Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22861 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. III, 20/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 20/10/2020), n.22861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1654-2018 proposto da:

D.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 95,

presso lo studio dell’avvocato MONICA CIAMMETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato DARIO GALLO;

– ricorrenti –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

VOLPATO 8, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CAMPISI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO SPARTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 741/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 01/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

D.M.P. conveniva davanti al Tribunale di Palermo M.M. per ottenerne la condanna a pagargli Euro 9000 quale risarcimento dei danni per illegittimo esercizio di facoltà di disdetta ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 3 per un contratto locatizio ad uso abitativo stipulato il 6 febbraio 2009 per la durata di quattro anni, in relazione al quale il convenuto, quale locatore, in riferimento alla prima scadenza del 6 febbraio 2013, gli avrebbe comunicato con lettera del 24 ottobre 2011 il diniego di rinnovo per la sua intenzione di vendere l’immobile, tacendo di essere proprietario di altri immobili ad uso abitativo: di qui sarebbe insorto il diritto risarcitorio prospettato ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 3, comma 1, lett. g.

M.M. si costituiva, resistendo, e adducendo che il rapporto locatizio era sorto il 1 luglio 1990 e che il contratto del 6 febbraio 2009 non lo aveva rinnovato, per cui quella del 6 febbraio 2013 non sarebbe stata la prima scadenza.

Il Tribunale, con sentenza del 24 giugno 2014, accogliendo la prospettazione attorea dichiarava risolto il contratto del 6 febbraio 2009 e condannava il convenuto a corrispondere la somma di Euro 9000, oltre interessi, all’attore.

Il M. proponeva appello, cui controparte resisteva.

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 1 giugno 2017, accoglieva il gravame, rigettando ogni domanda dell’appellato.

Osservava che era stato stipulato un contratto “in data 6.2001”, scadente il 6 febbraio 2005, rinnovatosi tacitamente fino al 6 febbraio 2009, quando ne fu stipulato un altro, il quale non ne costituì novazione. Rilevava che, alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte (citava Cass. sez. 3, 21 maggio 2007 n. 11672), affinchè si concretizzi una novazione non è determinante la modifica del canone o del termine della scadenza, occorrendo invece non solo il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione ma altresì animus e causa novandi, elementi, questi, neppure allegati dal D.M.. Pertanto la prima scadenza sarebbe avvenuta il 6 febbraio 2005, e non il 6 febbraio 2013, per cui alla disdetta in relazione al 6 febbraio 2013 non sarebbe stato applicabile la L. n. 431 del 1998, art. 3.

Il D.M. ha proposto ricorso, fondato su un unico motivo, da cui il M. si è difeso con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1998, art. 2, commi 1 e 6 e art. 3.

Adduce il ricorrente che il giudice d’appello ha ritenuto il contratto del 6 febbraio 2009 “un vecchio contratto rinnovato, e non un contratto stipulato ex novo secondo la nuova disciplina”, così escludendo animus e causa novandi. Il che è stato effettuato “con congrua e adeguata motivazione, insindacabile in questa sede” (ricorso, pagina 3).

Peraltro la corte territoriale avrebbe violato la L. n. 431 del 1998, artt. 2 e 3 “ponendo sullo stesso piano, di fatto, i contratti stipulati ex novo sotto la nuova disciplina, come è quello stipulato nel 2009, a quelli rinnovati tacitamente”.

Si osserva che la L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 1 è composto da due parti, una regolante i contratti stipulati ex novo e una regolante i contratti rinnovati tacitamente. L’art. 2, comma 6 poi, sarebbe di natura speciale, e dunque prevalente sulla disciplina generale delle locazioni e non applicabile analogicamente. Se, allora, l’art. 2, comma 6, richiama, per regolare il rinnovo dei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 431 del 1998, il comma 1 cit. articolo, quest’ultimo si applica nella sola parte riguardante i rinnovi contrattuali (e non quindi nella parte riguardante i contratti nuovi), altrimenti si verificherebbe una ingiustificata equiparazione tra i contratti nuovi e i contratti rinnovati, con rischio di illegittimità costituzionale ex art. 3 Cost. Infatti “con la novazione le parti si scambiano una nuova manifestazione di volontà negoziale”, potendo modificare le clausole, mentre “la rinnovazione determina la semplice prosecuzione del rapporto” attribuendo la legge “valore di manifestazione tacita di volontà alla… inerzia delle parti”.

Pertanto, se non sussiste novazione, il “vecchio” contratto si rinnova alle precedenti condizioni, e quindi alla durata di quattro anni con il canone legale.

