Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22857 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. III, 20/10/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 20/10/2020), n.22857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19974-2018 proposto da:

C.F., elettivamente presso l’Avvocato BENEDETTO

SCHIMMENTI, (PEC: SchimmentiDimaggio-legalmail.it);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALLUSTIANA 26,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA NERVI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ENRICO AGUGLIA;

A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

DIONISI, 73, presso lo studio dell’avvocato MARA MANDRE’, che la

rappresenta e difende;

CATTOLICA ASSICURAZIONI A R.L.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo

studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato STEFANIA COLETTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2450/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 22 febbraio 2007, C.F. evocava in giudizio l'(OMISSIS) e la dottoressa A.C. per sentirli condannare, in solido, al pagamento dei danni in conseguenza della ritardata diagnosi di neoplasia. Si costituivano i convenuti, e l’Azienda Ospedaliera chiedeva e otteneva di essere autorizzata a chiamare in garanzia Cattolica Assicurazioni S.p.A. che garantiva la responsabilità civile verso terzi. Si costituiva anche quest’ultima, insistendo per il rigetto della domanda. La causa era istruita sulla base della documentazione esibita dalle parti e consulenza medico-legale;

il Tribunale di Palermo, con sentenza del 21 marzo, 2011, rigettava la domanda;

avverso tale decisione proponeva appello la C., con atto notificato il 2 maggio 2012, chiedendo l’integrale riforma della decisione. Si costituivano l'(OMISSIS), la compagnia di assicurazioni ed il sanitario, chiedendo il rigetto dell’impugnazione;

la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 20 dicembre 2017, rigettava il gravame compensando interamente tra le parti le spese del giudizio di secondo grado;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione C.F. e Benedetto Schimmenti affidandosi a tre motivi. Resistono con separati controricorsi l'(OMISSIS), la società Cattolica di Assicurazione e A.C..

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1176 e 2236 c.c. La sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione i rilievi critici operati dall’odierna ricorrente all’elaborato peritale del consulente di ufficio. Il giudice non avrebbe disposto la rinnovazione della consulenza, pure richiesta in appello. Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe provveduto a formulare una richiesta di deposito della documentazione medica e clinica da parte dei convenuti, nonostante tale istanza fosse stata reiterata più volte dalla ricorrente. Infatti, secondo quest’ultima, avrebbe dovuto essere disposta nuova consulenza per colmare le lacune del primo elaborato, evidenziate dalla relazione del consulente di parte “versata in atti nel giudizio di appello”. Inoltre gli esami effettuati dalla C., sebbene più volte richiesti, non sarebbero mai stati consegnati alla paziente. L’appellante avrebbe fatto presente che, presso altri nosocomi (l’ospedale M. Ascoli e l’Ospedale civico) sarebbe stata accertata la presenza del tumore dopo tre mesi dall’ultima visita effettuata presso l'(OMISSIS). Dopo avere ripercorso tutta la storia clinica della paziente si lamenta che, nonostante la circostanza di essere stata sottoposta a diagnosi istologica e biopsia, stranamente la C. non sarebbe stata sottoposta a mammografia la quale, se fosse stata eseguita, avrebbe anticipato di almeno quattro mesi la diagnosi di carcinoma mammario. In sostanza, ci si chiede “come sia possibile che già all’epoca del (OMISSIS), nonostante si fosse in possesso di tutta la documentazione clinica a supporto, i sanitari non abbiano individuato la presenza del nodulo tumorale?”. Come evidenziato “negli scritti difensivi dei vari gradi di giudizio” il consulente, secondo la ricorrente, non avrebbe dato risposta alla “domanda cruciale per la comprensione della vicenda, ovvero come sia stato possibile che il dubbio clinico su segni anche minimi non sia sorto nei sanitari del policlinico”. Si direbbe circostanza certa che una diagnosi tempestiva avrebbe assicurato un intervento chirurgico meno invasivo, considerando che, al momento dell’asportazione, la neoplasia aveva raggiunto la significativa dimensione di circa 2 cm. D’altra parte il consulente sarebbe caduto in contraddizione, perchè dopo avere precisato che i tempi di raddoppiamento cellulare della neoplasia varierebbero da 70 a 120 giorni, avrebbe poi precisato che “anche in caso di diagnosi formulata quattro mesi prima… (non vi sarebbe stato)… un sensibile miglioramento della prognosi”. Inoltre il consulente, “verosimilmente per la cattiva grafia ovvero per la cattiva qualità delle copie degli atti” non sarebbe stato in grado di decifrare i referti dell’ecografia mammaria eseguita presso l’Azienda Ospedaliera, rispettivamente in data (OMISSIS) e (OMISSIS). Sulla base di tutti questi elementi apparirebbe ingiustificata la mancata rinnovazione della consulenza tecnica, quanto meno nel giudizio di secondo grado, poichè la ricostruzione effettuata dal consulente non sarebbe in linea con i dati acquisiti dalla comunità scientifica in materia oncologica, sussistendo certamente una responsabilità medica, quanto meno per colpa lieve, trattandosi di caso ordinario che non poneva una speciale difficoltà;

