Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22863 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. III, 13/09/2019, (ud. 13/02/2019, dep. 13/09/2019), n.22863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26186-2017 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS) in persona dell’Avvocato ANDREA

SANDULLI, nella sua qualità di Responsabile della Funzione Affari

Legali di Poste Italiane S.p.a., in virtù dei poteri conferiti con

procura per atto per notaio A.P. in data (OMISSIS),

registrato in data (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FULCIERI PAOLUCCI DE’ CALBOLI 5, presso lo studio dell’avvocato

DARIO BUZZELLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ATRADIUS CREDITO Y CAUCION SA DE SEGUROS Y REASEGUROS, con

Rappresentanza Generale per l’Italia in persona del Dirigente

procuratore Dott. D.G., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA VITTORIA 10, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

CASTAGNI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5675/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 7/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/02/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Poste Italiane S.p.a. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, SIC – Società Italiana Cauzioni – S.p.a. (di seguito indicata, per brevità, SIC) e, premesso di essere beneficiaria di una polizza fideiussoria stipulata con la convenuta dalla società Securidata, a garanzia dell’adempimento di un contratto di appalto di servizi relativi al trasporto valori, rappresentò che si erano verificate due rapine in data (OMISSIS), con perdita dei valori trasportati, e chiese, pertanto la condanna dello convenuta, quale garante, a risarcire i danni subiti.

Si costituì la convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

Il Giudice adito, con la sentenza n. 6262/2008, accolse la domanda, evidenziando, tra l’altro, e per quanto ancora rileva in questa sede, che, al momento del verificarsi delle due rapine – eventi oggetto della richiamata polizza -, quest’ultima, al contrario di quanto eccepito dalla convenuta, era stata rinnovata risultando il primo rinnovo, dal 31 ottobre 2000 al 31 gennaio 2001 (e non 2000 come dalla sentenza), “adeguatamente provato dalla relativa quietanza rilasciata dalla SIC, prodotta in giudizio da Poste Italiane e non disconosciuta dall’odierna convenuta” e risultando, altresì, sempre secondo quel Giudice, che la detta garanzia era stata rinnovata per la durata di 365 giorni dal 1 giugno 2000 al 31 maggio 2001; il che era provato da un documento “in allegato alla memoria ex art. 184 c.p.c.”.

Avverso tale decisione Atradius Credit Insurance N. V., quale conferitaria del ramo d’azienda cauzioni ed assicurazioni credito di SIC, propose appello, cui resistette Poste Italiane S.p.a..

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5675/2017, pubblicata il 7 settembre 2017, in accoglimento dell’appello e in riforma totale della sentenza, rigettò la domanda proposta da Poste Italiane S.p.a. e condannò quest’ultima a rifondere all’appellante le spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza della Corte di merito Poste Italiane S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi e illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria, Atradius Credito y Caucion S.A. de Seguros y Reaseguros, incorporante Atradius Credit Insurance N. V..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., art. 183 c.p.c., comma 4 e art. 58 c.p.c. per aver la Corte territoriale deciso l’impugnazione omettendo di disporre la ricerca in cancelleria e/o autorizzare la ricostruzione di documenti non rinvenuti al momento della decisione ma ritualmente prodotti da Poste Italiane”. Con tale mezzo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che, alla luce della documentazione prodotta, “… non vi è prova della allegata/proroga/rinnovazione della polizza. Al contrario quello che è documentalmente provato è che alla polizza, nell’esercizio dell’autonomia negoziale, era stato apposto un termine finale di efficacia al 31 ottobre 2000; di talchè al momento del verificarsi degli eventi – ammesso che essi rientrassero nell’ambito della polizza e a prescindere della eventuale permanenza del rapporto Securidata/Poste – essa non era più operante” ed ha concluso affermando “Quindi il secondo motivo è fondato e va ribadito che, al momento in cui si è verificato l’evento, la polizza n. (OMISSIS) era già scadut(a). Da ciò consegue che la domanda di P.I. va rigettata”.

Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale sarebbe “incorsa in vizio procedurale consistente nell’essersi pronunciata pur in presenza di documenti decisivi ai fini della valutazione del motivo di appello”.

Evidenzia Poste Italiane S.p.a. che “nell’economia della decisione del Giudice di prime cure hanno assunto dirimente rilievo alcuni documenti che hanno indirizzato la decisione verso l’operatività della polizza al tempo del sinistro. Si tratta nello specifico di un atto di quietanza e di un documento sottoscritto da Società Italiana Cauzioni e mai disconosciuto, dal quale risulta il rinnovo della polizza per 365 giorni dal 1.6.2000 al 31.5.2001, arco di tempo nel quale appunto si erano verificati i sinistri e di un fax della General Broker Service del 12.2.2001”.

Sostiene la ricorrente che l’appellante non aveva mai posto in discussione l’esistenza e la rituale produzione in giudizio di tali documenti, pertanto “la questione ruota intorno alla portata probatoria” di tali documenti “e non alla loro materiale esistenza e tempestiva produzione”.

Ad avviso della ricorrente, la circostanza che, per tutto lo svolgersi del giudizio di impugnazione e fino al momento della decisione, tali documenti processuali siano stati presenti nel fascicolo processuale, tanto che nessuna delle parti in giudizio ha rilevato al riguardo alcunchè, dovrebbe far propendere per l’assoluta integrità delle produzioni documentali sino al momento in cui la causa è stata riservata per la decisione; tale dato avrebbe dovuto indurre la Corte di merito a disporne la ricerca in cancelleria e, in caso di esito negativo, autorizzare la ricostruzione del fascicolo. Assume la ricorrente che trattasi di documenti decisivi e che la decisione impugnata si porrebbe in diretto e non sanabile contrasto con l’art. 183 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 58 c.p.c. per quanto attiene ai compiti di conservazione dei fascicoli di parte a cura del cancelliere e si porrebbe, altresì, in contrasto con i principi di cui agli artt. 24 e 11 Cost.

3. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 75,81 e 115 c.p.c. in punto di inammissibilità dell’appello per difetto di prova in ordine alla cessione del ramo d’azienda da S.I.C. ad Atradius”, la ricorrente deduce che la sentenza di primo grado è stata emessa nei confronti di SIC S.p.a. e che l’appello è stato proposto da Atradius Credit Insurance NV, “nella qualità di conferitaria del ramo di azienda cauzioni ed assicurazioni credito della Società Italiana Cauzioni – S.I.C. – S.p.a…. in forza di atto in data 31.12.2004 che ha fatto seguito alla autorizzazione ISVAP in data 21.12.2004 sulla certificazione fornita in data 13.12.04 dall’Organo di Vigilanza Olandese Die Nederlandsche Bank e di cui è stata resa notizia attraverso la pubblicazione sulla GU della Repubblica Italiana in data 28.12.2004”; rappresenta di aver, nel costituirsi in secondo grado, eccepito la mancanza di prova circa l’esistenza e il contenuto di tale pretesa cessione implicante la dedotta legittimazione ad interporre gravame avverso una sentenza pronunciata nel confronti di SIC e censura la decisione della Corte di merito nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto infondata tale eccezione, sul rilievo che l’eccezione proposta era generica ed esplorativa, non essendo stata contestata, nè la sussistenza degli atti indicati nè la loro astratta valenza a sostenere l’allegata legittimazione, omissioni ancor più – significative, ad avviso di quella Corte, avendo gli atti allegati forma di atti notarili e in parte gli stessi sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e in quanto tali noti erga omnes.

Inoltre, lamenta la ricorrente che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto che “Atradius”, all’udienza del 14 novembre 2012, ha prodotto in giudizio, a sostegno della domanda di rimborso dell’imposta di registro, un modello F23 pagato in data 13 aprile 2010 da SIC, così introducendo la stessa appellante un elemento istruttorio dirimente che confermerebbe la carenza assoluta di legittimazione di detta parte ad interporre appello avverso una sentenza emessa nei confronti di SIC S.p.a..

