Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22841 del 29/09/2017

Cassazione civile, sez. III, 29/09/2017, (ud. 26/06/2017, dep.29/09/2017),  n. 22841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21032-2014 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE

44, presso lo studio dell’avvocato AMEDEO POMPONIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANILO GHIA giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1493/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. – M.C., con atto di citazione notificato il 10-16 giugno 2009, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, la A.S.L. TO (OMISSIS) (già A.S.L. (OMISSIS)) e il Ministero della salute, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al contagio con il virus HCV patito a seguito di trasfusioni di sangue infetto.

Oltre alla A.S.L. – che eccepì, in rito il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, ragioni di infondatezza della domanda (qui non più rilevanti, per rinuncia alla domanda nei confronti di questa convenuta) – si costituì in giudizio il Ministero della salute, eccependo, in via preliminare, la prescrizione del diritto e, nel merito, chiedendo il rigetto della domanda.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

2. – La pronuncia è stata appellata dalla M. e la Corte d’appello di Torino, con sentenza dell’ 8 luglio 2013, confermando quella di primo grado, ha rigettato l’appello, con compensazione delle spese.

Ha osservato la Corte territoriale che l’appellante – a seguito degli accertamenti eseguiti nel mese di settembre del 2002;

dell’individuazione dell’infezione; dell’anamnesi eseguita in quell’occasione e del fatto che, da quella data, fosse stata “monitorata” dalla struttura sanitaria e presumibilmente informata dai medici della causa della malattia – avesse, in quanto consapevole della trasfusione subita in passato, tutti gli elementi per far valere il proprio diritto risarcitorio. Perciò, ha confermato la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dal 1 ottobre 2002 e l’accoglimento della corrispondente eccezione del Ministero (già dichiarata dal primo giudice), reputando che fosse prescritto il diritto al risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale al momento di presentazione della domanda giudiziale, nel 2009.

3. – Contro la sentenza M.C. propone ricorso affidato ad un solo articolato motivo.

Il Ministero della salute non si difende.

Il ricorso è stato trattato nella camera di consiglio del 26 giugno 2017.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. – Con l’unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2729,2935 e 2947 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è viziata nella parte in cui ha ritenuto che il termine di prescrizione è iniziato a decorrere quando la danneggiata ha avuto diagnosticata l’infezione ed ha iniziato le cure. Richiama, a sostegno del motivo, le sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte dell’11 gennaio 2008, nn. 576, 579, 580, 581 e 585. Rileva che, nel caso di specie, non vi sarebbe la dimostrazione che, in ragione degli accertamenti medici eseguiti nel 2002, la danneggiata fosse consapevole del nesso causale tra la malattia diagnosticata e le trasfusioni subite nel 1985, atteso che la conoscenza della positività non implica automaticamente la conoscibilità del nesso causale.

Aggiunge che questa conoscenza si sarebbe dovuta desumere da eventi oggettivi ed esterni all’interessato, costituenti fatti noti ex artt. 2727 e 2729 c.c., che invece non sarebbero stati riscontrati dal giudice a quo. E ciò, perchè questo si sarebbe avvalso di ben due presunzioni (l’anamnesi, da cui sarebbe emersa la causa, rappresentata dalla trasfusione; l’informazione che la paziente avrebbe avuto dal personale medico, sull’efficacia causale di questa), con violazione delle norme predette (sia quanto all’insussistenza dei requisiti della precisione e della concordanza; sia quanto al divieto di doppia presunzione, c.d. praesumptio de praesumpto), perchè non sono noti nè il contenuto dell’anamnesi nè, più in generale, le informazioni fornite dalla paziente ai medici e da questi ultimi alla paziente.

1.1. – Nella parte restante del motivo si lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del fatto che la ricorrente ha presentato in ritardo (cioè circa tre anni dopo la diagnosi, il 4 luglio 2005) la domanda di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 e del fatto che questa prima domanda era stata rigettata. La motivazione sarebbe perciò incompleta. Si aggiunge la censura di contraddittorietà della motivazione, per affermazioni ritenute inconciliabili.

2. – Il motivo non merita di essere accolto per nessuno dei due profili, che vanno esaminati congiuntamente, così come congiuntamente sono stati illustrati.

Questa Corte ha più volte affermato che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto infezioni da virus HBV, HIV e HCV a causa di emotrasfusioni con sangue o emoderivati infetti è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell’art. 2935 c.c., e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.

E’ vero che in diverse sentenze si è affermato che al fine di cui sopra la decorrenza è coincidente con la proposizione della relativa domanda amministrativa (Sezioni Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 576 e numerose altre successive). Tuttavia, si è più volte precisato che la data della presentazione della domanda in via amministrativa assume la funzione discriminante in relazione al risarcimento dei danni patiti dalla vittima, in contrapposizione al responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, al quale non può essere attribuita valenza di riconoscimento del diritto.

