Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22865 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. III, 13/09/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 13/09/2019), n.22865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16078-2017 proposto da:

MEDIOCREDITO ITALIANO SPA, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e Legale Rappresentante Dott. M.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PREVESA 11, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO SIGILLO’, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FRANCESCO BENATTI, ALDO PENAZZI, FEDERICO

MONTALDO;

– ricorrente –

contro

PROGETTO PONENTE SRL UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Liquidatore e Legale Rappresentante pro tempore Dott.

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110,

presso lo studio dell’avvocato ANGELA TASSONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO RUFFINO;

– controricorrente –

e contro

ASL N(OMISSIS) SAVONESE, CURATORE FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN

LIQUIDAZIONE, CURATORE FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimati –

Nonchè da:

ASL N(OMISSIS) SAVONESE, in persona del legale rappresentante e

Direttore Generale in carica Dott. P.E., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA NICOLO’ TARTAGLIA 5, presso lo studio

dell’avvocato SANDRA AROMOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIO SPOTORNO;

– ricorrente incidentale –

contro

MEDIOCREDITO ITALIANO SPA, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e Legale Rappresentante Dott. M.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PREVESA 11, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO SIGILLO’, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FRANCESCO BENATTI, ALDO PENAZZI, FEDERICO

MONTALDO;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

PROGETTO PONENTE SRL, FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE

FALLIMENTO DI (OMISSIS) SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 452/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento del 1 motivo del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato ANTONIO SIGILLO’;

udito l’Avvocato FRANCESCO RUFFINO;

udito l’Avvocato MARIO SPOTORNO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Mediocredito Italiano S.p.a. (d’ora in poi, “Mediocredito”), già Mediofactoring S.p.a., ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 452/17, del 5 aprile 2017, della Corte di Appello di Genova, che – rigettando il gravame da essa esperito contro la sentenza n. 704/12 del Tribunale di Savona – ha respinto la domanda proposta dall’odierna ricorrente, verso la Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) Savonese (d’ora in poi, “ASL (OMISSIS)”), di condanna al pagamento dell’importo di Euro 5.527.879,24, ovvero, in subordine, di trasferimento (sino alla concorrenza di tale somma) del complesso immobiliare ove era in precedenza ubicato l’Ospedale di (OMISSIS).

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che, in data 20 marzo 2003, ebbe a concludere con la società ImprEuro S.p.a., successivamente divenuta (OMISSIS) S.p.a., un contratto di factoring.

Riferisce, altresì, che in data 28 maggio 2004 le società ImprEuro e Demont S.p.a, aggiudicatesi la gara d’appalto per la costruzione del nuovo ospedale di (OMISSIS), si costituivano in associazione temporanea di imprese per l’esecuzione dell’appalto, conferendo mandato con rappresentanza alla, prima di tali società e regolando i loro rapporti nel senso che i valori economici derivanti dall’appalto sarebbero spettati nella misura del 58% in favore di ImprEuro e nella restante misura del 42% in favore di Demont.

All’esito della gara, la suddetta ATI, con contratto del 10 dicembre 2004, sottoscriveva l’appalto “de quo” al prezzo di Euro 33.737.000,17 (IVA esclusa), da corrispondere parzialmente “in numerarlo” – per l’importo di Euro 14.738.172,81 – e parzialmente per mezzo di trasferimento di cose immobili.

Riferisce, inoltre, la ricorrente che con atto del 28 febbraio 2005, successivamente notificato alla ASL (OMISSIS), la società ImprEuro ebbe a cederle i propri crediti verso la committente, per il complessivo importo di Euro 18.073.589,86, oltre IVA al 10%. Del pari, con successivo atto del 13 dicembre 2007, anch’esso notificato alla ASL, la società ImprEuro ebbe a cederle ulteriori crediti, nascenti sempre da quel contratto di appalto, per l’importo di Euro 1.123.244,77, oltre IVA al 10%.

