Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22842 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 09/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 09/11/2016), n.22842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21123/2011 proposto da:

INTERPORTO SUD EUROPA S.P.A., (p.i. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LIMA 7, presso l’avvocato PASQUALE IANNUCCILLI, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M., F.M.L., F.N., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ANCONA 20, presso l’avvocato FAUSTO FUSCO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO MAROTTA, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1301/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato MAROTTA che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.M., N. e M.L., comproprietari di un terreno incluso nell’area del Polo interportuale (OMISSIS), chiesero alla Corte d’Appello di Napoli la determinazione delle indennità loro dovute dalla S.p.A. Interporto Sud Europa (ISE) per l’occupazione temporanea e l’espropriazione di parte del loro fondo, disposte rispettivamente con Decreto 15 maggio 2000 e Decreto 10 agosto 2005.

Per quanto, ancora, d’interesse, la Corte: a) affermò la natura edificatoria del fondo, tenuto conto che in base al PRG approvato nel 1988 ricadeva in zona D1 e Dl 1, che con l’accordo di programma per la realizzazione dell’interporto, era poi stato destinato a zona D15, e che lo strumento urbanistico non poneva alcun limite alla possibilità di edificazione da parte dei privati; b) quantificò il dovuto, ai sensi della L. n. 2359 del 1965, art. 39, data la declaratoria d’incostituzionalità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, in riferimento al valore venale del bene, quale accertato dal CTU e coerente con altre stime giudiziarie di aree omogenee.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso la Società ISE, con tre motivi, resistiti dai F. con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, oltre che vizio di motivazione, in relazione al punto sub a) della narrativa, per non avere la Corte del merito considerato che: 1) l’edificabilità da parte dei privati era preclusa ex lege n. 240 del 1990, ma era demandata in via esclusiva ad essa ricorrente; 2) la mera individuazione in sede di PRG di alcuni parametri costruttivi (e peraltro senza la fissazione dell’indice di densità fondiaria) non era sufficiente a considerare il vincolo di piano a carattere conformativo; 3) la variante del PRG approvata con l’accordo di programma, con la destinazione a D 11 e D 15 aveva natura espropriativa, l’indennità di espropriazione doveva essere insomma commisurata con la destinazione, sicuramente agricola, sussistente prima del PRG del 1988. Sotto altro profilo, la ricorrente afferma che le destinazioni urbanistiche che la Corte territoriale ha mutuato dalla CTU non corrispondono alla realtà, in quanto parti dell’area espropriata ricadevano in zona agricola (E2) o destinata alla viabilità, restando, anche per tale verso, esclusa la natura edificatoria di tali aree.

2. Col secondo motivo, si denuncia il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 116 c.p.c., per non avere la Corte territoriale, a fronte delle argomentate considerazioni della comparsa conclusionale e della memoria di replica, indicato, neppure implicitamente, le ragioni per negare la rinnovazione della consulenza e giustificare il recepimento delle conclusioni del CTU, specie in riferimento alle diverse destinazioni urbanistiche delle superfici espropriate.

3. Con il terzo mezzo, la ricorrente denuncia nuovamente il vizio di di motivazione in cui è incorso il giudice del merito in relazione al valore venale del bene, determinato senza dar conto nè dei diversi elementi che concorrono a formare il valore di mercato dei beni nè delle distinte destinazioni urbanistiche.

4. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità dei motivi, che contrariamente a quanto genericamente rilevato dai contro ricorrenti, non violano il disposto di cui all’art. 360 bis c.p.c., il primo motivo è infondato.

5. Come si è esposto in narrativa, l’impugnata sentenza dà atto, all’esito degli accertamenti condotti dal CTU e rinviando espressamente al certificato di destinazione urbanistica, che l’area era oggetto di causa inclusa in zona D1 e D11 in base al PRG del 1988 e destinata a zona D15 con l’accordo di programma per la realizzazione dell’interporto. L’allegazione secondo cui tale destinazione sarebbe di fatto errata è priva di autosufficienza, non avendo la ricorrente trascritto il certificato di destinazione urbanistica (relativo beninteso al periodo, qui rilevante, di emissione del decreto di espropriazione) che attesterebbe il contrario, omissione che appare ancor più grave, tenuto conto che i controricorrenti hanno affermato che la destinazione non edificatoria riguarda la loro residua proprietà.