l’articolato motivo, che occupa circa 10 pagine, è inammissibile per una pluralità ragioni. In primo luogo, perchè dedotto in assoluta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè ruota essenzialmente sulle censure al contenuto della consulenza tecnica di ufficio del dottor N. di cui però non viene trascritto alcun passaggio significativo, non vi è allegazione e neppure individuazione di tale atto all’interno del fascicolo di legittimità. Questo non consente alla Corte di legittimità di operare una qualsiasi valutazione in ordine alla congruità delle censure;

inoltre, nella prima parte del motivo si lamenta il mancato rinnovo della consulenza sulla base dei rilievi contenuti nella consulenza di parte della dottoressa P.P., ma di tale elaborato non viene trascritta neppure una parola, non viene allegato ed è genericamente indicato come consulenza “versata in atti nel giudizio di appello”. Parte ricorrente neppure precisa se tali considerazioni sono state oggetto di uno specifico motivo di appello;

analoghe lacune riguardano le censure, oggetto anche delle altre doglianze, riguardanti la richiesta di deposito della documentazione clinica che sarebbe stata richiesta dall’odierna ricorrente nei giudizi di merito. Ma di tali istanze non vi è traccia nel ricorso e neppure nelle conclusioni dell’atto di appello riportate nella sentenza di secondo grado nella quale, dopo l’indicazione delle conclusioni “per l’appellante” vi è solo un riferimento alla richiesta di risarcimento dei danni “nella misura che verrà ritenuta di giustizia a seguito di espletanda ctu medico-legale”;

nello stesso modo sono dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 i fatti successivamente menzionati in ricorso: in particolare, la circostanza che presso due nosocomi sarebbe stata accertata la presenza di un tumore, alcuni mesi dopo l’ultima visita effettuata dalla C. presso l'(OMISSIS). Analoghi rilievi riguardano le deduzioni critiche alla consulenza che si assumono espletate “nei vari gradi di giudizio ” (pagina 9 del ricorso) riguardo alla “domanda cruciale” riguardante l’anomalia dell’inesistenza di un dubbio clinico che non sarebbe sorto nella mente dei sanitari del policlinico;

considerazioni dello stesso tenore riguardano la presunta contraddittorietà della consulenza che si fonderebbe sulla trascrizione di tre righi riportati tra pagina 10 e 11 del ricorso, del tutto insufficienti a consentire a questa Corte di operare una qualsiasi valutazione;

opera infatti il principio secondo cui la mancata trascrizione della relazione peritale preclude in radice la stessa possibilità di valutare la fondatezza delle censure, in quanto la parte che addebita la consulenza tecnica lacune di accertamento o errori di valutazione ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice di merito nel limitarsi a recepire la consulenza, trascurando le critiche formulate in ordine agli accertamenti (Cass., 22 dicembre 2017, n. 30874);

a prescindere da ciò, le censure sono inammissibili, anche perchè esclusivamente fattuali, in quanto, sotto l’apparente deduzione della violazione di artt. 1176 e 2236 c.c., parte ricorrente descrive tutto l’iter clinico, gli esami espletati, le valutazioni operate dai sanitari, i profili di imperizia che si assumono sussistenti, le indagini espletate presso altri nosocomi e le valutazioni espresse dalla “comunità scientifica in materia oncologica”, differenti rispetto alle conclusioni del consulente. In sostanza, si richiede a questa Corte di riesaminare tutto il materiale probatorio prospettando una ricostruzione alternativa e più appagante che non è consentita in sede di legittimità;