Orbene, per effetto di tali cessioni, l’odierna ricorrente assume di essere divenuta creditrice, nei confronti della ASL (OMISSIS), per l’importo complessivo di Euro 19.196.835,63 (oltre Euro 1.919.682,56 pari all’IVA), e dunque per un totale di Euro 21.116.508,19, di talchè, se i crediti “in numerarlo” – da pagarsi da parte della debitrice ceduta al creditore cedente – erano pari ad Euro 14.738.172,81, la cessione avrebbe avuto ad oggetto, evidentemente, anche i crediti da pagare mediante trasferimento di cose, e ciò per il residuo importo di Euro 5.527.879,24.

Essendosi, tuttavia, la ASL (OMISSIS) rifiutata di pagare detto importo, l’odierna ricorrente si rivolgeva al Tribunale di Savona, il quale, tuttavia, respingeva la domanda, ritenendo, a dire della ricorrente, “valide” le cessioni esclusivamente per gli importi dovuti (e corrisposti) “in numerarlo”.

Proposto gravame dall’odierna ricorrente, la Corte genovese lo respingeva.

3. Avverso tale ultima decisione hanno proposto ricorso per cassazione la società Mediocredito, sulla base di cinque motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per effetto di motivazione meramente apparente”.

Assume Mediocredito che ciascuno dei sei argomenti, in cui si risolve la motivazione della Corte genovese a sostegno del rigetto del gravame da esso esperito, sarebbe inidoneo a spiegare l’interpretazione – ritenuta dalla ricorrente abnorme – data al “dictum” del giudice di prime cure.

Nessuno di essi, infatti, permetterebbe di comprendere come l’affermazione del Tribunale Savonese – secondo cui “le cessioni dei crediti a suo tempo convenute tra ImprEuro e Mediofactoring vanno, invero, ritenute valide esclusivamente per gli importi dovuti od anche corrisposti in numerarlo” – debba intendersi, non nel senso di una pronuncia di parziale nullità delle cessioni stesse, bensì come volta ad individuare l’oggetto della cessione.

Il carattere del tutto arbitrario ed illogico della motivazione connoterebbe, pertanto, la stessa in termini di mera apparenza.

3.2. Il secondo motivo, nel dedurre, nuovamente, “violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per effetto di motivazione meramente apparente”, ripropone – questa volta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – le stesse argomentazioni già poste a fondamento del primo motivo.

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e/o falsa applicazione delle regole della “interpretazione soggettiva” della sentenza.

Rileva &ricorrente che, sebbene non esistono disposizioni di legge sull’interpretazione della sentenza, ciò non vuol dire che non esistano norme in tale ambito, ovvero per identificare quale sia la volontà deliberativa insita nella pronuncia del giudice.

In particolare, la ricorrente assume che a tale scopo possano utilizzarsi le regole della ermeneutica contrattuale, e innanzitutto quelle cosiddette della “interpretazione soggettiva”.

Orbene, alla stregua di esse la Corte territoriale, nell’interpretare il “decisum” del primo giudice, avrebbe dovuto, innanzitutto, esaminare l’intero testo della sentenza impugnata, e non soltanto un frammento di essa. Successivamente, dopo aver ricostruito l’oggetto da interpretare, essa avrebbe dovuto fare applicazione della regola dell’interpretazione letterale e quindi concludere nel senso che quella adottata dal primo giudice era una statuizione esclusivamente sulla validità/invalidità delle cessioni del 2005 del 2007.

3.4. Il quarto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e/o falsa applicazione delle regole della “interpretazione oggettiva” della sentenza, e ciò “in dipendenza della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.”.

La ricorrente assume che, avuto riguardo al contenuto del contratto di appalto, degli atti di cessione del 2005 del 2007, nonchè dell’atto di citazione da essa proposto, ed infine della comparsa di risposta della ASL 2, la Corte genovese avrebbe dovuto concludere nel senso che il solo “thema decidendum” portato all’esame del giudice di prime cure era quello della validità/invalidità delle cessioni.

La differente conclusione cui il giudice di appello è pervenuto si sarebbe, per contro, tradotta in una violazione delle norme in tema di presunzioni, giacchè l’identificazione del “decisum” del Tribunale di Savona, ovvero della volontà deliberativa insita nella sentenza da esso adottata, sarebbe stata effettuata in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti che potessero indurla a ritenere che il tema devoluto all’esame del primo giudice fosse quello relativo al contenuto delle cessioni.

