Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22839 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. II, 20/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 20/10/2020), n.22839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21143-2019 proposto da:

C.O., rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO

BIONDINO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO;

– intimato –

avverso il decreto di rigetto n. 5357/2019 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 23/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Milano disattese l’opposizione proposta da C.O., in contraddittorio con il Ministero dell’Interno e la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata;

ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di tre motivi avverso la statuizione e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dolendosi del mancato esercizio del potere istruttorio d’ufficio (dovere di cooperazione), in quanto il Tribunale locale, violando la legge, non aveva reso intelligibile la ragione per la quale la narrazione dell’istante non fosse attendibile, in violazione dei canoni legali sull’ermeneutica, di talchè la motivazione era da reputarsi apparente, è infondato, in quanto:

– a dispetto dell’assunto, il Tribunale, facendosi carico dei principi enunciati da questa Corte, nel rispetto dei quali la valutazione di affidabilità del dichiarante alla luce del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, è vincolata ai criteri indicati dalla lett. a) e d) e deve essere compiuta in modo unitario (lett. e), tenendo conto dei riscontri oggettivi e del rispetto delle condizioni soggettive di credibilità contenute nella norma, non potendo lo scrutinio finale essere fondato sull’esclusiva rilevanza di un elemento isolato, specie se si tratta di una mera discordanza cronologica sulla indicazione temporale di un fatto e non sul suo mancato accadimento (Sez. 1, n. 26921, 14/11/2017, Rv. 625812), è giunta a un giudizio di inaffidabilità sulla base di un complessivo e ragionato apprezzamento delle plurime distonie narrative, rifuggendo da conclusioni ancorate a isolate e spiegabili incongruenze (il racconto appariva scarno e generico, a dispetto del titolo d’istruzione vantato dal richiedente, privo di spessore narrativo, non erano stati evidenziati i motivi della pretesa adesione politica, con radicale mutamento rispetto al precedente impegno politico lo stesso aveva affermato di avere aderito a un movimento di forte opposizione governativa, non aveva esplicitato per quali motivi la polizia lo avesse cercato a casa e quale fosse il “lavoro sporco” che si era rifiutato di compiere in favore del candidato sindaco, di avverso schieramento, che in precedenza era da lui sostenuto; la vaghezza non era stata colmata col ricorso al giudice, nè l’istante aveva reputato di comparire davanti al Giudice);

– per contro la censura, che pur si dilunga a illustrare i principi regolanti la materia, non ha allegato evidenza probatoria di sorta, sulla base della quale debba dirsi non conforme a legge il giudizio d’inattendibilità espresso dal Tribunale;

– come sovente accade in questi casi la denunzia della violazione di legge, in realtà, costituisce un mero pretesto per un improprio riesame della vicenda in sede di legittimità, correttamente sussunta dal giudice del merito;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, nn. 3 e 5; violazione dell’art. 8 CEDU in relazione, in particolare, all’art. 5, comma 6 T.U. immigrazione; omesso esame ai fini della protezione umanitaria delle conseguenze della appartenenza del ricorrente all’IPOB in Italia, e le conseguenze in caso di suo rimpatrio”;

considerato che la doglianza appare fondata:

– il Tribunale riferisce che l’istante, a dimostrazione della propria adesione al partito di opposizione (OMISSIS) durante il periodo di permanenza in Italia aveva prodotto documenti (tessera e prova dei pagamenti mensili);

– lo stesso Giudice, poco prima, aveva chiarito che il predetto movimento risultava “fortemente osteggiato dal governo, al punto da dichiararlo movimento terroristico e quindi illegale nel 2017”;

– ciò posto, non par dubbio che il Giudice del merito abbia violato l’art. 5, comma 6 T.U. Immigrazione, avendo omesso di verificare la ricorrenza di seri motivi per riconoscere la protezione umanitaria – la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge (S.U. n. 29459, 13/11/2019) – avuto riguardo all’allegata circostanza della militanza del ricorrente durante la sua permanenza in Italia, correlata al rischio individuale nel caso di suo rimpatrio;

– questa Corte ha affermato che la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (Sez. 1, n. 21123, 07/08/2019, Rv. 655294);

– proprio nel rispetto del riportato principio, una volta che, il ricorrente alleghi di aver aderito al partito di opposizione durante il periodo di sua permanenza in Italia, costituisce dovere del giudice, verificata la fondatezza dell’assunto, tenuto conto della situazione interna nel paese di provenienza, accertare se il richiedente, in caso di rimpatrio possa correre seri rischi riguardanti la vita, le libertà individuali e la propria integrità fisica;

considerato che il terzo motivo, con il quale si allega violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere il Tribunale affermato che la (OMISSIS) e, in particolare, lo stato di (OMISSIS), non sarebbe interessata da violenze indiscriminate, dovendosi dissentire da tale conclusione per essere stata limitato lo studio dei report alle scorribande dei guerriglieri di (OMISSIS), senza effettuare i necessari approfondimenti sull'(OMISSIS) e sulla lotta per la liberazione del Biafra, è infondato, trattandosi di censura diretta a un improprio riesame di merito, in violazione del vigente art. 360 c.p.c., n. 5;

considerato che, in relazione al motivo accolto, il decreto deve essere cassato con rinvio, rimettendosi al Giudice del rinvio il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa l’impugnato decreto e rinvia al Tribunale di Milano, in altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

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