6. Muovendo, dunque, da tale dato di fatto, va premesso che la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, va effettuata, ai fini indennitari in ragione del criterio dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37, in base al quale cui un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. n. 7987/2011; n. 9891/2007; n. 3838/2004; n. 10570/2003; SU. n. 172 e n. 173/2001), di talchè la pretesa di far ricorso alla destinazione urbanistica (agricola) anteriore all’approvazione del PRG è, giuridicamente, erronea, oltre che fondata su un’inammissibile mera supposizione (quella di un precedente status agricolo del fondo occupato). 7. Deve poi rilevarsi che non ogni previsione dello strumento urbanistico, specie se a carattere generale, che non sia funzionale allo sfruttamento del terreno a fini di edilizia residenziale privata, va considerato inedificabile per via dell’imposizione di vincoli espropriativi. Come già affermato da questa Corte in controversie analoga alla presente (Cass. n. 6588 e n. 6751 del 2014), la destinazione ad insediamenti industriali, sia pur mediati dalla programmazione pubblicistica, è, infatti, idonea a consentire l’esplicazione dello ius aedificandi, con refluenza sulla determinazione dell’indennità in caso di esproprio (Cass. 24.4.2007, n. 9891; 15.7.2011, n. 15658): il recepimento dell’accordo di programma del 1996, adottato in base alla L. 4 agosto 1990, n. 240, art. 8 per la realizzazione delle opere finalizzate alla costruzione e alla gestione dell’interporto, ha attuato, con l’effetto di variante, la generica previsione del prg 1988, di destinazione del territorio alla trasformazione logistica-industriale, non consente di concludere, come opina la ricorrente, per una conformazione della proprietà a carattere non edificatorio.

8. In particolare, l’argomento sottolineato dalla ricorrente, secondo cui la legittimazione esclusiva ad attuare le opere interportuali sarebbe stato riservato all’esclusiva iniziativa pubblicistica non trova conferma nella previsione normativa (cfr. in proposito sentenze citate, che pongono in evidenza come la formulazione originaria della cit. L. n. 240, art. 3, ne affidava la realizzazione e l’esercizio a enti pubblici e società per azioni, anche riuniti in consorzi, mediante concessione, ma che la disposizione fu modificata dal D.L. n. 98 del 1995, conv. in L. n. 204 del 1995, che, abolendo la concessione, ammetteva ai contributi per la realizzazione delle strutture, i soggetti che rispondessero a determinati requisiti previsti dalla Delib. CIPET 3 aprile 1993), dovendo, ancora rilevarsi, in relazione alla postulata natura espropriativa del vincolo, che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. funditus Cass. n. 3620 del 2016) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato n. 1669 del 2015; n. 2118 del 2012), ha affermato, in conformità col principio enunciato dalla Corte Costizionale già con la sentenza n. 179/1999, che non appartengono sicuramente alla categoria dei vincoli espropriativi tutti quei vincoli che non si risolvono nemmeno in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione dei previsti interventi anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, e quindi senza necessità di previa espropriazione del bene (cfr. Corte Cost. n. 179 del 1999). Infatti, se le scelte di politica programmatoria ritengono opportuno che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnata da strumenti di convenzionamento – viene meno la stessa necessità di una futura (ma incerta) espropriazione onde realizzarli, con conseguente cessazione del pericolo di sostanziale ablazione dei suoli medesimi, per la permanenza del vincolo oltre limiti ragionevoli (Cass. n. 3620 del 2016 cit. e giurisprudenza ivi richiamata).

9. Il secondo ed il terzo motivo, da valutarsi congiuntamente, vanno rigettati. 10. L’ipotizzata violazione dell’art. 116 c.p.c., riferito al mancato rinnovo della consulenza è infondato, dovendo darsi seguito al principio, riconosciuto dalla stessa ricorrente, secondo cui il giudice di merito non è tenuto, neppure a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali di detto giudice, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto, restando così escluso il profilato vizio motivazionale, che peratro si fonda su una diversa destinazione urbanistica delle aree ablate, rimasta esclusa, alla stregua di quanto esposto al p. 5. 11. Quanto al valore del bene riconosciuto in seno all’impugnata sentenza, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 3175 del 2008; 5515 del 2016) il c.d. criterio sintetico-comparativo (utilizzato in concreto) è correttamente applicato anche quando, come nella specie, si fondi su elementi ricavati da precedenti consulenze tecniche e da decisioni giudiziali (nel caso, relative alla stessa area) atteso che il probabile valore di mercato del bene da stimare non va necessariamente desunto dai contratti di compravendita, essendo piuttosto necessario il preventivo motivato riscontro della rappresentatività dei dati utilizzati per la comparazione, e cioè l’accertamento che essi riguardino immobili con caratteristiche analoghe, circostanza che la ricorrente non contesta invocando, piuttosto, un ripensamento dei valori in ragione dell’invocata (ma infondata) natura non edificatoria dell’area.

12. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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