3.5. Il quinto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 115, commi 2, 3 e 5, nonchè del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 117, commi 2, 3, 4 e 5, e dell’art. 2043 c.c.

Si censura la decisione della Corte ligure per avere rigettato – pur ritenendola ammissibile, con ciò pronunciandosi diversamente rispetto al Tribunale savonese – la domanda subordinata, da essa Mediocredito proposta, di risarcimento del danno subito (da quantificarsi in ciò che il cedente ha incassato come anticipazione del corrispettivo, posto come partita a credito del cessionario-factor, e che poi non è stato possibile fare oggetto di compensazione, da parte dello stesso, con il debito del corrispettivo delle cessioni, e ciò a causa di eventi negativi occorsi nel rapporto tra il factor/cessionario e il debitore ceduto), e ciò sul rilievo che il comportamento inerte tenuto dal debitore ceduto, a fronte della comunicazione dell’avvenuta cessione, non potesse generare alcuna responsabilità a suo carico.

Così pronunciandosi il giudice di appello sarebbe incorso in un “grave errore di diritto”, giacchè tale principio varrebbe solo per la comune cessione del credito, ma non pure in un caso come quello presente.

Qui, infatti, troverebbero applicazione le norme dettate per l’appalto pubblico, ovvero quelle sopra meglio individuate, alla stregua delle quali il debitore ceduto pubblica amministrazione non “subisce” la cessione, potendo rifiutarla.

Nella specie, in particolare, la ASL (OMISSIS) – dopo non aver rifiutato la cessione – ebbe a provvedere al pagamento in numerarlo anche di quei crediti che avrebbero dovuto essere pagati solo mediante la consegna di beni immobili, salvo poi successivamente rifiutare il pagamento del residuo. In questo modo, ASL (OMISSIS), avrebbe posto in essere un contegno che ha indotto il cessionario Mediocredito ad anticipare il corrispettivo delle cessioni al cedente ImprEuro, creando un affidamento, poi tradito, in ordine alla possibilità di incassare integralmente i crediti oggetto di cessione.

4. La ASL (OMISSIS) ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza, nonchè svolgendo ricorso incidentale, sulla base di due motivi.

4.1. Quanto all’avversario ricorso, si sottolinea come quelli denunciati con i primi quattro motivi siano vizi che investono la motivazione della sentenza, da proporsi, pertanto, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ma nella specie precluse dall’art. 348-ter, u.c. codice di rito, ricorrendo, nella specie, un’ipotesi di “doppia conforme di merito”.

4.2. In relazione, invece, al quinto motivo del ricorso principale, si sottolinea come la relativa questione vada trattata congiuntamente a quella oggetto del primo motivo di ricorso incidentale.

4.2.1. Esso, infatti, censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, – la decisione della Corte genovese, laddove ha ritenuto ammissibile la domanda subordinata di Mediocredito, proposta con memoria depositata ex art. 183 c.p.c., comma 6, sebbene si trattasse (a dire della controricorrente) di una domanda nuova a tutti gli effetti, per “causa petendi” e per “petitum”. Difatti, la domanda “de qua” si collocherebbe “ambiguamente” tra risarcimento del danno da inadempimento contrattuale – ciò che aveva formato oggetto della domanda principale di Mediocredito – e ristoro di un pregiudizio da illecito aquiliano, oltre a sostanziarsi nella richiesta di corresponsione, non dell’importo di Euro 5.527.879,24, bensì di quello inspiegabilmente minore di Euro 3.843.545,68.

4.2.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e/o falsa applicazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, commi 6 e 7, e del D.M. Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, art. 4, n. 1) e 2) e art. 6.

Si censura il capo della sentenza relativo alle spese giacchè la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto dell’attività svolta nella fase di trattazione, nè avrebbe considerato l’aumento per la difesa contro più parti, applicando – senza motivazione alcuna – gli incrementi di valore, previsti di regola al 30%, nella misura del 15% anche per gli scaglioni completamente superati.