4. Seguendo l’ordine logico va esaminato per primo il secondo motivo.

Tale motivo, pur se sufficientemente specifico, riportando in sintesi sostanzialmente quanto eccepito nell’atto di costituzione in appello, sicchè ben può questa Corte accedere all’esame diretto degli atti del giudizio di merito al riguardo (Cass. 8/0672016, n. 11738), è, comunque, infondato.

Ed invero, tenuto conto di quanto eccepito da Poste Italiane S.p.a. nella comparsa di costituzione e risposta in sede di appello (“si eccepisce… che l’appellante non ha provato l’esistenza e il contenuto di tale cessione, non indicando neppure gli estremi dell’atto notarile ad esso relativa. Nè può valere a superare tale mancata allegazione la pubblicazione della relativa autorizzazione ISVAP nella Gazzetta Ufficiale”) e di quanto indicato nell’intestazione dell’atto di citazione in appello da Atradius Credit Insurance N. V., risulta che la Corte territoriale ha correttamente affermato che “la eccezione risulta in sè generica ed esplorativa in quanto non risulta contestata nè la sussistenza “in re” degli atti indicati, nè tantomeno la loro astratta valenza a sostenere la allegata legittimazione. Omissioni ancor più significative ove si consideri che gli atti allegati hanno la forma dell’atto notarile e, in parte, sono stati pubblicati anche sulla Gazzetta Ufficiale e in quanto tali noti) “erga omnes””. Si evidenzia, infatti, che nella intestazione dell’atto di citazione in appello sono indicati atti e dati idonei a consentire il controllo degli atti stessi, sulla base dei quali l’appellante ha fondato la sua legittimazione, atti soggetti a pubblicità, con la precisazione che sono stati indicati anche il n. di REA di Atradius e la data dell’atto di conferimento del ramo di azienda successivo all’autorizzazione e di cui è stata data notizia con pubblicazione sulla G.U. del 28.12.2004.

Nè ha valore dirimente, nel senso auspicato dalla ricorrente, la produzione, a sostegno della domanda di rimborso dell’imposta di registro, di un modello F 23 pagato dalla SIC, soggetto parte in causa in primo grado, in data 13 aprile 2004, potendo esso integrare astrattamente, come pure dedotto dalla controricorrente, un indebito oggettivo.

5. Il primo motivo è da disattendere.

Ed invero, nella sentenza impugnata la Corte di merito, dopo aver affermato che gli unici documenti prodotti da Poste Italiane S.p.a. erano quelli depositati in cancelleria il 15 luglio 2004 e 13 febbraio 2006, li ha specificamente elencati e ha precisato che essi erano gli unici documenti prodotti in appello.

A fronte di tale specifica indicazione, la ricorrente non ha precisato quando i singoli documenti cui fa espresso riferimento in ricorso siano stati prodotti in sede di merito – e, pertanto, la loro produzione risulta inammissibile in questa sede -, essendosi la ricorrente limitata, a tale riguardo, a richiamare un’annotazione vergata a penna sul fascicolo d’ufficio relativa a “note 184 c.p.c.”, ma non anche ai singoli documenti alle dette note effettivamente allegati, nonchè ad un timbro attestante il deposito del fascicolo di primo grado in sede di appello, senza l’indicazione, anche qui specifica, degli atti depositati in quella sede.

A tanto deve aggiungersi che questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio, che va ribadito in questa sede, secondo cui “Se, al momento della decisione della causa, risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione, solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione. Qualora, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare un siffatto vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa” (v. Cass. 28/06/2017, n. 16212; Cass. 3/07/2008, n. 18237).

Nella specie, tuttavia, la ricorrente non ha, con il motivo all’esame, evidenziato la sussistenza di elementi in base ai quali la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere che la mancanza dei documenti dal fascicolo di parte fosse involontaria ovvero che fosse dipesa da smarrimento e sottrazione, non valendo a tanto la circostanza, di per sè non indicativa, che nulla le parti avessero dedotto in secondo grado al riguardo, nè la ricorrente ha veicolato la sua censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia pure nei ristretti limiti ora consentiti.

6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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