Infatti, l’orientamento di cui sopra si completa con l’affermazione che, ai fini della configurazione dell’exordium praescriptionis, il termine di presentazione della domanda di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 è quello ultimo e più favorevole per il danneggiato, essendo evidente che, a quella data, si è conseguito un apprezzabile grado di consapevolezza (non essendo richiesta la certezza) sugli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria configurabile; però, la personalizzazione degli accertamenti di fatto sulla consapevolezza del danneggiato, già oggetto della citata giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, ben può rilevare in peius per il danneggiato, ove sia positivamente provato che egli abbia avuto od avrebbe potuto avere, usando l’ordinaria diligenza, consapevolezza del danno, del nesso causale con l’emotrasfusione e della colpa della controparte anche in tempo anteriore (cfr., tra le altre, alle cui motivazioni può qui bastare un mero richiamo: Cass. 14 giugno 2013, n. 14932; Cass. 30 agosto 2013, n. 19997; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1228; Cass., ord. 25 febbraio 2014, n. 4503; Cass. 9 giugno 2014, n. 12927; Cass. 25 giugno 2014, n. 14378; Cass. 30 luglio 2014, n. 17403; Cass. 19 dicembre 2014, nn. 26917, 26918, 26919, 26920, 26922, 26923 e 26924).

2.1. – La Corte d’appello di Torino si è attenuta ai principi di cui sopra, svolgendo un adeguato accertamento in punto di fatto e traendone conclusioni conformi a diritto, sol che si consideri che, alla stregua dell’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale di cui sopra, non è certo necessaria la prova della conoscenza effettiva della derivazione causale della malattia dalle trasfusioni di sangue infetto, essendo sufficiente la prova della conoscibilità, adoperando l’ordinaria diligenza e tenuto conto delle conoscenze scientifiche negli anni di riferimento (nel caso di specie, settembre 2002).

2.2. – Le censure attinenti al vizio di violazione delle norme sulla prova presuntiva sono infondate.

Quanto agli elementi di fatto considerati dal giudice per desumere la presunzione di conoscibilità del nesso causale da parte della danneggiata (unicità della trasfusione pregressa eseguita dalla M. nel 1985, ricovero per accertamenti e diagnosi della malattia nel settembre 2002, monitoraggi e controlli successivi effettuati presso la stessa struttura sanitaria), essi rispondono ai canoni di pluralità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e consistono in eventi certi ed esterni all’ambito soggettivo della danneggiata.

In proposito, non può che essere ribadito che nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità; occorre, al riguardo, che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (così, tra le altre, Cass. n. 22656/11).

Nessuno degli indizi utilizzati dalla Corte di merito è di carattere ipotetico, mentre il rapporto di dipendenza logica tra i fatti noti ed il fatto ignoto (conoscibilità del nesso causale secondo le cognizioni scientifiche, ma anche secondo i protocolli medici, dell’epoca) è accertato alla stregua del canone dell’id quod plerumque accidit.

Nè si può ritenere che il giudice sia incorso nel divieto della doppia presunzione poichè il presupposto della decisione circa il fatto che i medici forniscono ai pazienti affetti da epatite da HCV informazioni sulle possibili cause dell’infezione, risponde a criteri di normalità che prescindono dall’anamnesi nel singolo caso.

Quanto poi, al contenuto di quest’ultima, è altamente probabile (ed oggetto di distinta presunzione) che, al momento del ricovero, si faccia richiesta al paziente dei trascorsi medici; nel caso di specie, la gravità della presunzione è rafforzata dall’unicità dell’evento trasfusionale in occasione del parto cesareo effettuato dalla danneggiata.

Con la sottolineatura – conseguente alla giurisprudenza su richiamata- che non è affatto necessaria la prova (nemmeno presuntiva) che quest’ultima avesse la conoscenza della derivazione causale della patologia da detto evento, ma che è sufficiente la prova (anche presuntiva) che avesse avuto la possibilità di conoscerla, usando l’ordinaria diligenza.

L’accertamento in proposito è stato, nella specie, effettuato senza alcuna violazione delle regole sulla prova presuntiva.

2.3. Ogni altra censura, ed in specie quella di insufficienza e di contraddittorietà della motivazione, è inammissibile, poichè relativa al controllo da effettuarsi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il testo della norma è stato sostituito con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, questa disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11 agosto 2012): quindi si applica alla sentenza impugnata, che è stata pubblicata l’8 luglio 2013.

Unico vizio denunziabile è l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14 ed altre). La ricorrente ha individuato questo fatto nelle vicende amministrative della domanda avanzata per ottenere l’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992, la cui decisività va esclusa alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata.

Il ricorso va perciò rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perchè il Ministero non si è difeso.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente riportati nella sentenza.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 26 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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