5. Anche la società Progetto Ponente S.r.l., in liquidazione (terza chiamata in causa da ASL (OMISSIS), che chiedeva di essere dalla stessa manlevata in caso di accoglimento della domanda attorea), ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

Premette, in punto di fatto, la controricorrente di essersi resa promissaria acquirente verso le società ImprEuro e Demont – nel periodo intercorso tra l’indizione della gara ad evidenza pubblica per la costruzione del nuovo ospedale di (OMISSIS) e l’aggiudicazione della stessa alle medesime società, costituitesi in ATI – di una serie di immobili siti in (OMISSIS), oltre che del complesso immobiliare costituito dall’Ospedale (OMISSIS), in virtù di contratto preliminare, sottoposto alla condizione sospensiva dell’aggiudicazione dell’appalto.

Deduce, inoltre, la controricorrente l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso, giacchè essi tenderebbero – inammissibilmente, appunto – a richiedere una rinnovata valutazione sul merito della controversia, nonchè a sindacare la motivazione della sentenza impugnata in violazione di quanto stabilito dall’art. 348-ter c.p.c., u.c.

6. Ha resistito Mediocredito, con controricorso, al ricorso incidentale, rilevando – quanto al primo motivo – come l’ammissibilità della domanda subordinata da essa proposta debba essere riconosciuta alla stregua di quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 15 giugno 2015, n. 12310 e come, in ogni caso, rispetto a tale domanda, ASL (OMISSIS) risulti priva di interesse ad impugnare, in difetto del presupposto della soccombenza.

Quanto secondo motivo di ricorso incidentale, se ne assume, del pari, l’inammissibilità, avendo la Corte genovese liquidato le spese processuali nell’ambito del potere discrezionale riconosciutole dalle previsioni normative relative al caso di specie.

7. La ricorrente principale e quella incidentale hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso principale va rigettato.

8.1. I motivi primo e secondo – suscettibili di disamina congiunta, giacchè prospettano la stessa censura, ai sensi, ora, del n. 3), ora, invece, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – non sono fondati.

8.1.1. Gli argomenti utilizzati dalla ricorrente, sebbene non privi di suggestione, si risolvono, per vero, in una lettura “parcellizzata” delle due sentenze di merito (e, specialmente, della prima). Una lettura, in particolare, tutta tesa a dimostrare come la statuizione del Tribunale di Savona – nell’affermare la “invalidità” della cessione, nella parte in cui si è riferita a pagamenti diversi da quelli “in numerarlo” – sarebbe stata arbitrariamente “reinterpretata” dalla Corte genovese come riconoscimento, invece, della estraneità di una simile pattuizione nei due atti di cessione.

Questa operazione di “smembramento” dei due provvedimenti per certi versi, come detto, non priva di pregio nella sua costruzione (anche se, non di rado, tale da costringere la ricorrente ad utilizzare una tecnica espositiva talmente elusiva, da sfociare quasi nella violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6)), rivela, tuttavia, la sua “artificiosità” a pagina 33 del ricorso. Qui, infatti, si riproduce quel passaggio della sentenza del primo giudice dove si afferma che “le cessioni non sono estensibili (il corsivo è di chi, qui, scrive) ai corrispettivi da versarsi in natura – ovvero alle quote dei complessi immobiliari – il cui trasferimento, (in) conformità sia agli impegni negoziali assunti tra le parti (nuovamente il corsivo è di chi, qui, scrive) sia agli obblighi di legge, può e deve avvenire esclusivamente in capo alle imprese a suo tempo costituite nell’Associazione Temporanea di Imprese, Demont S.r.l. e ImprEuro Spa (oggi (OMISSIS))”.

