Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22838 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. I, 12/08/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 12/08/2021), n.22838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16263/2019 R.G. proposto da:

A.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Lombardi

Baiardini, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 202/19,

depositata il 4 aprile 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 marzo 2021

dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 4 aprile 2019, la Corte d’appello di Perugia ha rigettato il gravame interposto da A.L., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa il 19 agosto 2018, con cui il Tribunale di Perugia aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante.

Premesso che, a sostegno della domanda, l’appellante aveva riferito di essersi allontanato dal proprio Paese di origine per sottoporsi a cure mediche in Europa, a causa di problemi comportamentali consistenti in uno stato d’incontrollabile irritabilità che lo rendeva aggressivo nei confronti dei terzi, la Corte ha rilevato la genericità delle dichiarazioni rese, escludendo comunque la configurabilita dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, in virtù dell’assenza di qualsiasi riferimento ad atti persecutori o a condizioni di pericolo derivanti dalla situazione d’instabilità politico-sociale in atto in Nigeria, nonché dell’insussistenza di una situazione di conflitto armato. Ha escluso inoltre la configurabilità dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, osservando, in ordine alle condizioni di salute dell’appellante, che allo stesso era stata diagnosticata la presenza di comportamenti deliranti con sospetta assunzione di sostanze stupefacenti, per la quale era stata prescritta l’effettuazione di esami tossicologici, mai eseguiti e comunque non documentati.

3. Avverso la predetta sentenza l’ A. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero dello interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 14, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 25, e degli artt. 2, 3, 4, 5 e 9 della CEDU, osservando che, nonostante la dettagliata esposizione dei fatti narrati a sostegno della domanda, da cui emergeva la patologia psichica da cui egli era affetto, la sentenza impugnata ha omesso di approfondire la situazione in atto nel suo Paese di origine, ed in particolare il trattamento inumano e degradante riservato ai malati di mente e l’inefficienza del sistema processuale, giudiziario, carcerario, sanitario e politico, tali da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria. Aggiunge che la Corte territoriale ha apoditticamente escluso la configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e), senza indicare le fonti d’informazione utilizzate ai fini della formazione del proprio convincimento.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8 e 32, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1 e comma 1, n. 1, e del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, art. 28, nonché l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha omesso di valutare la documentazione medica da lui prodotta, attestante che egli era affetto da una grave patologia psichica. Premesso che il rimpatrio lo porrebbe in una condizione di vulnerabilità, avuto riguardo al trattamento cui sono sottoposti in Nigeria i malati di mente, afferma che la Corte territoriale ha trascurato anche le sofferenze da lui patite durante il suo soggiorno in Libia, a causa della situazione di violenza indiscriminata in atto in quel Paese.

3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati.

La sentenza impugnata ha infatti escluso l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente a sostegno della domanda, rilevando per un verso la genericità delle stesse e la loro inidoneità ad evidenziare l’esposizione al rischio di una persecuzione personale e diretta o ad un pericolo per l’incolumità personale, e ritenendo per altro verso non provata la patologia psichica allegata, proprio in considerazione della diagnosi formulata nel certificato medico prodotto in giudizio, che ricollegava i comportamenti deliranti manifestati dal ricorrente alla sospetta assunzione di stupefacenti, e del mancato espletamento degli esami tossicologici prescritti nel medesimo certificato.

Tale accertamento non risulta validamente censurato dal ricorrente, il quale, nel lamentare il vizio di motivazione, non è in grado di evidenziare elementi di fatto emersi dal dibattito processuale e trascurati dalla sentenza impugnata, ma si limita a ribadire di essere affetto da una patologia psichica, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, per effetto della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).

In assenza di valide censure, il giudizio negativo espresso in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente deve considerarsi sufficiente a dispensare la Corte territoriale dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, ai fini dell’accertamento sia delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), che di quella di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1 e comma 1, n. 1, non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, il quale non opera laddove, come nella specie, sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quanto meno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. tra le altre, Cass., Sez. II, 11/08/2020, n. 16925; Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/2018, n. 16925).

La ritenuta inattendibilità della vicenda personale risulta invece irrilevante ai fini della configurabilità della fattispecie di cui alla lett. e) dell’art. 14 cit., che, in quanto correlata alla provenienza del richiedente dall’area interessata dal conflitto armato da cui deriva la situazione di violenza indiscriminata che costituisce fonte della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona prospettata a sostegno della domanda, può essere esclusa soltanto nel caso in cui i dubbi sollevati in ordine alla credibilità delle dichiarazioni da lui rese riguardino proprio questo profilo (cfr. Cass., Sez. I, 6/07/2020, n. 13940; 24/05/2019, n. 14283). In riferimento alla predetta fattispecie, l’inadempimento del dovere di cooperazione non risulta tuttavia validamente dedotto dal ricorrente, il quale, nel censurare l’accertamento compiuto dalla sentenza impugnata, per omessa indicazione delle fonti informative utilizzate, non è in grado d’indicare fonti dalle quali avrebbe potuto desumersi che nel suo Paese di origine esiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato: la parte che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, da parte del giudice di merito, il quale abbia rigettato la domanda senza indicare le fonti d’informazione da cui ha tratto le proprie conclusioni, è infatti tenuta ad allegare l’esistenza di fonti aggiornate e attendibili, nonché ad indicarne gli estremi ed a riassumerne (o trascriverne) il contenuto, in modo t3le da evidenziare che, ove il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti questa Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto, e conseguentemente valutare l’interesse all’impugnazione (cfr. Cass., Sez. 1, 20/10/2020, n. 22769; 9/10/2020, n. 21932; 18/02/2020, n. 4037).

Quanto poi alle sofferenze patite dal richiedente durante il soggiorno in Libia, è appena il caso di richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’allegazione delle gravi violazioni dei diritti umani in atto in un paese di transito, non accompagnata dalla precisazione del collegamento esistente tra il soggiorno in quel paese ed il contenuto della domanda, non può assumere alcun rilievo ai fini del riconoscimento della protezione, dal momento che, dovendo il rimpatrio essere disposto verso il Paese di origine (o verso quello di dimora abituale, ove si tratti di un apolide), è in riferimento a quest’ultimo che occorre accertare l’esposizione del richiedente al rischio di persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass., Sez. III, 5/06/2020, n. 10835; Cass., Sez. I, 6/12/2018, n. 31676; Cass., Sez. VI, 20/11/2018, n. 29875). La protezione umanitaria non può essere d’altronde accordata automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, occorrendo invece che tali violenze, per la loro gravita o per la durevolezza dei loro effetti, si siano tradotte in una condizione di vulnerabilità personale, nel senso inteso dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 (cfr. Cass., Sez. I, 16/12/2020, n. 28781; 3/07/2020, n. 13758).

4. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dello intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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