Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22851 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 20/10/2020), n.22851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23263-2012 proposto da:

IMPRESA TOMAT SPA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CRESCENZIO

20, presso lo studio dell’avvocato CESARE PERSICHELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE CAPOMACCHIA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI UDINE, in persona del

Direttore pro tempere, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2012 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 09/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2019 dal Consigliere Dott. DI PAOLA LUIGI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata è stata confermata la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Udine con la quale era stata rigettata la domanda proposta dalla ricorrente indicata in epigrafe, volta alla declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento (n. (OMISSIS)) per l’anno di imposta 2003 – fondato su fattura ritenuta relativa ad operazione (di acquisto di materiale ferroso dalla F.T.A.) inesistente – di maggiore imposta IRPEG (per Euro 73.259,00), IRAP (per Euro 9.157,00) ed IVA (per Euro 43.094,00), oltre sanzioni (per Euro 109.888,50);

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società, affidato a tre motivi;

l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, l’Impresa Tomat S.p.A. – denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – si duole che il giudice del gravame abbia desunto la totale inesistenza dell’operazione fatturata dai (ritenuti) connotati di “cartiera” della società F.T.A., senza tuttavia considerare che: a) dal bilancio del 2003 la predetta società aveva generato ricavi di vendita e prestazioni per oltre 3 milioni di Euro e sopportato costi per materie prime di circa 3 milioni e trecento Euro; b) il maggior trasporto di materiale (ammontante a kg 433.280 di ferro tondo e rete elettrosaldata) nel cantiere era stato effettuato dalla Autotrasporti B.E., sicchè non poteva avere rilievo decisivo il fatto che la ditta Pelo Trasporti, altresì incaricata di eseguire parte del trasporto del materiale, avrebbe negato di conoscere la F.T.A.; c) i pagamenti erano avvenuti con bonifico e non risultava alcuna forma di retrocessione del denaro.

2. Con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si duole che il giudice del gravame abbia affermato l’indeducibilità del costo, benchè risultasse agli atti l’archiviazione della notizia di reato a carico dell’amministratore della Tomat per infondatezza della stessa, non essendo, peraltro, la mancanza di inerenza mai stata contestata.

3. Con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su fatto decisivo della controversia – si duole che la CTR abbia rigettato anche la richiesta di disapplicazione delle sanzioni, omettendo di considerare che la società aveva affidato alla C.E.I.S. s.r.l. l’incarico di controllo, gestione e verifica della commessa, nonchè conferito al sig. S.A. procura speciale avente ad oggetto la gestione ordinaria, in nome e per conto proprio, del contratto di appalto, sicchè non era ipotizzabile alcuna “culpa in vigilando”, con la ulteriore conseguenza che il deficit motivazionale si era tradotto in una violazione di legge, essendo stato applicato il trattamento sanzionatorio a titolo di responsabilità oggettiva.

4. Il primo motivo è, per un verso, inammissibile, poichè con esso si tende, in buona sostanza, al conseguimento di una revisione del giudizio valutativo compiuto dal giudice di merito, in contrasto con i noti limiti del giudizio di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 7/01/2014, n. 91: “Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito”; cfr., altresì, Cass. 24/05/2018, n. 12967: “Risulta integrato il vizio di omessa o insufficiente motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, quando, dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell'”iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata, mentre, a sua volta, il vizio di contraddittorietà si rende ravvisabile solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” posta a fondamento della decisione adottata”. V., ancora, Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148, ove è precisato che la motivazione omessa o insufficiente non è configurabile quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione).