Si tratta di un’affermazione che giustifica la ricostruzione che della stessa ha fornito la Corte territoriale, in particolar modo nel ritenere che “il primo giudice (…) ha correttamente applicato il diritto al caso concreto mantenendo la propria decisione su linee chiare e fondamentali: la normativa che regola il factoring, quella che regola gli appalti di opere pubbliche e le limitazioni che da essa derivano alle cessioni di credito in conseguenza della prevalenza della “lex specialis” rispetto all’istituto generale previsto dal codice”, con ciò intendendo sottolineare che, nella determinazione del contenuto dei propri impegni negoziali, cedente e cessionario hanno dato vita ad una autoregolamentazione che non poteva che essere conforme alla disciplina legale e, dunque, escludendo già il primo giudice che la pattuizione negoziale contemplasse cessioni “in numerarlo”.

Tanto basta, dunque, per negare che la sentenza impugnata abbia posto a fondamento del rigetto dell’appello della società Mediocredito una motivazione “arbitraria” ed “irragionevole”, non potendo, dunque, ravvisarsi il vizio motivazionale nei termini in cui esso è, ormai, sanziona bile da questa Corte.

8.1.2. Sul punto, invero, non sembra inutile osservare che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cas. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), o perchè “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).

8.2. I motivi terzo e quarto del ricorso principale risultano anch’essi non fondati.

8.2.1. Infatti, la pretesa di applicare all’interpretazione dei provvedimenti giurisdizionali le norme di cui agli artt. da 1362 a 1371 c.c. non trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, invece, “si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 preleggi e ss., in ragione dell’assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici)”, e ciò perchè “dotati di “vis imperativa” e indisponibilità per le parti; ne consegue che la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore” (Cass. Sez. Un., sent. 9 maggio 2008, n. 11501, Rv. 603167-01; si veda anche, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 21 febbraio 2014, n. 4205, Rv. 62962401).

8.3. Il quinto motivo del ricorso principale va esaminato congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale, per concludere nel senso del rigetto dell’uno e dell’accoglimento dell’altro.

8.3.1. La domanda “subordinata”, proposta da Mediocredito con memoria depositata ex art. 183 c.p.c., comma 6, costituiva domanda nuova a tutti gli effetti, per “causa petendi” e per “petitum”. Essa, infatti, si è effettivamente colloca (come ha osservato la controricorrente e ricorrente incidentale) tra risarcimento del danno da inadempimento contrattuale – ciò che aveva formato oggetto della domanda principale di Mediocredito – e ristoro di un pregiudizio da illecito aquiliano.

Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte costituisce domanda nuova “la deduzione di una nuova “causa petendi” la quale comporti, attraverso la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia”. Siffatta evenienza, in particolare, sussiste quando alla richiesta di “accertare la sussistenza di un obbligazione contrattuale ed il conseguente inadempimento della stessa da parte del soggetto obbligato” subentri quella “di accertare un comportamento illecito posto in essere da un determinato soggetto che, al di fuori di qualunque rapporto contrattuale, abbia arrecato danno ad un terzo”, visto che pure “il “petitum” tra le due domande è diverso richiedendosi, nel primo caso, l’ammontare del prezzo risultante dall’accordo contrattuale in base alla prestazione effettuata, mentre, nel secondo caso, è costituito dal danno effettivamente subito e quindi dal pregiudizio patrimoniale derivato dal comportamento illecito altrui” (così, tra le molte, in motivazione, Cass. Sez. 1, cent. 30 settembre 2004, n. 19605, richiamata dal Procuratore Generale presso questa Corte nel corso dell’udienza pubblica di discussione).

8.3.2. Nè, in senso contrario, vale richiamare – come ha fatto, invece, la ricorrente – il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sent. 15 giugno 2015, n. 12310.

Il citato arresto ha, indubbiamente, sottolineato che la “vera differenza tra le domande “nuove” implicitamente vietate – in relazione alla eccezionale ammissione di alcune di esse – e le domande “modificate” espressamente ammesse” non sta “nel fatto che in queste ultime le “modifiche” non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali -, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività”.

Seguendo questa impostazione, pertanto, ridurre “la modificazione ammessa ad una sorta di precisazione o addirittura di mera diversa qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto” significherebbe, “contro la lettera e la logica della norma, costringere la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio interesse e i propri intendimenti in relazione ad una determinata vicenda sostanziale” a “rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in un altro processo, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale, ovvero a continuare il processo perseguendo un risultato non perfettamente rispondente ai propri desideri ed interessi, per poi eventualmente proporre una nuova domanda (con indubbio spreco di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice”.

