Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22847 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 20/10/2020), n.22847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

ricorso iscritto al n. R.G. 29002/2016, proposto da:

S.G.P., rappresentato e difeso dall’avv.to Fabio Pace,

con il quale è elettivamente domiciliato in Milano, al Corso di

Porta Romana n. 89/b, giusta mandato in margine al controricorso;

– Ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 833/2016 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana, depositata in data 10/05/2016 e non

notificata;

Udita la relazione del Consigliere d’Angiolella Rosita svolta nella

camera di consiglio del 23 ottobre 2019.

 

Fatto

RITENUTO

che:

S.G.P., ex dirigente ENEL iscritto al fondo di pensione denominato P.I.A. (pensione integrativa aziendale), impugnò il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria avverso l’istanza di rimborso Irpef, a suo dire indebitamente ritenuta alla fonte, sull’importo erogato a titolo di corresponsione anticipata della pensione integrativa prevista dall’accordo nazionale del 16 maggio 1985.

La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze (di seguito, per brevità, CTP), rigettava il ricorso del contribuente con decisione che veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana (di seguito, per brevità, CTR) sul rilievo che il contribuente non aveva assolto all’onere probatorio su di esso gravante in merito alla natura degli investimenti effettuati dalla Gestione Personale dirigenti Enel.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione S.G.P., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il contribuente, in prossimità dell’udienza camerale, ha presentato memoria ex art. 380 bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente lamenta, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 482 del 1995, art. 6, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4, del D.L. 31 dicembre 1986, n. 669, art. 1, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 17, assumendo che avrebbe errato il giudice di rinvio nel ritenere, anche alla stregua del principio di diritto esposto nell’ordinanza di rinvio di questa Corte, che nell’ipotesi in cui il contribuente è già iscritto al fondo di previdenza in epoca precedente al 28 aprile 1993, il regime fiscale di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, si applichi al rendimento di polizza della P.I.A. solo se ottenuto attraverso la gestione del capitale accantonato sul mercato.

Con il secondo, deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, norma quest’ultima di cui assume la violazione in combinato disposto con il D.Lgs. cit., art. 63, per aver considerato non assolto l’onere probatorio da parte del contribuente e per non aver attivato i poteri istruttori d’ufficio.

Con il terzo motivo (erroneamente rubricato col numero 4), impugna la sentenza in epigrafe per omesso esame su un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’individuazione della tipologia di rendimento in base alla documentazione allegata (certificazione Enel, perizia, controdeduzioni di cui alle memorie), vizio che denuncia anche con il quarto motivo, per la mancata quantificazione del rendimento.

Tutti i motivi di ricorso, esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi ed in quanto reiterano le medesime argomentazioni difensive, devono essere rigettati per le ragioni qui di seguito esposte.

La tesi sostenuta dal ricorrente nel primo motivo e che rappresenta il filo conduttore di tutte le censure, secondo cui il principio affermato dalle Sezioni Unite andrebbe sezionato distinguendo, da un lato, il fondo P.I.A. (il cui rendimento di polizza sarebbe da ritenere comunque sottoposto al regime fiscale di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, ancorchè non ottenuto attraverso la gestione del capitale accantonato sul mercato) e, dall’altro, il fondo denominato FONDENEL (al quale soltanto andrebbe correlato il riferimento al rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato), risulta inconferente alla luce delle argomentazioni che seguono.

Occorre anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base al CCNL 16 maggio 1985, art. 12, comma 4, recepito dall’Enel), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 (16 aprile 1986), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell’intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

E’ incontestato che S.G.P. si è iscritto al Fondo anteriormente al 1993.

Ciò posto, secondo i principi di questa Corte consolidatisi proprio a seguito della sentenza delle Sez. U. 22 giugno 2011, n. 13642, richiamata più volte sia dalle parti che dalla sentenza impugnata, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

E’ altresì principio consolidato, che il trattamento tributario dei “vecchi” iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla “composizione strutturale delle prestazioni”, che sono appunto composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Sul punto, la successiva ed attuale giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 26 aprile 2017 n. 10285 e Cass. 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass., 7 marzo 2018, n. 5436; Cass. 2 marzo 2018 n. 4941) si è già attestata, con numerosi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, o comunque di riferimento, del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento. Il rendimento in questione non deve necessariamente derivare da investimenti derivanti dal mercato finanziario (valori immobiliari, strumenti finanziari, etc.) ma può comprendere anche gli investimenti diretti verso altri tipi di mercato (cfr. Cass. n. 10825 del 2017, n. 15853 del 2018, n. 27610 del 2018).

