Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2286 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/01/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23420/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE ANGELICO 36-

B, presso lo studio dell’avvocato SCARDIGLI Massimo, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2006 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 27/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/12/2010 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI FABRIZIO, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato SCARDIGLI MASSIMO, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 26 aprile 2001 R.P. presentò istanza di accertamento con adesione, in base al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, in relazione all’avviso di rettifica Irpef e S.S.N. 1995 ricevuto in data 23 marzo 2001. Mancato l’accordo in un primo incontro, restò in attesa di una seconda convocazione da parte dell’Ufficio, e reiterò l’istanza di concordato il 20 settembre 2001. Il 12 novembre 2001 ricevette cartella esattoriale conseguente all’accertamento non impugnato, avverso la quale propose ricorso, che la CTP di Milano respinse con sentenza 11 settembre 2002. Propose appello con atto notificato il 23 maggio 2005, che è stato accolto. L’Agenzia delle Entrate ricorre avverso la decisione con due motivi. 11 contribuente resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo motivo, è dedotta violazione di legge (artt. 324 e 327 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 e art. 2909 c.c.) e vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si osserva che fra la data della sentenza di primo grado e quella dell’appello intercorsero ben oltre un anno e quarantasei giorni. La CTR ha conosciuto il merito del gravame senza darsi carico della eccezione con la quale ne era stata rilevata la intempestività.

Col secondo motivo, subordinato, si lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3 e del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6.

Si osserva che la cartella esattoriale è impugnabile soltanto per vizi propri, mentre la CTR ha accolto il ricorso sul rilievo che doveva ritenersi nullo l’avviso di accertamento presupposto, in quanto l’Ufficio non aveva dato seguito alla richiesta di concordato presentata D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6.

Il resistente osserva che l’appello era tempestivo, perchè il termine ordinario di impugnazione della sentenza di primo grado era rimasto sospeso fino al 1 giugno 1994 in base alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6. Il giudizio promosso avverso la cartella aveva infatti ad oggetto anche la definitività dell’avviso di accertamento, contestata in relazione alla mancata definizione del procedimento di accertamento con adesione. Correttamente la CTR avrebbe pertanto ritenuto che l’accertamento non fosse divenuto definitivo “stante l’inerzia dell’Ufficio di fronte alla richiesta del contribuente”, e che la sospensione disposta dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, non potesse “operare a danno del contribuente una volta scaduta”. Sicchè, “scaduti anche i termini per l’impugnazione, ove l’Ufficio sia venuto meno ad un adempimento obbligatorio di sua competenza” dovesse conseguirne la declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento.

Il ricorso è fondato.

Il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, agli ultimi tre commi, recita: “Il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall’invito di cui all’art. 5, può formulare anteriormente all’impugnazione dell’atto innanzi la commissione tributaria provinciale, istanza in carta libera di accertamento con adesione, indicando il proprio recapito, anche telefonico.

Il termine per l’impugnazione e quello per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto accertata, indicato nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60, comma 1, sono sospesi per un periodo di novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza del contribuente;

l’iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli delle imposte accertate dall’ufficio, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15, comma 1, è effettuata, qualora ne ricorrano i presupposti, successivamente alla scadenza del termine di sospensione.

L’impugnazione dell’atto comporta rinuncia all’istanza.

Entro quindici giorni dalla ricezione dell’istanza di cui al comma 2, l’ufficio, anche telefonicamente o telematicamente, formula al contribuente l’invito a comparire. Fino all’attivazione dell’ufficio delle entrate, la definizione ha effetto ai soli fini del tributo che ha formato oggetto di accertamento. All’atto del perfezionamento della definizione, l’avviso di cui al comma 2 perde efficacia”.

La formulazione del testo di legge induce a ritenere che la convocazione del contribuente, a seguito della sua richiesta, non costituisca per l’ufficio un obbligo, ma soltanto una facoltà, da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisività degli elementi posti a base dell’accertamento e della opportunità di evitare la contestazione giudiziaria. L’istanza di audizione non priva di efficacia l’accertamento, ma ne sospende soltanto il termine di impugnazione per 90 giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, esso diviene definitivo, salva l’impugnazione. E’ invero soltanto “all’atto del perfezionamento della definizione” che “l’avviso di cui al comma 2, perde efficacia”.

E qualora l’ufficio escludesse in radice l’opportunità di una composizione bonaria, l’obbligo della convocazione costituirebbe un inutile appesantimento dell’attività amministrativa. Il termine di 90 giorni per il quale resta sospeso l’onere della impugnativa giudiziaria corrisponde del resto a quello stabilito per la formazione del silenzio rifiuto, sicchè è coerente col sistema ritenere che, decorso quel termine dalla presentazione della istanza di audizione senza che l’Amministrazione abbia riposto, l’istanza medesima debba considerarsi tacitamente rigettata (Cass. 28051/2009).

La mancata definizione del procedimento di accertamento con adesione non ha pertanto impedito che l’avviso di accertamento notificato il 23 marzo 2001 sia divenuto definitivo per mancata impugnazione alla scadenza del più lungo termine (di 150 giorni dalla notificazione) concesso dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3 (nessun rilievo potendosi attribuire alla reiterazione dell’istanza di concordato operata il 20 settembre 2001). La impugnazione successivamente proposta avverso la cartella esattoriale a motivo della illegittimità dell’avviso, e l’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado oltre il termine dell’art. 327 c.p.c., erano pertanto inammissibili, non trovando applicazione la sospensione disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6, per le liti aventi ad oggetto “avvisi di accertamento”.