L’art. 3 prevede la possibilità di disdetta da parte del locatore per i motivi ivi indicati “alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi dell’art. 2, comma 1 e alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 3 medesimo articolo”. Dunque il contratto del 6 febbraio 2009 sarebbe stato “il primo (l’unico) stipulato ai sensi e per gli effetti della L. n. 431 del 1998, e pertanto quella del febbraio 2013 non poteva essere qualificata come prima scadenza”.

Inoltre l’indennità risarcitoria di cui all’art. 3, comma 3, non era prevista dalla normativa antecedente alla L. n. 431 del 1998, per cui “solamente la data del 2.2013 poteva esser considerata quale prima scadenza contrattuale agli effetti risarcitori”.

Sarebbe stato poi noto al M. che il 6 febbraio 2013 era “una scadenza intermedia”: altrimenti egli avrebbe potuto inoltrare una disdetta immotivata, avendo invece indicato: “per l’evidente ragione della messa in vendita dell’appartamento”, “richiamando pro veritate” la L. n. 431 del 1998, art. 3, comma 1, lett. g.

Da ciò deriverebbe che il giudice d’appello avrebbe dovuto qualificare, “nello spirito della normativa delle locazioni ad uso abitativo, in particolare della L. n. 431 del 1998, artt. 1 e 3” quella del 2013 “scadenza intermedia del secondo ottennio” e, pertanto, assoggettarla alla disciplina di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 3.

2. Il motivo è intrinsecamente contraddittorio e dunque incomprensibile, id est inammissibile (cfr. p. es. già Cass. sez. L, 15 dicembre 1979 n. 6530: “E’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, per la sua oscura formulazione, non consente di intendere il significato e la portata della censura svolta”; e cfr. più di recente Cass. sez. 3, 4 febbraio 2000 n. 1238 e Cass. sez. 1, 17 maggio 2006 n. 11501: “L’assoluta incomprensibilità della censura svolta con un mezzo di cassazione comporta che non è soddisfatto il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, il quale prescrive che il ricorso contenga, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata”).

In primis il motivo riconosce espressamente che il giudice d’appello ha accertato che non è stato stipulato un contratto ex novo nel 2009 e che al riguardo la motivazione è insindacabile. Il che non può non significare che è accertato, e si è formato il giudicato sul punto, che il contratto del 2009 non è un contratto nuovo, bensì una manifestazione del rapporto locatizio preesistente e che così prosegue. E infatti la corte territoriale, per quanto si evince dalla sua pur alquanto scarna motivazione, afferma che il primo contratto rilevante nella vicenda fu stato stipulato nel 2001, per cui la prima scadenza – ovvero la scadenza cui sarebbe stato applicabile la L. n. 431 del 1998, art. 3 – avvenne nel 2005, e non nel 2013 come prospettato dall’appellato.

Nonostante questo, il ricorrente inverte poi la sua prospettazione, ovvero ritorna a sostenere che fu il contratto del 2009 il primo ad essere stipulato nella vigenza della L. n. 431 del 1998, e che quindi nel 2013 avvenne la prima scadenza: e ciò dove afferma che il contratto del 6 febbraio 2009 fu “il primo (e l’unico) stipulato ai sensi e per gli effetti della L. n. 431 del 1998, e pertanto quella del febbraio 2013 non poteva essere qualificata come prima scadenza”.

Ora, a parte che l’essere stato stipulato dalle parti soltanto un contratto nel 2009 e non anche, come ritenuto dal giudice d’appello, nel 2001 è una questione di fatto, e dunque in questa sede inammissibile, è evidente la insuperabile contraddittorietà con quanto lo stesso ricorrente aveva appena riconosciuto, che non consente quindi di percepire l’effettivo contenuto del motivo.

Incomprensibile, per di più, è anche la conclusione laddove afferma che sarebbe applicabile l’art. 3 anche alla “scadenza intermedia del secondo ottennio”, cioè la scadenza del 2013: contraddice quanto appena affermato (a sua volta contraddittoriamente, ut supra rimarcato), e cioè che nel 2013 vi sarebbe stata la prima scadenza del primo e unico contratto soggetto alla L. n. 431 del 1998, art. 3; nè si comprende quale sarebbe il supporto normativo per estendere la disciplina stabilita dall’art. 3 per la prima scadenza a quella che il ricorrente definisce”scadenza intermedia del secondo ottennio”.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – alla contro ricorrente.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 8000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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