Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22869 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 29/09/2017, (ud. 19/04/2017, dep.29/09/2017),  n. 22869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16654/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.I.C.E. – Società Italiana Costruzioni Edili s.r.l., rappresentata

e difesa dall’avv. Claudio Preziosi, con domicilio eletto in Roma,

presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

– controricorrente-

e sul ricorso iscritto al n. 16654/2012 R.G. proposto da:

S.I.C.E. – Società Italiana Costruzioni Edili s.r.l., rappresentata

e difesa dall’avv. Claudio Preziosi, con domicilio eletto in Roma,

presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

– ricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 260/90/11, depositata il 19 maggio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 aprile

2017 dal Consigliere Tedesco Giuseppe.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– la Commissione tributaria regionale della Campania (Ctr) ha confermato la sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente in relazione a un avviso di accertamento fondato su indagini finanziarie effettuate su conti e rapporti intestati in nome di soggetti diversi, ma ritenuti dal Fisco riconducibili alla società;

– la Ctr ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in quanto fondato su indagini effettuate “nell’ambito di indagini di polizia giudiziaria a seguito di un provvedimento indicato come. “n. 3076 del 29.6.04 della Procura delle Repubblica presso il Tribunale di Avellino (…) e nulla osta datato 14.7.05 del sostituto procuratore della Repubblica”;

– la Ctr ha ritenuto che gli atti richiamati nell’avviso di accertamento, non conosciuti nè ricevuti dal contribuente, avrebbero dovuto essere allegati o riportati nel corpo dell’atto, per cui “indipendentemente dalla natura e dagli scopi e finalità di tali documenti, l’accertamento deve ritenersi radicalmente nullo”;

– contro la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, cui la contribuente ha reagito con controricorso, contenente ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– l’unico motivo di ricorso principale – con il quale si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè motivazione contraddittoria, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 – è fondato;

– infatti, la tesi fatta propria dalla sentenza secondo cui gli atti richiamati nella motivazione dell’avviso di accertamento, anche se già conosciuti dal contribuente, debbono ugualmente essere allegati all’avviso di accertamento ovvero in questo riprodotti nel loro contenuto essenziale, urta contro consolidati insegnamenti di questa Suprema corte, espressi nel seguente principio di diritto: “In tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione” (Cass. n. 26683/2009; conf. Cass. n. 2614/2016);

– diversamente da quanto ritenuto dalla Ctr, l’onere di allegazione o di riproduzione del contenuto essenziale di un atto non è a legato al dato formale che l’avviso ne faccia menzione in motivazione: al contrario l’onere sorge solo se il richiamo abbia funzione di integrare la motivazione, altrimenti insufficiente a dare conto dei “presupposti di fatto e (del)le ragioni giuridiche” che hanno determinato il provvedimento;

– i principi ora richiamati a maggior ragione valgono nel caso di specie, nel quale la carenza è stata riscontrata in relazione alla mancata allegazione o insufficiente riproduzione dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria alla trasmissione all’Amministrazione finanziaria degli atti d’indagine penale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1;

– tale autorizzazione, infatti, “non va allegata, a pena di nullità, all’avviso di accertamento, trattandosi di atto che mira a salvaguardare gli interessi protetti dal segreto istruttorio, ma non anche a rendere conoscibili le ragioni della pretesa tributaria, sicchè la sua mancata conoscenza, da parte del contribuente, non viola la L. n. 212 del 2000, art. 7” (Cass. 12549/2016);

– con il ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza d’appello, sotto il profilo che la sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente, si fondava non solo sul riscontro del vizio di legittimità del provvedimento per difetto di motivazione, ma, fra gli altri motivi, anche sul fatto che “la gran parte delle operazioni è risultata rispondente a regolari fatturazioni (…)”, e tale ulteriore ragione della decisione non avrebbe costituito oggetto dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate;

– il motivo è infondato, perchè la frase di cui sopra si inserisce in una ricostruzione intesa a negare che, nella specie, vi siano i presupposti per l’utilizzazione dei dati bancari attinti da conti di persone diverse della società e, pertanto, essa non integra una ragione della decisione “distinta ed autonoma” rispetto a quella costituita dalla mancanza dei presupposti per poter ritenere fittizia l’intestazione dei conti delle persone fisiche titolari;

– inoltre l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, trascritto nel controricorso, esprime una critica radicale e globale della sentenza di primo grado, tale da ricomprendere anche il profilo indicato nel motivo del ricorso incidentale, il quale va conseguentemente rigettato;

– si impone dunque, in relazione al ricorso principale, la cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra.

PQM

 

accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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