R.G.N. 650/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/03/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 9026 del 2014, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda per la liquidazione della rendita ai superstiti proposta da B.M.L. coniuge del defunto Br.An., titolare di rendita per malattia professionale – per insussistenza del nesso causale tra malattia professionale e decesso;

2. avverso tale sentenza B.M.L. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese l’INAIL, con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. con i motivi di ricorso si denuncia violazione dell’art. 195 c.p.c., comma 3, novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 5, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., per avere la Corte di merito recepito le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio elaborata in violazione delle predette disposizioni, per non avere l’ausiliare officiato in sede di gravame trasmesso alle parti la bozza dell’elaborato peritale così precludendo la formazione del contraddittorio processuale nella fase di formazione della consulenza tecnica d’ufficio (primo motivo); violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145 come modificato dalla L. n. 780 del 1975, art. 4 del D.P.R. n. 1124 cit., art. 85 e dell’art. 41 c.p., in tema di nesso di causalità; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sia per l’acritica adesione della Corte di merito alle conclusioni rassegnate dall’ausiliare, omettendo qualsivoglia valutazione delle conclusioni del consulente di parte e del certificato necroscopico dal quale evincere il ruolo di concausa dell’infermità professionale nella morte del lavoratore, cagionata da malattia sopravvenuta e indipendente dalla tecnopatia, accelerandone il decorso verso l’esito letale, sia per avere trascurato l’incidenza dirimente dell’affezione cardiocircolatoria, rilevata dall’ausiliare officiato in giudizio che, nell’escludere il nesso causale tra patologia polmonare e intervenuto decesso, aveva rimarcato, nel determinismo dell’evento mortale, la natura professionale della patologia cardiocircolatoria associata a quella polmonare (secondo motivo);

4. il ricorso è da rigettare;

5. l’art. 195 c.p.c., comma 3 come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 5 ha introdotto una sorta di sub procedimento nella fase conclusiva della consulenza tecnica d’ufficio, regolando, attraverso scansioni temporali rimesse alla concreta determinazione del giudice, i compiti del consulente tecnico d’ufficio e le facoltà difensive delle parti nel momento del deposito della relazione scritta;

6. la novella ha perseguito l’obiettivo di garantire la piena esplicazione di un contraddittorio tecnico e, quindi, del diritto di difesa delle parti anche nella fase dell’elaborazione dei risultati dell’indagine peritale;

7. la dialettica tra l’ausiliario officioso e gli esperti di fiducia delle parti si realizza, così, in maniera anticipata rispetto alla sottoposizione degli esiti peritali al giudice, consentendogli di esercitare un effettivo esercizio della funzione di peritus peritorum e di conoscere, già all’udienza successiva al deposito della relazione, i rilievi delle parti, nonché le repliche e controdeduzioni del consulente d’ufficio, con conseguente accelerazione dei tempi del processo;

8. l’omesso invio da parte del consulente tecnico della bozza di relazione alla parte integra, in quanto a presidio del diritto di difesa, un’ipotesi di nullità della consulenza, a carattere relativo, assoggettata al rigoroso limite preclusivo di cui all’art. 157 c.p.c. sicché, come già affermato da questa Corte per la mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle operazioni, tale nullità resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito (v. Cass. n. 23493 del 2017, e ivi ulteriori precedenti);

9. nella specie, depositata tardivamente la consulenza tecnica d’ufficio, la parte ha depositato note critiche in vista dell’udienza di discussione e, in quel contesto, avrebbe eccepito la nullità, come assume in ricorso, e formulato, contestualmente, osservazioni pertinenti, recuperando, di fatto, il contraddittorio sui risultati dell’indagine e risultando così sanata la nullità per violazione dell’art. 195 c.p.c., comma 3;

10. per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui in sede di giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi, trova anche applicazione in riferimento alle critiche alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio – e, per esse, alla sentenza che le abbia recepite nella motivazione – le quali sono ammissibili, con il ricorso per cassazione, sempre che ne risulti la tempestiva proposizione davanti al giudice di merito e, a sua volta, tanto emerga dalla sentenza impugnata o, in mancanza, da adeguata segnalazione contenuta nel ricorso, con specifica indicazione dell’atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette erano state formulate, onde consentire alla Corte di cassazione di controllare, ex actis, la veridicità dell’asserzione prima di esaminare, nel merito, la questione sottopostale (cfr., ex plurimis, Cass. n. 795 del 2014);

11. anche il secondo motivo è da rigettare:

12. la Corte di merito ha dato atto, nel recepire le conclusioni dell’ausiliario nominato in appello, che le conclusioni non risultano infirmate da convincenti contrarie risultanze e deduzioni, e il mezzo d’impugnazione introduce, inammissibilmente, una critica all’apprezzamento compiuto nel recepire le conclusioni dell’ausiliare e la pretesa di ulteriore apprezzamento della documentazione sanitaria;

13. del pari risulta inammissibile il profilo della censura volto a devolvere alla Corte l’inosservanza della disciplina in tema di causalità muovendo dalla premessa, in fatto, della derivazione dell’evento dal concorso di patologie di accertata origine professionale, ovvero dall’origine professionale quantomeno di quella cardiocircolatoria, introducendo in questa sede una modificazione dei termini in fatto della controversia;

14. vale aggiungere che secondo il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, le conseguenze morbose di una infermità di natura professionale assumono il rilievo di concausa della morte del lavoratore cagionata da malattia sopravvenuta e indipendente, soltanto se, oltre ad aver prodotto la debilitazione dell’organismo, di per sé inidonea ad influire sul decesso con efficacia causale determinante, abbiano anche inciso sui caratteri della malattia sopravvenuta, accelerandone il decorso verso l’esito letale (fra tante, Cass. n. 2966 del 2018);

15. due sono le condizioni richieste perché la precedente patologia (professionale) priva di carica letale, possa considerarsi concausa nella determinazione della morte avvenuta ma dalla prima anticipata, richiedendosi fior o che l’organismo sia rimasto compromesso nella sua funzionalità e che tale compromissione abbia agevolato, nel momento di causazione dell’esito finale, la naturale carica aggressiva letale della nuova infermità e l’infermità preesistente abbia negativamente inciso sulla gravità della seconda rendendo inutile la pratica terapeutica diretta a neutralizzarla o anche solo al mantenimento nel tempo della vita del soggetto;

16. dal quadro normativo (T.U. n. 1124 del 1965, art. 145 cpv, lett. b) di riferimento emerge come il legislatore abbia voluto distinguere nel rapporto concausale tra la silicosi e le formazioni morbose eventualmente ad essa correlate, stabilendo una presunzione concausale, peraltro confutabile sul piano probatorio, solo in relazione al diritto dei superstiti alle prestazioni assicurative per la morte dell’assicurato affetto da silicosi, anche se di minima gravità, associata a qualsiasi altra forma morbosa dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio;

17. nel caso che occupa, la malattia professionale non è direttamente riconducibile alla patologia morbosa (malattia vascolare che ha colpito il distretto cerebrale) ai sensi del T.U. n. 1124 del 1965, art. 145 e dalla consulenza tecnica d’ufficio richiamata nella sentenza della Corte territoriale si evince che la silicosi non ha avuto ruolo concausale neanche minimo, né influito sulla drammatica evoluzione della malattia vascolare che ha colpito il distretto cerebrale, aggravandone gli effetti e il decorso, tenuto conto dello stadio non avanzato della silicosi e, al contrario, dello stadio avanzato della malattia aterosclerotica e dell’evoluzione delle condizioni cerebrali con perdita delle funzioni cerebrali superiori e insorgenza del coma irreversibile;

18. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;

19. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021

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