Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2285 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 26/01/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 26/01/2022), n.2285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19561-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente-

contro

EGG COMPANY SRL in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIROLAMO ADONCECCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 264/10/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA TOSCANA, depositata il 25/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza nr 264/2020 la CTR della Toscana, sezione distaccata di Livorno, accoglieva parzialmente l’appello proposto da EGG Company s.r.l. in liquidazione avverso la pronuncia della CTP di Livorno con cui era stato rigettato il ricorso della contribuente avente ad oggetto l’indebita deduzione di quote di ammortamento ex art. 109 Tuir, in relazione ad una operazione immobiliare considerata inesistente.

Il giudice di appello riteneva fondato l’appello limitatamente alla deduzione dell’ammortamento derivante dall’operazione del capannone di (OMISSIS) escludendo alla stregua delle risultanze di causa che l’operazione in questione potesse considerarsi sul piano fiscale inesistente.

In questa prospettiva osservava che l’atto era stato redatto in forma pubblica e che l’immobile negoziato era stato poi locato con numerosi contratti tutti registrati, che la retrocessione del prezzo era intervenuta a titolo diverso e cioè di finanziamento della società a cura del socio principale che era anche il socio maggioritario della società che aveva ceduto il capannone.

Evidenziava che la circostanza che quasi l’intero importo della vendita fosse stato versato dalla venditrice in favore dell’acquirente a titolo di finanziamento socio nonostante detta società non rivestisse tale qualifica non era sufficiente per considerare inesistente l’operazione.

Sottolineava che le due società facevano sostanzialmente capo allo stesso soggetto che aveva utilizzato la società venditrice come fosse ditta individuale prelevando da essa la somma che aveva ritenuto di concentrare nella società appellante, condotte queste che non rilevavano ai fini fiscali ma su altri piani (come ad esempio distrazione di beni in caso di successivo fallimento).

Da ultimo osservava che nelle fatture per operazioni inesistenti normalmente si assiste a cessioni che in realtà non avvengono e dove il prezzo viene retrocesso in contanti e quindi con modalità ben differenti da quanto si era verificato in concreto (cessione per atto pubblico con prezzo la cui congruità non era stata contestata e retrocessione con registrazione contabile).

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a 4 motivi cui resiste la contribuente con controricorso illustrato da memoria con cui si dava atto dell’intervenuto fallimento della società EGG Company s.r.l. in liquidazione. Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame di fatti decisioni in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quali un file rinvenuto nel portatile di T. in cui si illustrava l’operazione immobiliare allo scopo di evidenziare il risparmio di Iva, la compensazione da parte della venditrice del debito di Iva derivante dalla fattura (OMISSIS) ed il trasferimento della venditrice in Romania in data (OMISSIS).

Con il secondo motivo si lamenta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuta corretta l’operazione sulla base della regolarità formale dell’atto di vendita, dell’esistenza della fattura e della sua registrazione in violazione delle norme in tema di riparto probatorio che in caso di operazioni inesistenti impongono a fronte di seri indizi al contribuente di dimostrare il contrario.

Con un terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di appello desunto un fatto (l’irrilevanza della retrocessione del prezzo) da un altro fatto (la riconducibilità della società venditrice e di quella acquirente alla stessa persona) che non presentava alcuna inferenza logica con il primo.

Con il quarto motivo si duole della violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR assunto come fatto notorio che la retrocessione del prezzo al compratore nelle transazioni fittizie avvenga di regola in contanti mentre tale circostanza non potrebbe avere tale valore poiché risponderebbe più a criteri probabilistici che a criteri di certezza.

Preliminarmente, in relazione al fallimento della EGG Company s.r.l. in liquidazione s.r.l., di cui alla memoria depositata dal difensore, si rileva che nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 e ss. c.p.c., per cui, una volta instauratosi il giudizio, la dichiarazione di fallimento di una delle parti non integra una causa di interruzione del relativo giudizio (v. Cass. n. 7477 del 2017; n. 3630 del 2021).

Sempre in via preliminare va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente con riferimento alla mancata esposizione delle difese avversarie.

Giova infatti ricordare che l’art. 366 c.p.c., “nel prescrivere che il ricorso per cassazione deve essere corredato dall’esposizione “sommaria” dei fatti di causa, implica che la stessa deve contenere il necessario e non il superfluo” (Cass. Sez. 1, sent. 27 ottobre 2016, n. 21750, Rv. 642634-01), condizione soddisfatta nel caso di specie, visto che il ricorso reca una ricostruzione sintetica, ma idonea allo scopo di renderla conoscibile in tutti i suoi sviluppi, della vicenda per cui è causa, occorrendo qui ribadire che “il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.” (da ultimo, Cass. sez. 5, sent. 30 aprile 2020, n. 8425, Rv. 65819601).

Ciò posto il primo motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte “ha chiarito – come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133).

