Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2285 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 01/02/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 01/02/2010), n.2285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27939-2007 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MEDAGLIE

D’ORO 157, presso lo studio dell’avvocato CIPRIANI ROMOLO GIUSEPPE,

rappresentato e difeso dall’avvocato BIA RAFFAELE, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1893/2006 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/11/2006 R.G.N. 394/05+1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2009 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito l’Avvocato CIPRIANI ROMOLO per delega BIA RAFFAELE;

udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. M.G., dipendente delle Poste con mansioni di “operatore trasporti”, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Bari Poste Italiane s.p.a., e premesso di aver svolto dal 1 gennaio 1995 lavoro straordinario non retribuito – perchè, tenuto ad una prestazione lavorativa a turno unico di sei ore, aveva effettuato prestazioni giornaliere di durata superiore a sei ore – chiedeva la condanna della società al pagamento del relativo compenso, oltre accessori. La società si costituiva a resisteva.

Il Tribunale di Bari accoglieva la domanda e condannava Poste italiane al pagamento dei compensi richiesti, ritenendo che le prestazioni lavorative fossero state svolte su turno unico con orario sfalsato.

Impugnava la società e la Corte di Appello di Bari, con sentenza depositata il 3.11.2006, accoglieva l’appello e per l’effetto rigettava la domanda introduttiva, compensando le spese del doppio grado di merito.

A sostegno della decisione la Corte territoriale rilevava che, secondo la tipologia definita dall’art. 9 del CCNL 26.11.1994, e sulla scorta delle risultanze istruttorie, l’orario di lavoro svolto dai dipendenti addetti ai trasporti postali nel CMP (Centro di meccanizzazione postale) di Bari, doveva ritenersi articolato su più turni, in relazione al quale andava applicato l’art. 9, lett. d) del contratto, secondo cui lo straordinario dei turnisti si apprezza in base ad una valutazione ragguagliata non al giorno ma alle 36 ore di lavoro per settimana e con possibilità di compensazione su base mensile.

Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore proponeva ricorso sostenuto da nove motivi. Poste Italiane s.p.a. resisteva con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il lavoratore ha impugnato la sentenza della Corte di Appello per le seguenti ragioni:

1) violazione dell’art. 9 del CCNL 26.11.1994 e della Direttiva 93/104 CE del Consiglio Europeo in tema di orario di lavoro. Si sostiene che l’interpretazione della Corte barese si pone in contrasto con l’art. 2 della citata Direttiva, secondo cui il lavoro a turni è caratterizzato dal fatto che più lavoratori sono successivamente occupati negli stessi posti di lavoro ed in ore differenti secondo un determinato ritmo rotativo. La Corte barese ha invece individuato come elementi del lavoro a turni: a) l’organizzazione aziendale, caratterizzata da una operatività più ampia rispetto all’orario contrattuale; b) la variabilità del flusso del traffico postale, che richiede l’impiego di personale variabile nel numero e nelle ore di occupazione; c) la connessa variabilità dell’orario di lavoro del singolo addetto, correlata alle effettive esigenze tecnico-produttive dell’azienda. Si sostiene in definitiva che l’organizzazione del servizio postale, che prevede l’impiego di lavoratori in compiti consistenti in viaggi per il trasporto di plichi postali in varie destinazioni, organizzati su base mensile, con previsione di partenze in diverse ore del giorno e della notte e di impegno per ore variabili, non soddisfa le condizioni poste dalla citata Direttiva e si deve qualificare come lavoro a turno unico con “orario sfalsato” di cui al citato art. 9 del CCNL. 2) Violazione dell’art. 9 del CCNL 26.11.1994 e degli artt. 1362 e segg. c.c.. Si sostiene che la Corte barese avrebbe violato i principi ermeneutici di interpretazione dei contratti assumendo che l’orario sfalsato previsto dal CCNL sottintende necessariamente un orario “tipo” dalla 8,00 alle 14,00, e si caratterizza unicamente per la variazione dell’orario di inizio della giornata lavorativa e, simmetricamente, della sua conclusione.

3) Violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 112, 324, 329, 434, 342 e 346 c.p.c.. Si sostiene che la sentenza di primo grado, nella parte in cui afferma che dalla documentazione prodotta risulta che l’orario giornaliero preso a riferimento dal datore di lavoro è sempre stato quello delle sei ore, costituisce accertamento di fatto che rappresenta la premessa necessaria ed il fondamento logico-giuridico della pronuncia, suscettibile di passare in giudicato, sicchè la mancata impugnazione della sentenza di primo grado sul punto ha comportato che il giudice di appello ha violato il giudicato quando ha proceduto d’ufficio al riesame della fattispecie emergente dai documenti assunti dal primo giudice a fondamento della propria decisione.

4) Violazione degli artt. 112, 116, 324, 329, 434, 342 e 346 c.p.c..

