Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22854 del 29/09/2017

Cassazione civile, sez. III, 29/09/2017, (ud. 13/07/2017, dep.29/09/2017),  n. 22854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19627-2014 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VENTI

SETTEMBRE 118 C/0 ST. LEG, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

DE FRANCESCO, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO MODICA

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SANITA’, (OMISSIS), ASSESSORATO REGIONALE SANITA’

REGIONE SICILIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 109/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso

chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

C.F. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi nei confronti del Ministero della Salute e dell’Assessorato regionale alla sanità della Regione Sicilia, per la cassazione della sentenza n. 109/2014 depositata dalla Corte d’Appello di Palermo in data 27.1.2014 con la quale, a conferma della pronuncia di primo grado, veniva rigettata perchè ritenuta prescritta nei confronti del Ministero e per carenza di legittimazione passiva dell’Assessorato regionale la domanda della C. volta ad ottenere il risarcimento del danno per aver contratto epatopatia cronica anti HCV positiva a seguito di trasfusioni di sacche di emoderivati rese necessarie da una operazione chirurgica alla quale si era sottoposta nel (OMISSIS).

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte nelle quali chiede che si rigetti il ricorso.

Con il primo motivo la Canone denuncia la violazione degli artt. 2 e 32 Cost., artt. 1173,12182043 e 2946 c.c. e artt. 112,113 e 92 c.p.c., assemblando nella rubrica una serie eterogenee di norme, alcune afferenti all’inadempimento contrattuale, altre alla responsabilità extracontrattuale, altre ancora al profilo della liquidazione delle spese di lite.

A quanto è dato comprendere, data la formulazione non chiara del motivo, la ricorrente lamenta che, benchè la causa sia stata da lei impostata in primo grado sotto il profilo della responsabilità concorrente e contrattuale dell’ospedale ove si recò per una operazione chirurgica, contraendo l’epatite a seguito delle trasfusioni che si resero necessarie, con quella extracontrattuale del Ministero, la responsabilità contrattuale dell’ospedale (con i relativi, più lunghi termini di prescrizione) non sia stata presa in considerazione dai giudici di merito, che incentrato la decisione solo sulla astratta configurabilità di una responsabilità del Ministero, al cui accertamento in concreto non si procedeva a fronte del maturare del termine quinquennale di prescrizione extracontrattuale, che i giudici di merito facevano decorrere dal momento della conferma della diagnosi, avvenuta il (OMISSIS). La corte d’appello dice infatti che già da quel momento, sia per le informazioni dettagliate ricevute sulla malattia contratta, sia a per la risonanza sugli organi di stampa, la ricorrente era in grado ricondurre causalmente il verificarsi dell’infezione alle trasfusioni subite e quindi di proporre l’azione.

Il motivo è inammissibile, innanzitutto perchè oscuro e anche carente sotto il profilo della auto sufficienza.

La C. in primo grado aveva evocato in giudizio, oltre al Ministero, anche l’ospedale ove era stata eseguita l’operazione chirurgica e quindi la trasfusione (azienda ospedaliera (OMISSIS)), ed anche l’Assessorato Regionale alla sanità, indicandolo quale soggetto giudico obbligato ad assumere integralmente a proprio carico i debiti delle disciolte USL mediante apposite sezioni stralcio.

Il tribunale aveva ritenuto prescritta l’azione nei confronti del Ministero e dichiarato la carenza di legittimazione passiva sia dell’ospedale che dell’assessorato regionale.

La C. proponeva appello solo nei confronti del Ministero e dell’Assessorato Regionale.

La corte d’appello ha ribadito quanto già affermato dal tribunale, ovvero che la domanda di responsabilità contrattuale non fu mai proposta dalla danneggiata, che agì solo ex art. 2043 c.c. nei confronti di tutti i soggetti evocati in giudizio. La sentenza impugnata, di conseguenza, non prende affatto in considerazione eventuali profili di responsabilità contrattuale, nè la problematica legata alla diversa durata del termine di prescrizione nell’ipotesi che sia dedotta la responsabilità contrattuale perchè afferma che tale domanda non è mai stata proposta.

La ricorrente lamenta oscuramente che non siano stati presi in considerazione i profili di concorrente responsabilità degli enti citati in giudizio, ma non afferma neppure, con precisa presa di posizione, di aver proposto la domanda anche sotto il profilo della responsabilità contrattuale, nè – soprattutto – riporta i punti delle proprie conclusioni ove il profilo della contrattualità sarebbe stato introdotto. Non si può dedurre la proposizione della domanda dal mero fatto – anch’esso puramente allegato, in totale difetto di autosufficienza – che l’ospedale, una volta evocato in giudizio, si sia difeso. Peraltro, come risulta dalla sentenza di appello, sia l’ospedale che l’assessorato si difesero allegando il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 92 c.p.c. laddove la sentenza impugnata ha posto a suo carico le spese di giudizio.

Il motivo è anch’esso inammissibile, in quanto non critica la corretta applicazione delle regole che disciplinano la ricaduta su una parte processuale o sull’altra dell’onere di sostenere le spese processuali (ovvero la correttezza dell’applicazione del principio della soccombenza), ma critica l’esito del giudizio, in conseguenza del quale, a seguito di corretta applicazione da parte del giudice la regola della soccombenza, l’attrice è stata condannata a pagare le spese di lite.

Il ricorso proposto va complessivamente dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, non avendo le intimate svolto attività difensive in questa sede.

Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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