La decisione impugnata va cassata, e va respinto nel merito – non apparendo necessari altri accertamenti di fatto – l’originario ricorso proposto avverso la cartella esattoriale.

Possono compensarsi le spese del giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, è dedotta violazione di legge (artt. 324 e 327 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 e art. 2909 c.c.) e vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si osserva che fra la data della sentenza di primo grado e quella dell’appello intercorsero ben oltre un anno e quarantasei giorni. La CTR ha conosciuto il merito del gravame senza darsi carico della eccezione con la quale ne era stata rilevata la intempestività.

Col secondo motivo, subordinato, si lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3 e del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6.

Si osserva che la cartella esattoriale è impugnabile soltanto per vizi propri, mentre la CTR ha accolto il ricorso sul rilievo che doveva ritenersi nullo l’avviso di accertamento presupposto, in quanto l’Ufficio non aveva dato seguito alla richiesta di concordato presentata D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6.

Il resistente osserva che l’appello era tempestivo, perchè il termine ordinario di impugnazione della sentenza di primo grado era rimasto sospeso fino al 1 giugno 1994 in base alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6. Il giudizio promosso avverso la cartella aveva infatti ad oggetto anche la definitività dell’avviso di accertamento, contestata in relazione alla mancata definizione del procedimento di accertamento con adesione. Correttamente la CTR avrebbe pertanto ritenuto che l’accertamento non fosse divenuto definitivo “stante l’inerzia dell’Ufficio di fronte alla richiesta del contribuente”, e che la sospensione disposta dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, non potesse “operare a danno del contribuente una volta scaduta”. Sicchè, “scaduti anche i termini per l’impugnazione, ove l’Ufficio sia venuto meno ad un adempimento obbligatorio di sua competenza” dovesse conseguirne la declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento.

Il ricorso è fondato.

Il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, agli ultimi tre commi, recita: “Il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall’invito di cui all’art. 5, può formulare anteriormente all’impugnazione dell’atto innanzi la commissione tributaria provinciale, istanza in carta libera di accertamento con adesione, indicando il proprio recapito, anche telefonico.

Il termine per l’impugnazione e quello per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto accertata, indicato nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60, comma 1, sono sospesi per un periodo di novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza del contribuente;

l’iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli delle imposte accertate dall’ufficio, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15, comma 1, è effettuata, qualora ne ricorrano i presupposti, successivamente alla scadenza del termine di sospensione.

L’impugnazione dell’atto comporta rinuncia all’istanza.

Entro quindici giorni dalla ricezione dell’istanza di cui al comma 2, l’ufficio, anche telefonicamente o telematicamente, formula al contribuente l’invito a comparire. Fino all’attivazione dell’ufficio delle entrate, la definizione ha effetto ai soli fini del tributo che ha formato oggetto di accertamento. All’atto del perfezionamento della definizione, l’avviso di cui al comma 2 perde efficacia”.

La formulazione del testo di legge induce a ritenere che la convocazione del contribuente, a seguito della sua richiesta, non costituisca per l’ufficio un obbligo, ma soltanto una facoltà, da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisività degli elementi posti a base dell’accertamento e della opportunità di evitare la contestazione giudiziaria. L’istanza di audizione non priva di efficacia l’accertamento, ma ne sospende soltanto il termine di impugnazione per 90 giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, esso diviene definitivo, salva l’impugnazione. E’ invero soltanto “all’atto del perfezionamento della definizione” che “l’avviso di cui al comma 2, perde efficacia”.

E qualora l’ufficio escludesse in radice l’opportunità di una composizione bonaria, l’obbligo della convocazione costituirebbe un inutile appesantimento dell’attività amministrativa. Il termine di 90 giorni per il quale resta sospeso l’onere della impugnativa giudiziaria corrisponde del resto a quello stabilito per la formazione del silenzio rifiuto, sicchè è coerente col sistema ritenere che, decorso quel termine dalla presentazione della istanza di audizione senza che l’Amministrazione abbia riposto, l’istanza medesima debba considerarsi tacitamente rigettata (Cass. 28051/2009).

La mancata definizione del procedimento di accertamento con adesione non ha pertanto impedito che l’avviso di accertamento notificato il 23 marzo 2001 sia divenuto definitivo per mancata impugnazione alla scadenza del più lungo termine (di 150 giorni dalla notificazione) concesso dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3 (nessun rilievo potendosi attribuire alla reiterazione dell’istanza di concordato operata il 20 settembre 2001). La impugnazione successivamente proposta avverso la cartella esattoriale a motivo della illegittimità dell’avviso, e l’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado oltre il termine dell’art. 327 c.p.c., erano pertanto inammissibili, non trovando applicazione la sospensione disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6, per le liti aventi ad oggetto “avvisi di accertamento”.

La decisione impugnata va cassata, e va respinto nel merito – non apparendo necessari altri accertamenti di fatto – l’originario ricorso proposto avverso la cartella esattoriale.

Possono compensarsi le spese del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e – decidendo nel merito – rigetta l’originario ricorso introduttivo della lite.

Compensa fra le parti le spese di tutto il processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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