Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22868 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. III, 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29680/2019 proposto da:

A.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Palumbo

3, presso lo studio dell’avvocato Ubaldo Lopardi, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3167/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – Con ricorso affidato a due motivi, A.N. (alias M.A.N.A.), cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Venezia, resa pubblica il 26 luglio 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il richiedente aveva concluso “chiedendo esclusivamente l’annullamento dell’ordinanza impugnata al solo fine di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari”; b) il narrato del richiedente (essere fuggito dal Pakistan, dopo essersi rifugiato a (OMISSIS) in conseguenza delle violenze e minacce subite dal capo locale del quartiere della città (OMISSIS), dove viveva e lavorava come contadino, perchè cedesse il terreno agricolo) era non credibile, in quanto privo di circostanze specifiche e contraddittorio (egli si era già spostato a (OMISSIS) “al riparo da rischi”; la madre ancora coltivava il terreno; la cessione del terreno avrebbe comunque fatto venir meno le minacce alla vita); c) la vicenda narrata riguardava, comunque, fatti di “natura privatistica”; d) la protezione umanitaria non poteva, nella specie, essere riconosciuta, poichè, non solo in Pakistan, in base alle COI (EASO 2018), la situazione si andava normalizzando (con sensibile diminuzione di attacchi terroristici e relative vittime), ma anche non si ravvisavano situazioni di vulnerabilità, là dove, peraltro, il richiedente aveva soltanto dedotto di esser fuggito in ragione delle minacce subite e non in ragione della situazione geo-politica del proprio Paese.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, artt. 4, 5, art. 7, comma 2, lett. a) e art. 8, per aver la Corte territoriale escluso il riconoscimento “dello status di rifugiato ovvero di qualsivoglia altra misura di protezione internazionale” sul presupposto che i motivi addotti dal richiedente erano di “carattere privato”.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 (rectius: 3, comma 4), per aver la Corte territoriale erroneamente escluso che in Pakistan sussistesse “una situazione gravemente violativa dei diritti umani”.

3. – Occorre premettere che il ricorso può essere esaminato solo in riferimento alle censure che riguardino la protezione umanitaria del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, essendosi formato giudicato interno in riferimento alle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, avendo la Corte territoriale evidenziato che il gravame era incentrato solo sul diniego della protezione umanitaria e ciò risultando anche dalla trascrizione dell’atto di appello presente in ricorso (pp. 10/12), nè avendo il ricorrente specificamente dedotto contrariamente.

E’ difatti onere dell’appellante, ex art. 342 c.p.c., di censurare in modo specifico la sentenza di primo grado e la mancanza di specificità dei motivi di appello comporta la inammissibilità del gravame, rilevabile anche d’ufficio e in sede di legittimità, con conseguente declaratoria d’ufficio del giudicato interno formatosi sulla pronuncia di primo grado (Cass. n. 967/2004, Cass. n. 19222/2013, Cass. n. 13203/2015, Cass. n. 4706/2016).

4. – Ciò posto, i motivi di ricorso – da scrutinarsi congiuntamente – sono inammissibili.

In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., n. 29459/2019, Cass. n. 8819/2020).

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio, là dove ha ritenuto (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) non sussistere alcuna situazione personale e oggettiva di vulnerabilità nel paese di origine, assumendo, quindi, non essere sufficiente al fine richiesto il solo percorso d’integrazione intrapreso dal ricorrente nel nostro Paese.

Le censure, invero, si sostanziano in una inammissibile sollecitazione alla Corte di legittimità di rivalutare i presupposti fattuali sottesi alla reclamata protezione umanitaria, mancando di criticare in modo specifico la ratio decidendi di rigetto della domanda, in punto di situazione geo-politica del Pakistan e di salvaguardia del nucleo essenziale dei diritti fondamentali.

5. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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