Nella specie, tuttavia, la domanda di risarcimento danno avanzata da Mediocredito si poneva come dichiaratamente “subordinata”, senza, dunque, sostituirsi a quella originaria, donde la sua inammissibilità anche sotto questo profilo.

9. Detto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale, quanto al secondo motivo, esso non è fondato.

9.1. Va qui ribadito che “i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le stesse soglie numeriche di riferimento previste dal D.M. n. 55 del 2014, con i relativi aumenti e diminuzioni, costituiscono criteri di orientamento della liquidazione del compenso, individuando, al contempo, la misura economica standard (quella media) del valore della prestazione professionale”, sicchè, “solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014 il giudice è tenuto ad indicare i parametri che hanno guidato la liquidazione del compenso; scostamento che può anche superare i valori massimi o minimi determinati in forza delle percentuali di aumento o diminuzione, ma in quest’ultimo caso fermo restando il limite di cui all’art. 2233 c.c., comma 2, che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 15 dicembre 2017, n. 30286, Rv. 647179-01).

Su tali basi, e dunque sul rilievo, che “avverso la liquidazione dei compensi potrà denunciarsi in sede di legittimità la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto resa in base a motivazione solo apparente o, comunque, in violazione del c.d. minimo costituzionale della motivazione (…) ovvero per “error in iudicando”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in ipotesi di violazione del limite di cui al citato art. 2233 c.c., comma 2″ (Cass. Sez. 6-3., ord. n. 30286 del 2017, cit.), deve ritenersi che nessuno dei vizi appena descritti infici la statuizione della Corte genovese in punto spese di lite.

10. All’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale segue la cassazione, in relazione, della sentenza impugnata e – non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto – la decisione nel merito, ai sensi della seconda alinea dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Difatti, questa Corte decidere la causa nel merito “nel caso di violazione o falsa applicazione non solo di norme sostanziali ma anche di norme processuali” (Cass. Sez. 5, ord. 20 ottobre 2017, n. 24866, Rv. 645974-01), allorchè “non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto e debba essere risolta una questione di mero diritto” (così, con riferimento ad una nullità della decisione per vizio meramente procedurale, Cass. Sez. 5, ord. 31 ottobre 2018, n. 27837, Rv. 651411-01).

E’ quanto, appunto, è ipotizzabile nel caso di specie, dovendo dichiararsi l’inammissibilità della domanda “subordinata” di risarcimento dei danni, ritenuta – viceversa – ammissibile dalla Corte territoriale, quantunque proposta in violazione dell’art. 183 c.p.c.

11. Quanto alle spese processuali, quelle del giudizio di appello (da porsi a carico della società Mediocredito) andranno determinate, in favore della ASL (OMISSIS) e alla società Progetto Ponente S.r.l., in liquidazione, nella misura già liquidata dalla Corte di Appello di Genova, ovvero Euro 7.130,00 per fase di studio, Euro 4.250,00 per la fase introduttiva, Euro 12.155,00 per quella decisionale, per un totale di Euro 23.535,00, oltre 15% per spese generali, più IVA e CPA.

Le spese del presente giudizio, del pari, seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.

12. A carico della ricorrente principale sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, accogliendo, invece il secondo motivo e, per l’effetto, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda subordinata della società Mediocredito Italiano S.p.a., condannandola a rifondere all’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) Savonese e alla società Progetto Ponente S.r.l., in liquidazione, le spese del giudizio di appello, che liquida, per ciascuna di esse, in Euro 23.535,00, oltre 15% per spese generali, più IVA e CPA;

condanna, altresì, la società Mediocredito Italiano S.p.a. a rifondere alla predetta Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) Savonese e alla società Progetto Ponente S.r.l., in liquidazione, le spese del presente giudizio, che liquida, per la prima, in Euro 11.200,00, nonchè, per la seconda, in Euro 8.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, in favore di entrambe, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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