Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22844 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. I, 12/08/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 12/08/2021), n.22844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19463-2020 r.g. proposto da:

D.I., (cod. fisc.), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Francesco Tartini, con cui elettivamente domicilia in Roma, via

Casale Strozzi n. 31, presso lo studio dell’Avvocato Barberio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, depositata in

data 12.11.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

8/4/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da D.I., cittadino del Senegal, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 7 settembre 2017 dal Tribunale di Venezia, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere proveniente dalla Casamance, regione del Senegal; ii) di essere stato costretto a fuggire dal SUO paese perché oggetto di aggressione da parte dei miliziani del MFDC.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso e contraddittorio; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Senegal, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perché il ricorrente non aveva dimostrato una condizione di soggettiva vulnerabilità, non rilevando da sola neanche la condizione di soggetto integrato in Italia e non potendosi fondare la domanda di protezione umanitaria sulla sola condizione di povertà del richiedente.

2. La sentenza, pubblicata il 12.11.2019, è stata impugnata da D.I. con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 102 Cost., dell’art. 158 c.p.c. e del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 110, con conseguente nullità della sentenza impugnata, in ragione, per un verso, dell’illegittima presenza nel collegio giudicante della corte di appello di un giudice ausiliario non togato (per la quale questa Corte di Cassazione aveva anche sollevato questione di legittimità costituzionale innanzi alla Consulta) e, per altro verso, per la presenza comunque nel medesimo collegio di un giudice del distretto non specializzato applicato “a rotazione” nei collegi giudicanti in materia di protezione internazionale.

1.2 Il motivo è infondato.

In relazione al primo profilo di censura, occorre ricordare che è intervenuta da ultimo la sentenza n. 41/2021 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in L. 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, art. 32 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della L. 28 aprile 2016, n. 57).

La Consulta ha infatti osservato che – allo scopo di evitare, nell’immediato, un pregiudizio all’amministrazione della giustizia – è possibile nell’attuale contesto normativo – che vede una riforma in progress della magistratura onoraria (D.Lgs. n. 116 del 2017), la cui completa entrata in vigore è già differita per vari aspetti al 31 ottobre 2025 (art. 32 di tale decreto legislativo) e che è attualmente oggetto di iniziative di ulteriore riforma, all’esame del Parlamento (d.D.L. n. S1516, testo unificato dei d.D.L. nn. 1438, 1555, 1582 e 1714) – dichiarare l’illegittimità costituzionale della normativa censurata nella parte in cui non prevede che essa si applichi fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi contemplati dal citato D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32. Il Giudice delle Leggi ha così riconosciuto – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106 Cost., commi 1 e 2, della normativa denunciata di incostituzionalità, rimanendo – anche con riguardo ai giudizi a quibus – “legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni, sopra richiamate, che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario” (così, expressis verbis, Corte Cost. n. 41/2021).

Ne consegue che il profilo di nullità della sentenza impugnata per la denunciata illegittimità di costituzione del collegio giudicante, ai sensi dell’art. 158 c.p.c., deve ritenersi infondata proprio in ragione del pronunciamento della Corte Cost. da ultimo ricordato.

1.3 Del pari infondata deve essere considerata l’ulteriore censura di irregolare costituzione del collegio giudicante in quanto integrato da un giudice non specializzato del distretto della corte di appello e collocato a rotazione nel collegio nelle materie di protezione internazionale, posto che il giudice integrante il collegio è un magistrato togato appartenente al distretto della corte di appello e per il quale non è dato comprendere il profilo di illegittimità denunciato, potendo in realtà il collegio di corte di appello essere integrato anche da altri magistrati togati appartenenti al distretto e non essendo rilevabile alcuna vizio di costituzione del giudice denunciabile ai sensi dell’art. 158 c.p.c..

Del resto, è affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui la irregolare costituzione del giudice si determina solo nelle ipotesi in cui vi sia un difetto così grave da rivelare la totale carenza di legittimazione del giudice o dei singoli componenti del collegio, ovvero la loro assoluta inidoneità a far parte di un organo giurisdizionale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 15342 del 12/06/2018).

2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di motivazione apparente in relazione alla ritenuta non credibilità del richiedente.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 101 c.p.c., comma 2, e art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 5, art. 8, comma 3, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis e art. 35 bis, n. 9, nonché del D.L. n. 416 del 1989, art. 1, comma 5.

3.1 Il secondo e terzo motivo – che possono essere trattati congiuntamente – devono essere dichiarati inammissibili.

A fronte di una adeguata e corretta motivazione che, sviluppandosi su plurimi argomenti, spiega le ragioni di non credibilità del racconto del richiedente, quest’ultimo pretenderebbe ora – tramite la deduzione del vizio di motivazione apparente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 una nuova rivalutazione del giudizio di merito tramite la rilettura degli atti istruttori, scrutinio quest’ultimo che – come noto – è inibito alla Corte di Cassazione.

Il ricorrente vorrebbe, cioè, sollecitare questa Corte ad una rivalutazione di una serie di elementi fattuali (giovane età, bassa scolarizzazione, etc.) che dovrebbero spiegare le rilevate contraddizioni ed implausibilità del racconto. Tale operazione non è tuttavia demandabile al giudice di legittimità.

4. Con il quarto mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 35bis, n. 9, in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria.

5. Con il quinto motivo si censura inoltre il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per vizio di motivazione apparente, sempre in relazione al rigetto della protezione sussidiaria.

5.1 Gli ultimi due motivi qui sopra elencati sono anch’essi inammissibili.

5.1.1 In relazione alle doglianze sollevate in merito al diniego dell’invocata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b, va subito osservato che l’inammissibilità della censura deriva dalla mancata impugnazione della ratio decidendi principale posta a sostegno del contestato diniego, e cioè la valutazione di non credibilità verso la quale il ricorrente ha avanzato solo doglianze irricevibili per le ragioni già sopra esaminate.

5.1.2 Ma anche l’ulteriore censura sollevata in merito al denunciato mancato approfondimento istruttorio non merita accoglimento.

Rileva il Collegio che, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benché sfornita di prova (perché non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

Nella specie, la corte di merito ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità della richiedente sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Si tratta, all’evidenza, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 683 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

6. Il sesto mezzo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, 4, vizio di motivazione apparente e nullità della sentenza, in relazione alla domanda di protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6.

7. Il ricorrente propone infine una settima doglianza con la quale deduce vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35 bis, comma 9 nonché dell’art. 2 Cost e art. 8 Cedu per la mancata comparazione tra il percorso di integrazione in Italia e la possibile lesione del nucleo fondamentale dei diritti fondamentali nel suo paese di provenienza.

7.1 Anche questi ultimi motivi sono inammissibili, in quanto, per un verso, le censure prospettate dal ricorrente pretendono una rivalutazione delle asserite condizioni di vulnerabilità del richiedente e della integrazione sociale in Italia e, per altro verso, la doglianza introduce osservazioni, peraltro genericamente formulate, in relazione alla condizione di insicurezza interna del Senegal per l’allegata deprivazione dei diritti fondamentali sulla base di documentazione solo genericamente invocata e di cui non si allega né si dimostra l’eventuale deposito nei precedenti gradi di merito.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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