con specifico riferimento alle contestazioni alla consulenza tecnica d’ufficio parte ricorrente avrebbe dovuto allegare, a pena di decadenza, di avere contestato l’elaborato tecnico in primo grado, nella prima istanza o difesa successiva al deposito. Al contrario, alcun riferimento a tali adempimenti è presente nel ricorso per cassazione che, sotto tale profilo, appare oltremodo generico, soprattutto in considerazione delle specifiche eccezioni di tardività e decadenza ex art. 157 c.p.c., formulate dalla controricorrente A. (pagina 21);

nel merito le censure sono, altresì, infondate nella parte in cui si lamenta che la Corte territoriale si sarebbe attenuta, in maniera acritica, alle risultanze della consulenza. Ciò in quanto in difetto di censure specifiche, opera il principio giurisprudenziale secondo cui non è affetta da vizio di motivazione la sentenza che si sia limitata a recepire gli esiti della consulenza (giurisprudenza consolidata: Cass. n. 569 del 2011 ed altre), trovando tale principio deroga soltanto nell’ipotesi in cui siano state mosse, alla consulenza tecnica d’ufficio, critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte. In questo caso il giudice di merito che intenda disattendere, ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni della scelta. Nel caso di specie, per quanto si è detto, tali censure non sono state allegate e non vi è alcun riferimento specifico a contestazioni puntuali che siano state svolte davanti al Tribunale o alla Corte d’Appello;

con il secondo motivo si lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 261 c.p.c. e dell’art. 24 Cost.. La Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare “la richiesta istruttoria” deducendo, al contrario, che le prove articolate investirebbe direttamente il nodo centrale dell’addebito mosso dalla paziente all’operato della dottoressa A.. In particolare, l’interrogatorio formale riguarderebbe capitoli di prova rilevanti, così come la prova per testi;

il motivo è inammissibile perchè dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 non avendo parte ricorrente trascritto il contenuto del motivo di appello contenente la richiesta di interrogatorio formale e di prova testimoniale. Nessun elemento rilevante al riguardo può trarsi dalla motivazione della Corte di appello, la quale ha rigettato una generica richiesta istruttoria “perchè nulla di significativo potrebbe aggiungere al thema decidendum”, mentre, come già osservato con riferimento al motivo precedente, nella sentenza non vi è alcun riferimento alla prova costituenda poichè le conclusioni trascritte nella sentenza riguardano esclusivamente (pagina 3) la richiesta di espletare una nuova consulenza (“a seguito di espletanda ctu medico-legale”). Nulla è dato sapere in ordine alla fase processuale nella quale i capitoli di prova relativi all’interrogatorio formale ed alla prova testimoniale sarebbero stati ritualmente dedotti, nè la ricorrente ha documentato, trascrivendo il relativo passaggio, di avere formulato tali specifiche richieste al giudice di secondo grado. Tali profili, rilevanti a pena di inammissibilità, assumono particolare significato in considerazione delle specifiche contestazioni contenute nel controricorso della A. la quale, nel rispetto del principio di autosufficienza, ha documentato quali fossero le conclusioni formulate in primo e secondo grado;

con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione dell’art. 111 Cost.. La Corte territoriale non avrebbe deciso sulla richiesta di acquisizione della documentazione in originale relativa all’ecografia mammaria seguita presso l'(OMISSIS) in data (OMISSIS) 2002 e in data (OMISSIS);

a prescindere dalla circostanza che la censura avrebbe dovuto essere dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c., vanno ribadite in questa sede le medesime considerazioni espresse sul secondo motivo, riguardo alla violazione l’art. 366, n. 6 non avendo la ricorrente trascritto, allegato o individuato all’interno del fascicolo di legittimità le istanze di acquisizione della documentazione menzionata e la circostanza di avere formulato tempestivamente tale richiesta davanti al giudice di primo grado, individuandone la fase processuale, e di avere sottoposto al giudice di appello tale specifica questione;

il motivo è, altresì, inammissibile perchè si tratta di censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che non è consentita dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5 in presenza di una doppia conforme quando, come nel caso di specie, si tratta di rilievi che riguardano i medesimi fatti oggetto di valutazione da parte dei giudici di primo e secondo grado (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore di ciascuno dei tre controricorrenti: (OMISSIS), Società Cattolica di Assicurazione e A.C. – seguono la soccombenza. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) va dichiarato che sussistono i presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in favore di ciascuno dei tre controricorrenti, in Euro 2100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

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