Si sostiene che non avendo la società impugnato la decisione di primo grado sul punto concernente l’efficacia probatoria dei prospetti di presenza relativamente alle annotazioni delle eccedenze delle ore lavorate rispetto alle sei contrattuali, la Corte di Appello è incorsa nel vizio di ultrapetizione riesaminando il valore probatorio dei prospetti suddetti.

5) Insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la Corte di Appello affermato, in relazione ai predetti prospetti di presenza ed alle annotazioni delle ore eccedenti rispetto alle sei, che non può escludersi che l’azienda abbia provveduto a tali annotazioni per mera comodità contabile e che il datore di lavoro ha gestito i compensi degli addetti al centro CMP di Bari considerando tali lavoratori come turnisti, senza specificare le ragioni del proprio convincimento.

6) Violazione dell’art. 9 del CCNL 26.11.1994 e degli artt. 1362 e segg. c.c.. Si sostiene che la Corte di Appello nel l’interpretare la norma contrattuale ha violato i canoni ermeneutici laddove ha affermato che i lavoratori non potevano svolgere la loro attività su turno unico in relazione alla complessa articolazione della struttura di riferimento, ignorando che presso il CMP di Bari sono addetti anche lavoratori a turno unico e che i ricorrenti sono in organico al servizio autorimessa, nonchè laddove ha affermato che la peculiarità di alcuni servizi aziendali con è compatibile con un impiego costante di manodopera.

7) Violazione degli artt. 112, 115, 324, 329, 434, 342 e 346 c.p.c..

Si sostiene che la Corte di Appello è incorsa nel vizio di ultrapetizione laddove ha svolto argomentazioni (riferimento a realtà aziendali diverse dalle Poste) in mancanza di specifica censura nell’atto di appello.

8) Insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere il giudice di appello valutato che l’orario di lavoro dei ricorrenti è stato sempre di sei ore e che le ore eccedenti sono state calcolate dal datore di lavoro sulla scorta di tale limite giornaliero, come risulta dai prospetti di presenza.

9) Violazione dell’art. 99 c.p.c. per avere il giudice di appello erroneamente attribuito valore decisivo e confessorio alla espressione “osservando turni di servizio superiori a sei ore” contenuta nei ricorsi introduttivi.

Osserva la Corte che tutti i suddetti motivi di impugnazione fanno riferimento, direttamente o indirettamente, ad una determinata interpretazione delle norme contrattuali che si assume corretta, contrastante con l’interpretazione, ritenuta errata, data dal giudice di merito.

La Corte al riguardo deve però rilevare che parte ricorrente ha omesso di depositare il contratto collettivo sul quale si fonda il ricorso, essendosi limitata a riportare in ricorso il testo di un articolo (art. 9), o parte di detto articolo, e non il contratto per intero. Questa modalità non è conforme alla previsione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7), applicabile al ricorso in esame, che concerne una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006. L’art. 369 c.p.c., comma 2 dispone che “insieme con il ricorso debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità………4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. La norma impone alla parte un onere di produzione che ha per oggetto il contratto nel suo testo integrale.

La disposizione, infatti, si riferisce ai “contratti o accordi collettivi”, senza fornire alcun elemento che possa consentire di effettuare una produzione parziale, limitata a singole clausole, singoli articoli, o parti di articoli di contratto.

La scelta legislativa è coerente con i principi generali dell’ordinamento, che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto, di produrre al giudice solo una parte del documento. E’ coerente, altresì, con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c. in particolare con la regola denominata dal codice “interpretazione complessiva delle clausole”, secondo la quale “le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 c.c.). E” evidente che l’applicazione di queste regole implica la necessità di avere dinanzi l’intero testo. La scelta legislativa è poi coerente con i criteri di fondo dell’intervento legislativo in cui si inserisce (D.Lgs. n. 40 del 2006) volto a potenziare la nomofilachia della Corte di Cassazione.

E’ ben vero che sono state riprodotte in ricorso le disposizioni che regolano la materia per cui è causa, tuttavia proprio la mancanza del testo integrale non consente di escludere che in altre parti del contratto vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva dell’argomento che interessa.

Negli stessi termini questa Corte si è già pronunciata con sentenza n. 15495 del 2009 ed altre conformi, ed a tale giurisprudenza il Collegio intende dare continuità.

Ai fini del rispetto della norma sopra citata non è neppure sufficiente che il contratto o accordo collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi del giudizio di merito e che sia stato depositato in Cassazione il fascicolo di parte di detto giudizio in cui il contratto è contenuto, in quanto la norma processuale, esigendo che il contratto sia prodotto “insieme” al ricorso in cassazione a pena di improcedibilità, ha elevato la contestuale produzione del documento a condizione di procedibilità dell’impugnazione (Sez. Un. 21747/2009).

Il ricorso va quindi dichiarato improcedibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 20,00 per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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