4.1. Il predetto motivo è, per altro verso, infondato, poichè, nel caso, il giudice di merito, nel pervenire alle criticate conclusioni, ha valorizzato, quali elementi probatori indiziari, attestanti la insussistenza dell’operazione, il fatto che: a) la F.T.A., costituita solo nel maggio del 2003 – la cui sede nel centro storico di Reggio Emilia altro non era se non un recapito di corrispondenza – si era sostanziata esclusivamente nella attività riconducibile al sig. V., il quale, senza avvalersi di alcun dipendente, aveva gestito oltre 35 rapporti di conto corrente bancari, effettuato operazioni finanziarie per svariati milioni di Euro, emesso più di 570 fatture di vendita, sviluppato fra tutte le attività a lui riconducibili un volume di affari pari ad oltre Euro 21.700.000 determinati solo da fatture rinvenute a mezzo di questionari, prelevato contanti dai conti societari per oltre 15 milioni di Euro, interagito in tutte le società che aveva rappresentato traslando interi capitali da un conto all’altro sino a depauperare ogni singolo deposito bancario; inoltre, non era stata trovata traccia alcuna dell’acquisto del materiale ferroso poi ceduto e l’amministratore, alla data del 2005, era un soggetto irreperibile; b) nella fattura era riportato che una parte del trasporto sarebbe stata fatta dalla ditta Pelo Trasporti (per un imponibile di Euro 79.274 oltre IVA); ma la ditta, contattata, aveva negato la effettività dell’operazione di trasporto e aveva affermato di non conoscere nè la F.T.A. nè la TOMAT; c) il geometra S., responsabile del cantiere per conto della TOMAT, aveva dichiarato di non conoscere la F.T.A., ma di avere effettuato l’ordine attraverso un intermediario/agente di commercio; d) dei presunti 505 mila Kg, solo 14.256 erano stati utilizzati presso il cantiere; e) la F.T.A. non aveva mai versato l’IVA e non aveva presentato negli anni successivi alcuna dichiarazione annuale.

4.2. In buona sostanza, non si rinvengono incoerenze ed incongruenze logiche nel percorso argomentativo svolto dal giudice di merito che ha correttamente considerato una serie di convergenti elementi prima in una valutazione atomistica, poi, di sintesi, per desumerne la inesistente compravendita di merce, ritenendo non plausibile che la quantità, peraltro assai esigua (rispetto a quella oggetto di fatturazione), di materiale rinvenuto sul cantiere potesse essere stata ceduta dalla F.T.A., in concreto non operativa.

5. Il secondo motivo è infondato, poichè la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis (nella formulazione introdotta dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44), consente, a determinate condizioni, la deducibilità dei costi documentati con fatture che riferiscono l’operazione a soggetto diverso da quello effettivo (cd. operazioni “soggettivamente inesistenti”), mentre, nel caso in esame, viene contestata la inesistenza oggettiva del costo, per definizione indeducibile TUIR ex art. 109 (cfr., tra le altre, Cass. 20/04/2016, n. 7896, in motivazione; cfr., inoltre, circolare n. 32/2012 dell’Agenzia delle Entrate, ove è precisato che l’indeducibilità dei costi esposti in fatture oggettivamente inesistenti discende direttamente dall’ordinaria applicazione delle regole di determinazione del reddito, indipendentemente dalla configurazione di un illecito penale).

6. Il terzo motivo è infondato, giacchè la motivazione della CTR, anche in tal caso priva di incongruenze, è imperniata sul mancato doveroso controllo della società sulla gestione dell’appalto da parte del sig. S., nonchè sulla idoneità di una semplice verifica sui SAL ad evidenziare la falsità della fatturazione; sicchè è rimasta non dimostrata l’assenza di colpa in capo alla società stessa (su cui grava il relativo onere; cfr., tra le altre, Cass. 15/05/2019, n. 12901, che, nel ritenere addebitabili al contribuente per “culpa in vigilando” le operazioni di “compliance” tributaria affidate a professionista rimasto inadempiente, ha affermato che “In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza”; cfr., in senso analogo, Cass. 17/03/2017, n. 6930: “In tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grave, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, grava sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato su quest’ultimo”; v., ancora, Cass. 14/09/2016, n. 18118: “In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo”).

7. Al rigetto del ricorso segue il pagamento delle spese di lite, determinate come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la società al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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