Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22857 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/11/2016, (ud. 15/09/2016, dep. 09/11/2016), n.22857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Liliana – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29886-2014 proposto da:

Z.M.T., T.D., S.G.,

L.M., F.M.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

P.LE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO

PELLICANO’, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, AIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA

CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1880/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA del 12/11/2013, depositata il 27/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato Antonino Pellicanò difensore dei ricorrenti che

insiste per l’accoglimento del ricorso ed in subordine per la

rimessione alle SS.UU. sulla questione del giudicato implicito;

udito l’Avvocato Vincenzo Stumpo difensore del controricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

p.1. Z.M.T., T.D., L.M., S.G. e F.M.S., hanno proposto ricorso per cassazione contro l’I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, che ha rigettato l’appello da loro proposto contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, il 15 maggio 2006 che, provvedendo sul merito del giudizio, aveva accolto l’opposizione all’esecuzione proposte dall’I.N.P.S. contro le esecuzioni forzate per espropriazione presso terzi promosse da esse ricorrenti.

p.2. Al ricorso ha resistito con controricorso l’I.N.P.S..

p.3. Prestandosi il ricorso ad essere trattato in Camera di consiglio, secondo il rito dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

p.4. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

p.1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis, si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(…) p.3. Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in quanto la Corte dovrebbe rilevare d’ufficio una situazione nella quale l’appello dei qui ricorrenti non avrebbe potuto essere proposto, in quanto la sentenza di primo grado era stata resa nel regime dell’art. 616 c.p.c., introdotto dalla L. n. 52 del 2006, art. 14.

Nella vigenza di quel regime (rimodificato solo dalla L. n. 69 del 2009) la sentenza pronunciata in primo grado sull’opposizione all’esecuzione era detta inimpugnabile, con previsione che operava anche per le sentenze rese secondo il rito di cui all’art. 618-bis c.p.c., comma 1 e che comportava, per applicazione dell’art. 111 Cost., comma 7, la soggezione della sentenza al solo rimedio del ricorso straordinario per cassazione, analogamente al regime da sempre previsto per le opposizioni esecutive ex art. 617 c.p.c. (in proposito, da ultimo ed ex multis, Cass. n. 16079, n. 15888 e n. 15887 del 2015).

Poichè sull’ammissibilità dell’appello non vi è stata pronuncia espressa della sentenza impugnata e, dunque, non si è formato giudicato interno, la rilevazione che l’appello non avrebbe potuto proporsi e la conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di appello a norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3, non trovano ostacoli, trattandosi di rilevare ex officio che la sentenza di primo grado, in ragione dell’inammissibilità dell’appello, era passata in cosa giudicata.

Ne segue che la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata senza rinvio nei termini ora detti”.

p.2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali la memoria muove rilievi che si incentrano sull’assunto che la questione dell’appellabilità della sentenza si dovrebbe ritenere coperta da cosa giudicata implicita.

Tali rilievi non sono condivisibili e all’uopo il Collegio rinvia all’ampia disamina che della infondatezza della prospettazione del giudicato implicito (con esame della questione anche alla luce di Cass. sez. un. n. 24883 del 2008) è stata svolta da Cass. n. 2361 del 2010. Decisione che è stata, poi, ripresa da Cass. n. 25209 proprio in ipotesi di inappellabilità simile a quella che ricorre nella specie; da ultimo, si veda in senso conforme Cass. n. 674 del 2016.

I rilievi svolti nella decisione del 2010 sono pertinenti anche se non riguardavano fattispecie di rilievo dell’inammissibilità dell’appello, come emerge dalla lettura delle altre successive decisioni.

p.3. La sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata senza rinvio a norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3, perchè l’appello non poteva essere proposto.

In conseguenza della disposta cassazione della sentenza d’appello resta ferma la sentenza di primo grado quanto alle statuizioni di accoglimento delle opposizioni.

La cassazione senza rinvio impone di provvedere sulle spese dell’intero giudizio.

Nella memoria si è espressamente prospettato che sarebbe applicabile la norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e nel testo risalente ad epoca anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003.

L’assunto non sembra in alcun modo condivisibile, atteso che l’art. 152 c.p.c., nel testo invocato si riferiva ai “giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali” e considerato che un giudizio di opposizione all’esecuzione, iniziata per un credito riconducibile ad una prestazione previdenziale, non poteva considerarsi riconducibile a quella previsione, in quanto la pretesa esecutiva che è oggetto di opposizione reca già il riconoscimento della prestazione previdenziale in quanto avvenuto nel relativo giudizio cognitivo. L’estensione ai giudizi di opposizione all’esecuzione di titoli esecutivi recanti crediti di natura previdenziale avrebbe richiesto che la norma si riferisse anche ai processi esecuzione di crediti previdenziali. Solo in tal caso sarebbe stata giustificata l’estensione anche ai giudizi insorti su tali processi.

Ciò premesso, dovrebbe ritenersi che debba restare ferma la statuizione di compensazione delle spese del giudizio di primo grado e di appello e che si possano compensare anche le spese del giudizio di cassazione.

Per le prime varrebbero le ragioni indicate dal primo giudice. Per le spese del giudizio di appello e di cassazione si rinvengono giusti motivi (secondo il parametro normativo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, applicabile alla controversia in relazione al suo inizio) nella circostanza che l’I.N.P.S. non eccepì l’inammissibilità dell’appello e non l’ha prospettata nemmeno in questa sede.

Peraltro, in sede di audizione l’I.N.P.S. si è rimessa quanto alla decisione sulle spese e tanto giustifica ancora più la prospettata soluzione del loro regolamento.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte, visto l’art. 382 c.p.c., comma 3, cassa senza rinvio la sentenza impugnata perchè l’appello non poteva proporsi. Compensa le spese dell’intero giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 15 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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