Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22843 del 29/09/2017

Cassazione civile, sez. III, 29/09/2017, (ud. 26/06/2017, dep.29/09/2017),  n. 22843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28453/2014 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. FRIGGERI

82, presso lo studio dell’avvocato MARIO FIANDANESE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO FERAUDO giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE E POLITICHE SOCIALI, in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per

legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1317/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 05/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA.

Fatto

RILEVATO

che:

1.- D.F.L., con atto di citazione notificato il 4 giugno 2002, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Catanzaro, il Ministero della salute, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al contagio con il virus HCV patito a seguito di trasfusioni di sangue infetto.

Si costituì il Ministero della salute, eccependo, in via preliminare, la prescrizione del diritto e, nel merito, chiedendo il rigetto della domanda.

A seguito del decesso dell’attrice, si costituì in prosecuzione M.A., figlia ed erede legittima della D.F..

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo la prescrizione, e compensò le spese di lite.

2.- La pronuncia è stata appellata da M.A., in proprio e quale procuratrice di M.G., M.A.M. e M.C., tutti eredi di D.F.L. e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 5 ottobre 2013, confermando quella di primo grado, ha rigettato l’appello, con compensazione delle spese.

La Corte territoriale ha disatteso l’impostazione degli appellanti secondo cui il dies a quo della prescrizione non avrebbe dovuto essere fissato nella data del 4 ottobre 1993 (ritenuta dal primo giudice) nè in quella dell’11 aprile 1994 (in cui era stata presentata la domanda in via amministrativa), ma avrebbe dovuto essere fissata nella data del 15 luglio 1997, quando, con la comunicazione del relativo verbale, era stato reso noto l’esito della visita medica effettuata dalla CMO di Catanzaro. Piuttosto, ha ritenuto di fissare la decorrenza del termine di prescrizione quanto meno alla data di presentazione della domanda amministrativa, come da giurisprudenza di legittimità espressa dal precedente n. 581/2008, escludendo che la D.F. avesse proposto una domanda di indennizzo “in via meramente esplorativa”.

3.- Contro la sentenza M.A. propone ricorso affidato ad un motivo.

Il Ministero della salute si difende con controricorso.

Il ricorso è stato trattato nella camera di consiglio del 26 giugno 2017.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.- Con l’unico motivo si deduce “violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sulla prescrizione di cui al decreto Ministero Salute 4.5.2012) pubblicato in G.U. n. 162 del 13.7.2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. La ricorrente, in qualità di figlia ed erede della D.F., invoca l’applicazione dell’art. 5, comma 1/B di questo decreto, sostenendo che la Corte d’appello, ai sensi di questa norma, avrebbe dovuto ritenere la prescrizione decennale.

2.- Il motivo è inammissibile, in primo luogo per genericità, poichè prescinde dalla ratio decidendi della sentenza (peraltro conforme alla giurisprudenza di questa Corte per la quale il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto infezioni da virus HBV, HIV e HCV a causa di emotrasfusioni con sangue o emoderivati infetti è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche; termine, quanto meno coincidente con la proposizione della relativa domanda amministrativa – Sezioni Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 576 e numerose altre successive – che assume la funzione discriminante in relazione al risarcimento dei danni patiti dalla vittima, in contrapposizione al responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, al quale non può essere attribuita valenza di riconoscimento del diritto: cfr., tra le altre, alle cui motivazioni può qui bastare un mero richiamo, Cass. 14 giugno 2013, n. 14932; Cass. 30 agosto 2013, n. 19997; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1228; Cass., ord. 25 febbraio 2014, n. 4503; Cass. 9 giugno 2014, n. 12927; Cass. 25 giugno 2014, n. 14378; Cass. 30 luglio 2014, n. 17403; Cass. 19 dicembre 2014, nn. 26917, 26918, 26919, 26920, 26922, 26923 e 26924).

2.1.- Il ricorso pone inoltre una questione nuova, in quanto non risulta affatto che sia stata chiesta nel grado di merito l’applicazione della norma sopravvenuta (ed in vigore già nella pendenza del giudizio di appello, essendo stata la causa trattenuta per la decisione il 14 maggio 2013, come riportato nell’epigrafe della sentenza).

Per di più, il D.M. 4 maggio 2012, non attiene al diritto al risarcimento del danno spettante al danneggiato od agli eredi, ma regolamenta l’accesso, anche eventualmente di questi ultimi, alle transazioni previste dal D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito nella legge 29 novembre 2007 n. 222 e successivi provvedimenti attuativi.

La norma impropriamente invocata dalla ricorrente come ius superveniens non avrebbe potuto modificare il termine di prescrizione, rimasto quinquennale, anche perchè non risulta affatto che la M. abbia agito in giudizio iure proprio, risultando anzi che abbia proseguito il giudizio, insistendo nella domanda risarcitoria già avanzata dalla propria dante causa (e comunque la questione non ha formato oggetto di impugnazione).

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, poichè la ricorrente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore del Ministero controricorrente, nell’importo di Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti D.F. e M. riportati nella sentenza.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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