Contrariamente all’assunto della ricorrente, non è affatto vero che la C.T.R. non abbia esaminato i fatti che si pretendono pretermessi. Si tratta, invero, di fatti interamente valutati, per escluderne la rilevanza, (v. supra: “la retrocessione di buona parte del prezzo è avvenuta a titolo diverso e cioè di finanziamento della società a cura del socio principale che era socio maggioritario della società che aveva ceduto il capannone… nella specie vi è stata una cessione con versamento dell’Iva a debito della venditrice che in parte l’ha compensata con un preesistente debito di imposta… non va dimenticato che le due società facevano capo sostanzialmente allo stesso soggetto che ha utilizzato la società venditrice come fosse una ditta individuale).

La C.T.R. infatti ha esaminato le circostanze più rilevanti e cioè che il T. fosse socio di riferimento di entrambe le società sia il fatto che la società venditrice non avesse versato l’Iva ma l’avesse compensata, la stipula dell’atto l’avvenuto pagamento del prezzo, il versamento di una somma quasi pari al prezzo dalla venditrice all’acquirente per un titolo diverso.

Pertanto, non può certo discutersi di omesso esame di fatti decisivi, perché quelli indicati dall’Agenzia con i mezzi in discorso sono stati valutati ed apprezzati dalla C.T.R..

E’ dunque evidente che può tutt’al più venire in rilievo, nella specie, l’erronea valutazione circa la rilevanza di tali fatti (ovviamente, nella prospettiva della ricorrente), il che si pone certamente al di fuori del perimetro del vizio denunciabile ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Va poi aggiunto che la compensazione dell’Iva da parte della venditrice difetta del requisito della decisività non essendo stato contestato da parte dell’Agenzia l’esistenza del credito compensato sicché nessuna incidenza poteva avere sull’effettività dell’operazione.

Con riguardo poi alla mancata valorizzazione del file rinvenuto nel computer del T. si tratta di un fatto che difetta di decisività tenuto conto che nel processo verbale di constatazione l’operazione era stata analizzata sotto il profilo dell’assoggettabilità ad Iva al fine di un risparmio della stessa e non già come affermato dalla ricorrente di ottenere un indebito vantaggio fiscale.

Parimenti il trasferimento della sede all’estero a distanza di ben 4 anni rappresenta una circostanza non decisiva alla luce della contestazione che era stato elevate dall’Ufficio.

Va peraltro evidenziato che la stessa ricorrente non precisa in alcun modo neppure in ricorso in che termini detta circostanza sarebbe decisivi rispetto all’addebito mosso.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile mirando ad una “revisione” del giudizio sul meritum causae, che è di esclusiva competenza del giudice tributario speciale ed è invece inibito a questa Corte.

Peraltro va anche ribadito che “La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5″ (tra le molte, v. Cass., n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01).

Orbene, appare chiaro che con la censura in esame la ricorrente si pone in contrasto con tale consolidato principio di diritto, poiché la sua critica non riguarda appunto l’attribuzione dell’onere della prova in ordine alla fondatezza dei fatti costitutivi delle pretese creditorie erariali, bensì il giudizio di assolvimento di tale onere, pur correttamente imputato, da parte del giudice tributario di appello.

La CTR ha infatti ritenuto di escludere sulla base della regolarità formale dell’atto di vendita, dell’esistenza della fattura e della sua registrazione nonché dell’integrale pagamento del prezzo documentato l’inesistenza dell’operazione facendo corretta applicazione dei principi in tema di riparto probatorio ritenendo che gli elementi forniti dall’Agenzia non fossero sufficienti a fondare la pretesa impositiva.

Il terzo motivo è infondato.

La CTR diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente non ha desunto un fatto (irrilevanza della retrocessione del prezzo) da un altro (riconducibilità della società venditrice e dell’a società acquirente alla stessa persona fisica) che non aveva attinenza con il primo.

Il giudice di appello ha affermato che l’imputazione del pagamento ” quale finanziamento socio” non poteva escludersi dal fatto che la società venditrice non fosse socia atteso che la stessa era di fatto riconducibile al soggetto a cui è attribuito il finanziamento sicché è proprio questo rapporto che rendeva verosimile il versamento diretto della venditrice per conto del suo titolare che era socio della società acquirente a titolo di finanziamento soci.

Il quarto motivo è infondato.

La CTR ha posto a fondamento del suo ragionamento plurimi elementi (regolarità formale dell’atto di vendita, dell’esistenza della fattura e della sua registrazione nonché dell’integrale pagamento del prezzo documentato) considerati idonei a dimostrare l’effettività dell’operazione.

Ha poi aggiunto a tali considerazione l’ulteriore argomento ad abundantiam rappresentato dal fatto che “normalmente nelle vicende che riguardano fatture per operazioni inesistenti si assiste a cessioni che in realtà non avvengono e dove il prezzo viene retrocesso in contanti”.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

La complessità delle questioni analizzate giustificano la compensazione delle spese di questa fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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