Pertanto, l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (con aliquota del 12,50%), si giustifica in ragione della “equiparazione” tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dal t.u.i.r., art. 41 (ora art. 44), comma 1, lett. g-quater), e art. 42 (ora art. 45), comma 4, con applicazione analogica dell’art. 6 suddetto ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione.

Solo se e in quanto, dunque, nei capitali corrisposti possano identificarsi “redditi di capitali derivanti da contratti di capitalizzazione” può giustificarsi l’applicazione del meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, senza possibilità di operare alcuna distinzione tra P.I.A. e Fondenel.

Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,50% ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La CTR ha fatto, dunque, buon governo dei principi esposti che, applicati alla fattispecie concreta, hanno consentito ai giudici toscani di escludere che vi fosse stata la prova di un impiego sul mercato di capitali accantonati e, quindi, di escludere che il rendimento (derivante da un impiego interno dei capitali stessi) fosse da assoggettare ad un’aliquota minore.

Risulta, dunque, rettamente applicato il principio di diritto al quale la CTR, in sede di rinvio, era tenuta ad uniformarsi, secondo cui il fondo previdenziale Enel (P.I.A.) è sottoposto all’aliquota più favorevole del 12,50% prevista per i redditi di capitali solo per la parte di fondo impiegata sul mercato, con l’onere probatorio gravante esclusivamente sul contribuente che chiede il rimborso.

In relazione agli ultimi due motivi di ricorso, si evidenzia che la Commissione tributaria regionale, non ha affatto omesso ma ha ben tenuto conto nella sua motivazione del se le somme corrisposte provenissero o meno da un effettivo investimento “nel mercato di riferimento” da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento. Ed invero, facendo corretta applicazione dei principi in materia di onere probatorio – nella parte in cui ha specificato che grava, sul contribuente che impugna un’istanza di rimborso l’onere di provare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati finanziari di riferimento – ha ritenuto che i documenti allegati dal contribuente non fosse sufficiente allo scopo ((…)nulla prova all’allegata perizia del c.t.u. a ricostruire il rendimento di denari gestiti E non approvano in particolare le due certificazioni allegate ricorso non idonea a giustificare l’applicazione della tassazione essere agevolata quanto di contenuto non conforme principi statuiti dalle sezioni unite con la citata sentenza numero 13642 del 2011). Quanto alla certificazione Enel, di cui il ricorrente si duole del mancato esame, nonchè dell’irrilevanza datane dal giudice di rinvio, questa Corte ha più volte chiarito che tale documentazione non è idonea ad assolvere l’onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento del suo diritto al rimborso poichè, non contiene alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (cfr. Cass. 15/03/2017 n. 13278; 16/03/2017 n. 13281; Cass. n. 9246 del 2019).

Inconferente appare l’ulteriore censura del ricorrente relativa al mancato – ed in quanto tale illegittimo – uso del potere istruttorio ufficioso del giudice (D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 546, ex art. 7 che il ricorrente assume applicabile al giudizio di rinvio D.Lgs. cit. ex art. 63, comma 3), al fine dell’accertamento dell’an e del quantum dell’effettivo rendimento. Questa Corte ha da tempo chiarito che tale meccanismo di attivazione dei poteri istruttori ex officio, ha funzione meramente integrativa nel senso che, solo laddove sussista una situazione di obiettiva di incertezza per impossibilità di acquisire aliunde i documenti (come quando una parte non può conseguire documenti in possesso dell’altra), è consentito l’esercizio del potere di disporre d’ufficio l’acquisizione dei documenti (Cass. 20/01/2016 n. 955).

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le difficoltà sorte per la concreta applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, come ribadito dalla su indicata sentenza di questa Corte n. 7725 del 27/03/2013, che ha dato luogo al giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza qui impugnata, giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, cit., se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso principale. Dichiara compensate le spese del giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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